La guerra degli agricoltori. Che beneficiano del 33% del bilancio Ue
Umberto Baldo
Ci sono momenti della storia in cui inspiegabilmente venti di protesta, o di rivolta, si diffondono contemporaneamente in molti Paesi.
Così fu ad esempio nel 1848 ricordato come “La primavera dei popoli”, che vide un’ondata di moti rivoluzionari contro i regimi assolutisti di tutta Europa.
Analogamente, in anni a noi più vicini, il 1968 passerà alla storia come l’anno in cui, partendo dall’Università di Berkeley negli USA, un’ondata di contestazioni e rivolte si estese a macchia d’olio finendo per coinvolgere il mondo giovanile di quegli anni, con tutte le conseguenze, anche positive, che seguirono.
Questa “contestualità” delle proteste mi sembra di ravvisarla in questo momento nelle manifestazioni che il mondo agricolo sta attuando in Germania, Francia, Olanda, Belgio, Polonia, Romania, Grecia, Spagna, Italia.
Si farebbe prima a dire in mezza Europa!
Perché ora? E perché tutti assieme?
Vi dico subito che se cercate risposte univoche, o addirittura soluzioni valide per tutti i problemi, qui non le troverete di certo, e non solo per lo spazio ridotto rispetto all’ enormità dei problemi.
Il massimo che vi posso offrire sono solo alcune domande, e anche alcuni ragionamenti, che forse potrebbero chiarire le mie e le vostre idee, ma senza farsi troppe illusioni.
Partirei da una domanda che immagino vi siate fatti innumerevoli volte quando vi trovate a fare la spesa nel reparto orto-frutta di un supermercato: ma perché le fragole spagnole, o i peperoni olandesi, costano meno degli stessi prodotti “made in Italy?”. E non parlo quando sono fuori stagione, quando cioè la modernità delle serre olandesi fanno sicuramente la differenza, ma anche “in stagione”.
Non credo, a naso, che il costo della mano d’opera, ed anche quelli di produzione, siano molto inferiori in Spagna o in Olanda rispetto a noi.
E oltre a tutto al prezzo del chilo di fragole o di peperoni va aggiunto il costo del trasporto.
In mancanza di altri fattori si potrebbe pensare che possano giocare i differenti costi dell’energia (ad es. in Spagna il gasolio costa meno che in Italia) e magari anche i sistemi logistici e le reti viarie, altrove decisamente più efficienti.
Non trascurerei neanche il fattore della dimensione media delle aziende agricole (da noi 11 ettari contro i 16 delle media europea), e si sa che non sempre il “piccolo” si sposa con l’efficienza e la competitività.
Va poi tenuta presente la ritrosia all’ innovazione, sopportata da uno Stato poco lungimirante, che vi ho ben illustrato in un mio mezzo del 26 gennaio 2023 dal titolo “Dal pistacchio all’olio d’oliva la Spagna ci ha surclassato”.
Vi consiglio di andarlo a rileggere quell’articolo, che mostra come il Governo spagnolo abbia fatto proprie le proposte (mai tenute in considerazione dal nostro Ministero dell’Agricoltura) di un italiano, Giuseppe Fontanazza, il massimo esperto mondiale del settore oleario, sostituendo come da lui suggerito i vecchi uliveti con nuove piantagioni, e facendo così diventare la Spagna in pochi anni il primo produttore mondiale di olio d’oliva.
Mi chiedo poi: di fronte alle colonne di trattori in marcia un po’ ovunque in Europa, siamo sicuri che, a parte il malessere del settore, ci sia un denominatore comune che tiene unite queste proteste, e che gli agricoltori olandesi abbiano ad esempio gli stessi problemi dei colleghi polacchi o degli italiani?
Io nutro seri dubbi al riguardo.
La protesta olandese (e belga) riguarda principalmente il settore della carne e del latte, ed è rivolta contro le politiche del Governo (allineato a Bruxelles) che in estrema sintesi, al fine di ridurre le emissioni nocive di azoto e ammoniaca, pretenderebbero la riduzione del numero degli allevamenti suinicoli, avicoli, e soprattutto bovini, di circa il 30%. (l’Olanda è il maggior esportatore di carne in Europa).
Nessuna meraviglia che gli agricoltori dei Paesi Bassi abbiano votato alla grande per il neonato Partito Civico-Contadino.
Analogamente ho l’impressione che le proteste degli agricoltori polacchi e romeni siano rivolte in particolare contro la decisione dell’Unione Europea, che nel giugno 2022 ha liberalizzato il commercio con il paese invaso dalla Russia, cercando di favorire l’ingresso dei prodotti ucraini, in particolare grano, per solidarietà e sostegno economico.
I “fermiers” francesi, che vantano una consolidata tradizione protestataria (io già quarant’anni fa li ho visti con i miei occhi scaricare quintali di letame davanti alle Prefetture), si battono contro l’eccessiva burocrazia, arrivando a chiedere al proprio Governo politiche protezionistiche nel settore delle carni.
Detta in altre parole, le proteste ci sono e sono diffuse un po’ ovunque, ma ho qualche dubbio che messi tutti gli agricoltori dei vari Stati attorno ad un tavolo istituzionale si arriverebbe ad una quadra; io sarei più propenso ad ipotizzare una rissa generalizzata, con richieste di tutto e del contrario di tutto.
Pur nella complessità delle differenze, però alcune linee guida sembrerebbero comuni; come la contrarietà alle politiche Europee che chiedono agli agricoltori di eliminare i pesticidi dannosi (dovrebbero essere dimezzati entro il 2030), di aumentare la rotazione delle colture, diintrodurre nuove tecnologie, diridurre le emissioni e gli sprechi alimentari.
Comuni sembrano anche altre richieste, quali sussidi più equi, calmierare i costi dei carburanti (in Germania in particolare hanno cercato di aumentaee le tasse sul diesel agricolo), snellire la burocrazia, prorogare l’immissione sul mercato di carne sintetica (come ha chiesto anche l’Italia), e misure per regolare l’installazione di impianti fotovoltaici.
Va rilevato in ogni caso che il “furore ambientalista” che sembra avere contagiato l’Europa negli ultimi anni non tiene conto delle realtà del resto del pianeta, e credo conveniate con me che la transizione ecologica non può e non deve essere ideologica, e non può scambiare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale.
I cortei dei trattori a Parigi come a Bruxelles sono la diretta conseguenza di questi “talebani” dell’ecologismo da salotto, tanto caro alle sinistre europee (il Commissario socialista Timmermans ne è stato il paladino).
Venendo al BelPaese, da noi, come sempre accade, le cose sono sempre un po’ più complicate che altrove, soprattutto perché tradizionalmente è la Politica a non essere all’altezza dei problemi, e l’unico interesse dei nostri Demostene sono i voti (e vedete che non a caso i Ministri nostrani si dichiarano d’accordo con gli agricoltori in rivolta).
E fatalmente torniamo al costo delle fragole spagnole, che mediamente costano la metà di quelle italiche.
Perché, con questi chiari di luna, il consumatore dovrebbe acquistare quelle “tricolori”? Perché sono prodotte “neaa Nazzzzziiiooooone”?
Come avete visto le partite aperte sono molte, ed i motivi della protesta sono tutti legittimi; dalla riforma green della Pac, ai cambiamenti climatici, all’aumento delle tasse in diversi Paesi (in l’Italia gli agricoltori sono comunque esenti Irpef), dalla concorrenza extracomunitaria, agli extracosti dovuti alla guerra in Ucraina.
Però il mondo agricolo non vive in un empireo, in una bolla separata dal resto dell’economia, e non può non tenere conto che l’Agricoltura è da sempre il settore europeo più sostenuto da fondi pubblici, oserei dire il più “viziato”.
Infatti il 33% (trentatre!) di tutto il bilancio Ue è assorbito da un settore, l’agricoltura appunto, che contribuisce all’economia comunitaria solo per il 3%.
In tutto questo, un documento redatto dalla Commissione Ue lo scorso novembre mostra che il reddito agricolo medio dell’Ue ha raggiunto i 28.800 euro per agricoltore nel 2021, quando, appena un decennio prima, ricorda lo stesso dossier, si attestava ad appena 18 mila euro l’anno.
Una crescita del 56%, di gran lunga superiore all’inflazione sperimentata in questi ultimi anni.
In definitiva, senza con questo voler emettere verdetti o giudizi definitivi, capisco che in una fase in cui i trattori invadono le strade, abbattono le statue, bruciano vecchi copertoni e sversano letame, sia difficile parlare di ragionevolezza e moderazione, ma gli agricoltori devono tenere conto che la Ue investe nel loro settore un terzo delle risorse disponibili, e non si tratta di soldi piovuti dal cielo, bensì tirati fuori dalle tasche dei contribuenti.
E non è detto che tutti i cittadini siano disposti ad accettare proteste, blocchi stradali, e rivendicazioni a volte pretestuose, da parte di operatori cui vengono garantite dalla Ue integrazioni al reddito per ogni ettaro posseduto.
Come in tutte le cose, tirare troppo la corda, non porta mai bene!
Umberto Baldo