1 Ottobre 2024 - 10.23

La cultura woke è pericolosa, oltre che demenziale

Umberto Baldo

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Francamente pensavo che dopo il racconto della “controversia”, chiamiamola così, fra Messico e Spagna, ispirata a mio avviso dalla cultura woke, o cancel culture se preferite, non sarei più tornato sull’argomento.

Ma un paio di lettori, chiaramente sostenitori del politically correct, mi hanno scritto, accusandomi, sia pure con toni urbani lo riconosco, di essere una specie di razzista a tutto tondo, insensibile ai genocidi perpetrati dall’Occidente, e simili amenità. 

Vedete, io ho un difetto, lo riconosco, che coltivo da sempre; quello di leggere molto.

Quindi capisco che in quest’epoca in cui un ragionamento magari complesso ed articolato debba essere compresso nelle poche righe di un tweet, o in un video di alcuni minuti, in cui la cultura purtroppo viene veicolata per la più da parte dai Social, la parola “approfondimento” di fatto non abbia più alcun senso.

In fondo è lo stesso meccanismo delle folle, dove chi grida di più ha ragione, e torto chi invece vorrebbe ragionare.

Guardate, a uno come me che crede nella funzione di un serio studio della storia, il woke non fa in realtà né caldo né freddo, nel senso che non mi condiziona minimamente, ma sono conscio che così non è per chi è purtroppo abituato ad acculturarsi e ad informarsi sui Social, e mi preoccupo in particolare per i giovani, che per inesperienza sono facilmente manipolabili ed influenzabili.

Ecco perché, obtorto collo, ma tutto sommato con interesse, ritorno sul tema della cultura woke.

Partendo da questa domanda: Come riconoscere e valorizzare le cause legittime delle minoranze, senza screditare le cause, altrettanto legittime, della maggioranza?

Può sembrare un problema da poco, ma in realtà è lo “snodo” su cui si incentra la calcel culture, perché influenza tutta la società su temi centrali come il genere, l’origine etnica o sociale, il ruolo delle donne, le pratiche di consumo, la storia o la questione ambientale, e   via discorrendo.

E la risposta non può certo essere, almeno per me, l’abbattere le statue o “sbattezzare” le strade col pretesto che le figure rappresentate incarnano un passato coloniale, perché questo significa svuotare la storia del suo contesto, significa volerla riscrivere in funzione delle idee e dei rapporti di forza del presente; significa in estrema sintesi voler cancellare la storia. 

Faccio un piccolo passo indietro, per cercare di capire come sia arrivata da noi la cultura woke.

A pensarci bene noi l’abbiamo vista arrivare senza troppo farci caso, quando cominciammo a dire “operatore ecologico” invece di “spazzino”,“collaboratrice domestica” (o “colf”) invece di “donna di servizio” e simili. 

Siccome nei vecchi termini si avvertiva qualcosa di offensivo, tutti ci arrendemmo alle nuove forme, anche quelle un po’ bizzarre (come “collaboratore scolastico” al posto del classico “bidello”). 

La chiamavano politically correct.   Ma quelle sostituzioni lessicali apparentemente innocue erano in realtà il preannuncio silenzioso di un movimento che stava prendendo corpo negli Usa, e che negli ultimi dieci o quindici anni, dopo aver dilagato nel Paese d’origine, si è propagato rapidamente in Francia, fino ad arrivare com’era logico anche nel BelPaese.
Partito da mere sostituzioni lessicali, come sopra accennato il politically correct ha risucchiato via via un’amplissima rete di temi apparentemente slegati, ma che ad avviso dei “wokisti” incorporano elementi di discriminazione e violenza: genere, razza, colonialismo, diversità di ogni tipo, sessualità, migrazioni, minoranze, stereotipi, linguaggio, fede, educazione e cultura, arti, cinema, letteratura, aspetto fisico, alimentazione e così via (arrivando addirittura a criminalizzare la favola di Biancaneve, così costringendo la Disney a rivisitare il film in chiave woke, con una Biancaneve ispanica, senza principe e senza nani).  

Con toni ed atteggiamenti via via più radicali e violenti, producendo soprattutto cancellazioni e demolizioni, materiali ed immateriali; come ad esempio la ricerca di tutte le espressioni ritenute offensive, o le accuse ai musei occidentali di essersi alimentati per secoli con spoliazioni, ruberie e commerci illeciti(in questo caso con una qualche ragione).

Lo spazio è tiranno, per cui debbo giocoforza limitarmi, ma se dovessi riassumere in una sola parola l’essenza della cultura woke direi che è “anti-occidentale”.

Quindi pericolosa anche dal punto di vista politico, perché nell’intreccio dei suoi moventi e temi, il “wokismo” finisce inaspettatamente per saldarsi con l’ondata contro l’Occidente en bloc che muove dalla Russia di Putin e dalla Palestina in fiamme.

Cosa fare contro questa ondata ideologica, che io giudico irrazionale, secondo cui noi occidentali siamo descritti come l’unica etnia veramente predatoria e oppressiva della storia umana?

La sola cosa è cercare con pazienza di far ragionare i giovani, che come ripeto sono i più permeabili, ed al riguardo può essere utile l’ultima fatica letteraria di Federico Rampini, scrittore e giornalista prolifico ma soprattutto un attento osservatore del mondo e delle cose umane, dal titolo “Grazie, Occidente”.

E’ un libro che ho letto tutto d’un fiato, e se fosse per me ne renderei obbligatoria la lettura in tutte le scuole, almeno quelle superiori. 

Rampini ha il merito di mettere in fila tutte le ragioni per cui l’Occidente deve rileggere orgogliosamente la propria storia per affermare la verità, riprendendo la giusta autostima, incrinata da chi vuole invece imporre la visione dell’Europa come quella di un romanzo criminale.

Non voglio togliervi la soddisfazione di leggere il libro, ma alcuni concetti, espressi dall’autore in qualche intervista (ed anche in qualche conferenza che ho ascoltato su You Tube, e che potete facilmente trovare) credo vadano sottolineati.

Rampini afferma sostanzialmente che la caricatura, imposta de certe élites accademiche, di un Occidente che avrebbe depredato il resto del mondo lasciando solo le briciole, non sta in piedi.

Perché: “Se oggi sono vivi sulla Terra 1,4 miliardi di cinesi, 1,4 miliardi di indiani, 1,4 miliardi di africani, è grazie all’Occidente. La nostra medicina, dai vaccini agli antibiotici, ha ridotto in modo spettacolare la mortalità infantile o la mortalità delle mamme alla nascita; ha aumentato la longevità di oltre vent’anni in un secolo, anche a beneficio delle popolazioni più povere. La nostra agricoltura moderna, copiata in Cina e in India, ha consentito di sfamare popolazioni che sarebbero state sterminate dalle carestie”.

In altre parole ogni area del mondo che è passata dalla miseria al benessere, e sono tante, soprattutto in Asia, ha potuto farlo adottando scienza e tecnologia occidentali. Più l’economia di mercato, anch’essa nata qui da noi. Più l’istruzione universale, un diritto che ha origine in Occidente e non altrove.

Quanto poi all’accusa di essere schiavisti, è vero che anche noi occidentali abbiamo praticato lo schiavismo, orrendo crimine contro l’umanità, ma lo avevano praticato tutti gli altri (dagli aztechi ai persiani, agli stessi africani): con la differenza che  solo da noi è nato il movimento abolizionista. La guerra civile americana fu vinta dagli anti-schiavisti, e lo schiavismo fu messo fuori legge a metà dell’Ottocento. In Arabia saudita rimase legale per un secolo in più, fino al 1962.

Lascio il resto alla vostra lettura, ma credo di poter concludere che dobbiamo lottare con tutte le nostre forze per opporci all’indottrinamento dei nostri ragazzi da parte di questi “cattivi maestri”; perché, pur con tutti i difetti delle nostre democrazie, in nessuna altra parte del mondo gli uomini, e soprattutto le donne, possono godere di benessere, istruzione, e diritti come nel nostro vituperato Occidente.

E, scusate lo sfogo finale, pensare di giudicare l’Europa, sulla base del colonialismo dell’Impero romano o della Santa Inquisizione, cioè di fatti ed ideologie vecchie di secoli, oltre che essere errato storicamente, è semplicemente demenziale. 

Umberto Baldo

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