La politica è menzogna?
Umberto Baldo
Qualche giorno fa mi è capitato di ripensare all’affaire Bill Clinton, il Presidente americano che nel 1998 venne indagato e messo sotto accusa per uno scandalo di tipo sessuale scoppiato alla Casa Bianca, ma soprattutto “per aver mentito al popolo americano”.
Per i più giovani ricordo che si trattava di una storiaccia di sapore “pecoreccio”, di sesso orale sotto la scrivania della Studio Ovale, che Clinton negò affermando: “Statemi a sentire: non ho mai fatto sesso con quella donna, miss Lewinsky. Ed ora lasciatemi lavorare per il Paese”.
Si finì con la minaccia di esibire gli indumenti “contaminati” della Signorina!
Una vicenda squallida di per sé, ma molto utile per capire che, negli Usa, prima dell’avvento di Donald Trump “mentire al popolo americano” era considerato forse l’atto più grave per un politico, e a maggior ragione per un Presidente.
Impossibile non paragonare questo tipo di etica (che ripeto sembra ormai sorpassata anche negli Stati Uniti con l’arrivo del Trumpismo) con quella da sempre diffusa nella nostra Italia, dove la “menzogna” in bocca ad un politico non è quasi più percepita neppure come un peccato veniale.
La domanda che viene quindi spontanea è la seguente: Per fare il politico è necessario saper mentire?
Parafrasando George Bernard Show che sosteneva che “Per giocare a golf non è necessario essere stupidi, però aiuta”, si potrebbe dire che “Essere dei bugiardi matricolati non è necessario per fare politica, però aiuta”.
Guardate, quello della menzogna come elemento connaturato alla politica è un problema antico quanto la politica stessa, perché ha a che fare con il Potere, che è l’oggetto vero della politica.
Da Tucidice a Cicerone, da Agostino a Machiavelli a Kant, solo per citarne alcuni, ne hanno trattato un po’ tutti i grandi filosofi e pensatori nel corso dei secoli, tirando in ballo ad esempio la differenza che dovrebbe riconoscersi fra “etica privata” e “politica” (forse intesa come etica pubblica).
E quasi tutti hanno in qualche modo riconosciuto che la politica non può essere completamente “la politica delle verità e della trasparenza” (Robespierre era detto l’incorruttibile eppure non fece della Francia una democrazia libera), perché “il politico è colui che deve sporcarsi le mani per poter cercare di fare la cosa giusta”.
Quindi si potrebbe concludere che la storia del Potere è da sempre intrecciata intimamente con quella meno nobile delle menzogne del Potere, anche se a mio modesto avviso questo rimane uno di quei nodi ineludibili che una democrazia è costretta ad affrontare, in realtà senza mai risolverli definitivamente.
C’è da dire che la sublimazione della menzogna in politica la si ebbe con la teorizzazione che la stessa sarebbe parte integrante, forse l’essenza stessa, della politica estera, con la relativa introduzione del concetto della “Ragion di Stato”.
Henry Kissinger ad esempio ha sempre sostenuto che in certe circostanze un Presidente deve mentire, e ciò perché riteneva che lo Stato, e perciò lo statista, debba avere una morale diversa da quella del cittadino.
In quest’ottica, illuminanti sono le parole di un ex Ministro degli Esteri di un Paese del Sud Est asiatico, che una volta ebbe a dire sorridendo che una delle loro antiche definizioni di ambasciatore era: “Un uomo mandato all’estero per mentire”.
Guardate, su questo tema io potrei andare avanti a lungo riprendendo le posizioni di politici e maitre à penser; si potrebbe scrivere un’intera enciclopedia.
Ma credo sia più utile, per “uomini normali” quali noi siamo, calarci nella realtà della politica dei nostri giorni, e per far questo io parto dalla continua crescita del numero degli “astensionisti”, cioè di coloro che non vanno più a votare.
Perché lo fanno?
Io credo che il motivo principale stia proprio nella stanchezza di sentirsi propinare menzogne.
Finora sono sempre andato a votare, ma onestamente, vedendo il progressivo scadimento del livello politico, comincio a chiedermi anch’io se ne valga ancora la pena.
Ma a fronte del crescere del numero di coloro che disertano le urne, perché i nostri Demostene non cambiano registro, e continuano a raccontarci frottole?
Senza scomodare due personaggi che ormai non sono più fra noi, quell’Indro Montanelli che riferendosi a Silvio Berlusconi diceva “E’ un uomo che crede alle bugie che racconta”, io mi sono fatto l’idea che ormai i nostri politici mentano per deformazione professionale.
Per spiegarmi meglio, non credono minimamente alle fandonie che ci propinano, ma credono fermamente nella propria straordinaria, invidiabile capacità di imbonire con le loro ciarlerie un pubblico che, evidentemente, giudicano incapace di discernere il verosimile dall’inverosimile.
Il massimo lo si raggiunge in campagna elettorale, e non ci voleva mica tanto per rendersi conto che le promesse di Giorgia Meloni, dati i chiari di luna e la situazione dei conti pubblici, sarebbero rimaste solo promesse; eppure l’attuale premier ha fatto il pieno di voti.
Letta così, si potrebbe anche pensare che i politici non vogliano ingannarci per principio; semplicemente ascoltano i desideri della gente e li rilanciano nei programmi elettorali.
Lo sanno bene, Lor Signori, che si tratta sostanzialmente di menzogne, ma non è neanche tutta colpa loro se la gente desidera cose impossibili.
E perché la gente desidera cose impossibili?
In primis perché è prevalsa la “cultura dei diritti”. Tutti chiedono di vedere riconosciuti i diritti, quelli vecchi ed anche altri nuovi, e l’elenco dei diritti e dei gruppi sociali che pretendono un riconoscimento si è allungato a dismisura. Si è così persa la cultura dei doveri: meglio la coscienza che ad ogni diritto corrisponde necessariamente un dovere.
Il secondo motivo è che è venuta meno la disponibilità di ascoltare il politico che spieghi quale sia la situazione “reale”, i problemi, le risorse disponibili, le decisioni alternative possibili, e le conseguenze di ciascuna di esse.
Che spieghi ad esempio che non si può continuare all’infinito solo con le politiche distributive, perché se non si produce, alla fine c’è poco o nulla da distribuire.
Credono i nostri Demostene che gli italiani non abbiano ben chiaro che le promesse (sia da destra che da sinistra) di lotta all’evasione fiscale sono la più grande delle bugie?
Perché se in una democrazia metà del corpo elettorale non paga le tasse, e vuole continuare a non pagarle, il Governo che cominciasse una politica di seria lotta al fenomeno durerebbe veramente poco.
Lo sanno loro e, promessa dopo promessa, menzogna dopo menzogna, lo abbiamo capito bene anche noi!
A mio avviso si tratta soprattutto di un problema culturale, prima che politico.
Oggi nessuno potrebbe neppure pensare di riprendere il discorso di Moro sulla necessità di una stagione dei doveri, o quello di Berlinguer sull’austerità positiva, o quello di La Malfa sulla politica dei redditi.
Oggi la politica si fa sui social, con i messaggini di poche parole, magari anche sgrammaticati, che non fa niente.
E i politici lo hanno capito bene che la gente vuole e chiede la luna, e loro gliela promettono, applicando così la Legge di Murphy secondo cui “meglio una bugia semplice da capire, che una verità difficile da spiegare”.
Certo che, continuando su questa china, il rischio è che sempre più elettori si stanchino di promesse al vento e di bugie, e fra qualche anno le elezioni diventino un “rito per pochi intimi”.
Ma finché ci saranno ancora persone da abbindolare Lor Signori continueranno a mentire, sapendo di mentire.
La conclusione a cui sono giunto è che gli italiani amano farsi infinocchiare, e quindi non lagniamoci: in una certa misura meritiamo come popolo i politici che abbiamo.
Ma con il corollario che un Paese pregiudica la propria rispettabilità non solo quando i politici mentono, ma anche quando i cittadini tollerano quelle menzogne.
Umberto Baldo