La legge deve essere comprensibile per tutti (in Italia un linguaggio da… marziani)
di Umberto Baldo
Al di là della denuncia della corruzione e del malcostume della Chiesa cattolica del Cinquecento, al di là della condanna della vendita delle indulgenze, al di là delle 95 tesi e degli aspetti dottrinali, ho sempre pensato che la vera novità della Riforma di Lutero sia stata la sua traduzione della Bibbia in tedesco.
E non solo perché quest’opera di fatto diede vita alla lingua tedesca moderna, ma perché diede ad ogni fedele protestante la possibilità e la libertà di leggere i testi sacri nella lingua del popolo, senza alcuna mediazione da parte dei chierici, che non a caso privilegiavano il latino, la cui conoscenza non era certo diffusa fra la classi popolari.
Questa fu la vera spaccatura, la vera cesura, con il mondo cattolico, e ci vollero secoli perchè anche i fedeli della Chiesa di Roma potessero leggere le sacre scritture nelle lingue cosiddette volgari.
Tranquilli, non ho alcuna intenzione di intrattenervi sulla Riforma Protestante, ma lo spunto mi è venuto, pensate un po’, dovendo documentarmi su un testo normativo.
Leggete questo articolo di una legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale: “ Il comma 3 dell’articolo 68 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è sostituito dal seguente: «3 Il versamento delle rate da corrispondere nell’anno 2020 e di quelle da corrispondere il 28 febbraio, il 31 marzo, il 31 maggio e il 31 luglio 2021 ai fini delle definizioni agevolate di cui agli articoli 3 e 5 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, all’articolo 16-bis del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, e all’articolo 1, commi 190 e 193, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, è considerato tempestivo e non determina l’inefficacia delle stesse definizioni se effettuato integralmente, con applicazione delle disposizioni dell’articolo 3, comma 14-bis, del citato decreto-legge n. 119 del 2018…
Immagino abbiate capito tutto!
Non so se nei “Palazzi romani” se ne rendano conto, ma questo sembra un linguaggio da “marziani” con un tasso alcolemico notevolmente superiore ai limiti di legge!
Ma il problema è che questa non è un’eccezione, bensì la regola nella produzione legislativa italica.
Avendo fatto studi giuridici mi rendo conto che il diritto, contrariamente alla lingua comune, che utilizza molto i sinonimi, attribuisce ad ogni termine un significato ben preciso.
Tanto per fare un solo esempio, nel linguaggio di ogni giorno i termini residenza, domicilio, abitazione e dimora, vengono usati indistintamente, ma per il diritto ognuno ha un significato diverso, una valenza diversa, e regole diverse.
Ma la “peculiarità”, per così dire, della terminologia giuridica non può certamente essere l’alibi per giustificare norme incomprensibili, dense di articoli che richiamano altri articoli, che a loro volta richiamano altri articoli ancora, in una sorta di convulsione legislativa.
E non è un problema dell’oggi, anche se con gli anni a mio avviso il problema si è aggravato, perchè ricordo che quando facevo la pratica legale presso un avvocato, buona parte del tempo per istruire una causa veniva impiegato per ricercare le norme, e anche la giurisprudenza in verità, applicabili al caso che si doveva trattare.
Certo allora non c’era la Rete, e chi ha una certa età ricorda certamente che le pareti degli studi legali erano totalmente occupate da librerie a vista zeppe di riviste e testi giuridici, che servivano appunto per le “ricerche”.
A volte mi sono chiesto se l’ “incomunicabilità” delle leggi, in un’orgia di frasi relative e incidentali spesso ingarbugliate tra di loro, sia in qualche modo “cercata e voluta” da Parlamenti costituiti in gran parte da avvocati, per tenere il cittadino nell’ignoranza, per controllarlo, e costringerlo a servirsi di notai, avvocati e commercialisti.
In fondo quello che succedeva in altri tempi ai fedeli cattolici, costretti a ricorrere al prete per capire qualcosa delle “Scritture”, almeno fino alla traduzione della Bibbia in volgare ad opera di Lutero.
Ma non sono del tutto convinto che questa, per quanto suggestiva, possa essere la principale spiegazione del fatto che le nostre leggi sono scritte come una specie di “caccia al tesoro” riservata ad un ristretto gruppo di iniziati.
Ci sono anche altre motivazioni.
In primis il fatto che, a rigor di logica, una legge dovrebbe sempre iniziare con l’elenco delle norme “abrogate”, cioè quelle disposizioni che la nuova normativa rende superate ed inapplicabili.
Ciò non avviene quasi mai, e poiché la cosiddetta “abrogazione tacita” non sempre risulta chiara, ecco che il ricorso al giudice, per capire quale sia la norma vigente, diventa spesso inevitabile.
Poi l’iperproduzione di norme, che nel nostro Paese assume quasi il carattere di una schizofrenia legislativa, che ad esempio in Germania viene tenuta sotto controllo con un periodico intervento di riordino normativo.
Qui, a parte lo scenografico, e diciamo pure propagandistico ed autocelebrativo, falò delle norme inutili effettuato nel 2018 dall’allora Ministro Calderoli, la cosa sembra non interessare nessuno.
Tornando ai legislatori, poiché è chiaro che le leggi non le scrivono i Parlamentari (molti di quelli attuali non avrebbero neppure le competenze), bensì gli uffici legislativi, viene da chiedersi con quali criteri vengano scelti questi “tecnici”, che invece dell’italiano comune, utilizzano un linguaggio autoreferenziale, da addetti ai lavori, in una sorta di autocompiacimento intellettuale da “io so io e voi… nun siete un c……”.
Non tutti sanno che Umberto Terrracini, Presidente della Costituente, prima dell’approvazione finale del testo della Costituzione, chiamò lo scrittore Pietro Pancrazi, il latinista Concetto Marchesi, ed il saggista Antonio Baldini, a rivedere il testo, che a distanza di settant’anni si distingue ancora per sobrietà essenzialità, economia, ed anche eleganza.
Ma quella era gente che aveva ben chiaro che il testo della Costituzione doveva essere comprensibile da tutti i cittadini!
Con l’andazzo attuale invece si ripropongono le condizioni per cui Cesare Beccaria scrisse oltre tre secoli fa “Le nostre leggi oscure finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri. Perché le leggi scritte in una lingua straniera al popolo lo pongono nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”.
In breve, la differenza tra cittadini e sudditi.
Non riesco neppure ad immaginare cosa si possa fare per interrompere questo progressivo degrado del lessico legislativo.
Forse servirebbe un novello Lutero, che affiggesse alle porte del Parlamento le sue tesi contro leggi che assomigliano al “latinorum” di manzoniana memoria!!
Resta comunque il fatto che nelle Aule di Giustizia alla scritta “La legge è uguale per tutti”, bisognerebbe aggiungere “La legge deve essere comprensibile per tutti”!
Umberto Baldo