27 Marzo 2025 - 9.48

La politica italica è come una maionese impazzita

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Umberto Baldo

Le mie due ultime riflessioni, l’una relativa al riarmo tedesco, e l’altra alle influenze delle ideologie sovraniste nella politica attuale, mi inducono a calarmi nella realtà “daaa Naaazzzziiiione”, per vedere quanto questi fattori giochino negli attuali equilibri.

Guardate, metto subito in chiaro che considero l’attuale campo della sinistra, largo e meno che sia non ha alcuna importanza, come del tutto ininfluente anche ai fini di una futura governance. Il dibattito interno che ha attraversato il PD in occasione della votazione sul piano ReArm Europe della Commissione Europea non è soltanto espressione di una pluralità di vedute sul tema della difesa comune, ma riflette anche una difficoltà storica nel conciliare due anime della sinistra italiana: una pacifista e l’altra più realista.  Ma le stesse dicotomie le troviamo su temi come il referendum sul job act, o la questione palestinese, per cui credo che su queste basi difficilmente la gauche arriverà, quando sarà, a conquistare Palazzo Chigi.

Certo qualcuno nel Pd si illude che la Schlein faccia da specchietto per allodole per attrarre i voti dei centri sociali e delle frange più estreme della sinistra, per poi cedere il passo qualora si trattasse di fare il Capo del Governo; ma hanno fatto i conti senza l’oste, perché la Segretaria si mostra sempre più determinata a dominare il Partito con le buone o con le cattive.

No, è a destra che vanno riservate maggiori attenzioni.

Pur partendo dalla constatazione che il Centrodestra ha imparato a governare le sue divisioni, ed alla fine essere poco uniti non è l’eccezione ma la regola, penso che il fattore che teoricamente avrebbe dovuto rafforzare la destra italica (oltre a quelle europee e mondiali),  vale a dire l’avvento di Donald Trump, alla prova dei fatti ha determinato l’inizio della fase più difficile, più scivolosa, più complicata, del premierato di Giorgia Meloni.

Per certi aspetti oserei dire che Trump ha scritto la parole “fine” alla luna di miele della nostra Presidente, che è costretta ad assistere al venir meno dei fattori che fino ad ora avevano contribuito a creare l’immagine di una leader sicura e saldamente in sella.

Per fare un solo esempio, sta venendo meno l’immagine dell’Italia come un’oasi felice, come l’unico Governo in grado di proiettarsi nel tempo senza avere intoppi potenziali.

L’Inghilterra, pur non facendo parte della Ue (ma perseguendo chiare politiche di riavvicinamento) vede ora il premier Starmer a capo di una solida maggioranza, e la Germania del futuro Cancelliere Merz, grazie anche all’enorme mole di denaro da investire, sicuramente è destinata a riprendersi quella centralità politica persa negli anni del cancellierato di Olaf Scholz. 

Di questo smarrimento, di questa titubanza della premier, ne ha approfittato Matteo Salvini, che non potendo fare il Ministro dell’Interno (e non essendo certo interessato ad occuparsi di trasporti) si è messo a fare quello degli Esteri. 

E così va in visita da Netanyahu,  e sente al telefono il vicepresidente americano J.D. Vance, debordando su materie come rapporti America-Russia, dazi e Starlink, decisamente non di sua competenza.  

E questa attività a livello internazionale è così strabordante da far incazzare di brutto il titolare degli Esteri Tajani, che abbandonando la sua proverbiale pacatezza si è sentito costretto a reagire, specificando che la politica estera  è di stretta competenza del Premier e del Ministro degli Esteri. 

In altri tempi sarebbe successo un putiferio, si sarebbero invocate “verifiche della maggioranza”; invece non è successo nulla, e gli osservatori attribuiscono questa “afasia” della Meloni al fatto che voglia lasciare briglia sciolta a Salvini fino al Congresso della Lega dei primi di aprile (analisi piuttosto debole a mio avviso).

Personalmente credo che, se questo è il calcolo della Meloni, sia sbagliato.

Perché dal Congresso, dal quale Salvini uscirà vincitore, nonostante i “mal di pancia” dei “leghisti del Nord” (della questione settentrionale non parla più nessuno, come pure dell’Autonomia differenziata), uscirà una Lega sempre più spostata sull’Internazionale dei Sovranisti.

E questo potrebbe rafforzare Salvini, e convincerlo a continuare nella sua opera di lenta ma progressiva demolizione dell’immagine della Meloni.

Tranquilli non ci sarà alcun Papetee; con l’8% circa  che i sondaggi gli attribuiscono Salvini sa bene che gli attuali 100 Parlamentari se li sognerebbe, ma sicuramente continuerà ad operare per allargare il proprio ruolo e spazio di manovra.

E a tale riguardo non è un caso che non perda occasione per distinguersi su armi e difesa, proponendosi come un pacifista neo-gandhiano.

Perché lui sa bene che l’attuale paralisi della premier sta tutta nella sua postura (io propenderei anche per le sue origini culturali ed ideologiche) di essere contemporaneamente atlantista ed europeista, vale a dire sia con Trump  con la Ue.

Io credo anche che la Presidente abbia anche fatto un errore di valutazione; quello di immaginare di costruire un rapporto privilegiato personale con Trump, tale da metterla in una posizione di “ponte” fra gli Usa e gli alleati europei.

Non ha calcolato che alla Casa Bianca ora comanda un gruppo di persone che, a voler essere buoni, definirei “affaristi”, e a voler essere cattivi, “soggetti privi di scrupoli” (faccio fatica a immaginare come si possa continuare essere trumpiani dopo le accuse a noi europei di essere scrocconi e parassiti).

Diversamente Vance, per quanto pressato, non avrebbe accettato l’abboccamento telefonico con Salvini, che di fatto è un riconoscimento politico del Capitano, proprio in una fase in cui la Meloni sta cercando in tutti i modi di avere un incontro personale con Trump.

Tutto questo agitarsi di Salvini non è certo a costo zero per la premier, che da un lato si trova a dover assistere ad una rivitalizzazione di tutti i Premier europei, che si sono mostrati pronti nel reagire alle sberle americane e che hanno scelto di prendere sul serio la minaccia trumpiana all’ucraina, e dall’altro al venir meno di quello che in questi anni di governo è stato il suo elemento di forza il marcato profilo internazionale.

Se a questo si aggiunge che di tutte le riforme promesse in campagna elettorale (vi ricordate lo slogan “Noi siamo pronti!”) finora non ne ha portato a casa manco una, capite bene che a Palazzo Chigi non dovrebbero fare i salti di gioia.

Hai voglia, come scrivevo qualche giorno fa (https://www.tviweb.it/tik-tok-lassalto-di-giorgia-e-chiara/) a far scaricare su Tik Tok una valanga di messaggi agiografici; perché in politica oltre alle parole al vento, oltre ai “quanto è brava Giorgia”, ed agli auto elogi, serve anche altro.

Vista così, le tensioni fra i big di due Partiti di governo (Tajani rimane ancora ben ancorato ai democristiani europei del Ppe) potrebbero essere derubricate alle ansie di due aspiranti vassalli di Trump, per determinare quello prediletto dal Tycoon.

Tutto sommato una partita giocata in chiave interna, romanocentrica, che ha però l’effetto negativo di sconcertare i partner europei, che non capiscono più quale sia la linea politica “daa Naaazzzziiiiooone”.

Infatti di fronte a queste scelte storiche, il centrodestra si presenta come una maionese impazzita. 

Letteralmente destrutturato. Una situazione che in altri tempi, soprattutto in presenza di un’alternativa di governo, avrebbe portato sparati alla crisi, visto che l’unità in politica estera nei passaggi complessi è base e cemento di qualsiasi maggioranza.

In realtà, e qui ritorna l’impostazione sovranista di cui parlavo ieri, nel momento in cui Salvini parla al telefono con Vance, sostiene la scelta dei satelliti di Elon Musk contro l’europea Eutelsat, mette nel mirino soprattutto la Germania evocando il riarmo nazista degli anni Trenta, porta avanti la sua politica anti-europea, di fatto lavorando pro Trump e pro Putin. 

Giorgia Meloni, come scrivo spesso, al momento dà l’impressione di non sapere che pesci pigliare, e quindi fa il “pesce in barile”.

Ma da politica navigata quale dovrebbe essere, non le può sfuggire che fatalmente i nuovi equilibri europei tenderanno progressivamente a girare sull’asse franco-tedesco-polacco.

E dovrebbe anche sapere che stare in mezzo al guado non sempre è una posizione comoda, e che prima o poi (ma meglio prima) dovrà chiarire una volta per tutte se l’Italia sta della parte di un’Europa integrata con la Germania, oppure se vuole porsi come vassalla del tramputinismo, di fatto abbracciando le scelte di Salvini.

Concludendo, il requisito politico di una classe dirigente, sia al governo che all’opposizione,  è quello di saper costruire una realistica visione nazionale  all’altezza delle sfide del momento. 

Ma tale requisito purtroppo oggi manca sia alla leadership della maggioranza, che a quella dell’opposizione. 

E senza la capacità di individuare l’interesse nazionale non si è in grado di fare alcuna scelta.

Umberto Baldo

VIACQUA

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