30 Aprile 2024 - 10.02

La Meloni non è Churchill, ma lo sembra grazie alla Schlein!

Giorgia Meloni non è Winston Churchill, solo per limitarci a fare il nome di un grande statista che ha segnato un’epoca.

Eppure fino ad ora la sua narrazione ha funzionato, e stando ai sondaggi funzionerà anche alle prossime europee.

Ma se la “ex ragazza della Garbatella” non è un gigante, quali sono le ragioni del suo brillare nel firmamento (si fa per dire eh!) della politica italiana?

Non sono certo gli uomini e le donne del suo partito, i suoi Fratelli d’Italia, che la premier sta faticosamente cercando di tirare fuori della tradizione ex missina in cui sono nati e cresciuti, e che al momento di grattacapi gliene danno eccome, fra  uscite estemporanee, gaffe, deliri e bestialità.

Ma pazienza, poco a poco, se gli italiani li lasceranno ai loro posti, matureranno  (ricordo il detto veneto: “o prima o dopo se fà anche le sùche) e magari potrebbero fare anche meglio di qualche loro predecessore.

No, non è la Meloni a brillare, senza nulla togliere al suo sapersi muovere nei meandri della politica, anche internazionale!

Sono i suoi avversari che le consentono di sfolgorare!

E se parliamo di avversari inevitabilmente dobbiamo partire  da Elly Schlein, che guida il maggiore Partito di opposizione, quel Pd che secondo il “progetto Veltroni” doveva avere nel proprio Dna la vocazione maggioritaria.

Forse immodestamente, debbo dire che io la Schlein l’avevo inquadrata fin dall’inizio come una leader che per la sua storia, e anche per la sua elezione dovuta al voto dei “passanti”, avrebbe inaugurato una stagione politica di tipo adolescenziale, che l’avrebbe inevitabilmente portata ad appiattirsi sulle posizioni dei “Centri sociali”, e magari degli universitari filo palestinesi (e di fatto antisemiti), antiamericani, antioccidentali ed antiUe.

Posizioni estreme, per certi versi buone per il mondo hippy, ma sicuramente non idonee a conquistare il voto di un ceto medio chiaramente spaventato dalle stesse, e da certe idee come patrimoniali od altro.

Se a questo si aggiunge la totale mancanza di una linea politica definita, di idee forti, di progetti facilmente individuabili, di posizioni nettamente europeiste,  di proposte di politica industriale che non siano il fiancheggiare l’intenzione di Landini di abolire il job act,  si capisce bene che  tutto ciò fa diventare un gigante persino Giuseppe Conte, un furbacchione bravo a cavalcare tutte le tigri, tanto che nel simbolo per le europee ha adesso piazzato la parola “Pace”, spiazzando un po’ tutti i pacifisti del Pd e di altri Partiti.

E queste “incoerenze”, o debolezze se preferite, l’avvocato del Popolo la ha capite eccome, tanto che se ne guarda bene dallo stringere il patto di ferro caldeggiato fino alla morte dalla Schlein, perché pensa di poter essere lui alla fine il Capo della sinistra italiana.

E a favorire questa sua legittima ambizione lo aiuta il fatto che, alla prova della realtà, la linea politica dei big three della sinistra italica (Pd- M5S e Alleanza Verdi Sinistra) è praticamente la stessa, sfumatura più sfumatura meno, oltre tutto decisamente incompatibile con le Forze di centro liberale, Italia Viva e Azione, che non a caso in Basilicata hanno appoggiato Bardi, e questo copione rischia di ripetersi in futuro.

Viene da chiedersi: ma avevano pensato a tutto questo, avevano considerato tutti i rischi di avere una Segretaria del genere, quei capi corrente tipo Franceschini, che per favorirla le hanno persino consentito di candidarsi anche se non era iscritta al Partito?

E’ evidente che a questo punto la domanda inevitabile è la seguente: può un Partito guidato da una leader così (passatemi l’anglicismo) “unfit to lead” avere l’ambizione di vincere prima poi le elezioni politiche, e guidare l’Italia?

Provate a darvi una risposta!

Per quanto mi riguarda credo che la “prova provata” della deriva in cui naviga la Schlein la si veda scorrendo le liste per le europee di giugno. 

Liste senza una visione, un progetto, un’idea, una specie di puzzle con tessere che non si incastreranno mai, perché si parla di candidati che rappresentano tutto ed il contrario di tutto. 

Come si conciliano Cecilia Strada, ultrapacifista, una “mettete i fiori nei vostri cannoni”, contraria alle armi a Kiev, un po’ terzo mondista,  con una Lucia Annunziata, che per esperienza sa bene quanto geopolitica e sicurezza si fanno con la realpolitik?

E Marco Tarquinio, ex direttore dell’Avvenire, uno che odora si sacrestia lontano un miglio, reazionario sui diritti, anche lui  pacifista “d’antan” contrario alle armi all’Ucraina e di fatto filo Putin, con Alessandro Zan paladino del mondo Lgbtq?

O l’ultra ecologista  Annalisa Corrado che è contro il termovalorizzatore di Roma ed Eleonora Evi che è contro quello di Bergamo, con  Giorgio Gori, che a Bergamo è Sindaco e non disdegna invece il termovalorizzatore?

Potrei continuare con i nomi dei candidati, ma volendo fare un riassunto, mi sembra di poter dire che quello che nelle intenzioni di Veltroni era un Partito a vocazione maggioritaria è stato trasformato in un’accozzaglia di sedicenti pacifisti, anticapitalisti di maniera, antioccidentali, e tiepidi con l’Europa.

Probabilmente la metamorfosi sarà stata indotta dalla solita rincorsa della Schlein al populismo dei Cinquestelle, ma il risultato mi pare devastante.

Ed evito di parlare dell’idea di piazzare il suo nome sul simbolo della lista, nettamente bocciata dal Partito, anche perché contraria ad ogni tradizione della sinistra.

Mi pongo una domanda semplice semplice: se fossi un elettore del Pd  magari favorevole al sostegno all’Ucraina, sarei contento di votare ad esempio per Tarquinio?

E ancora: quando al Parlamento Europeo ci sarà da decidere alzando la mano, ad esempio a favore di un rifinanziamento degli aiuti a Kiev, come voteranno Marco Tarquinio e Lucia Annunziata, visto che sembrano pensarla diversamente?

Questa ambiguità l’abbiamo già vista nei giorni scorsi quando il Pd ha scelto di votare a Bruxelles contro il nuovo Patto di stabilità, caldeggiato da un Commissario ex Premier del Pd come Paolo Gentiloni, allineandosi così alle posizioni delle destre italiche.

Non pensate sia un problema da sottovalutare

La composizione delle liste Pd è passaggio fondamentale in questo momento cruciale per le sorti dell’Europa.   Perché, per contenere le destre sovraniste, a Bruxelles serviranno parlamentari socialisti allineati, oltre che popolari moderati, e una presenza forte dei liberali di Renew.

Ma i deputati aderenti al Gruppo socialista serviranno a poco, anzi si trasformeranno in un problema enorme anche per la Segreteria del PD, se la delegazione italiana del Gruppo sarà composta da Eurodeputati che si divideranno sul voto per gli aiuti all’Ucraina, o sulle politiche per respingere e far pagare i danni all’invasore Putin, o sulle armi per difesa comune europea

Ecco perché, come ho già avuto modo di dirvi, mai come stavolta sarà importante per gli elettori esprimere i voti di preferenza, scrivendo nomi che siano poco allineati con il “Comitato studentesco” quale mi sembra essere in questa fase la Segreteria del Pd.

In prospettiva, a mio avviso, sarà poi il caso che alcuni padri nobili della sinistra, e penso a Prodi, a Veltroni, a Gentiloni, a Rutelli, si prendano l’impegno di avviare una nuova iniziativa politica, abbandonando l’idea del campo largo con il Partito di Conte, per riprendere un dialogo con forze di sinistra liberal-democratica come quelle di Renzi, Calenda, Bonino.

In fondo né più né meno di quello che ha fatto in Inghilterra il Segretario laburista Keir Starmer, dopo l’ubriacatura movimentista di Jeremy Corbyn, e che guarda caso è accreditato di vincere le prossime politiche.

Non servirà nell’immediato a bloccare Giorgia Meloni, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

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