7 Febbraio 2019 - 13.26

EDITORIALE – La scuola di oggi è la sfida culturale di domani

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Nel nostro Paese ogni Ministro dell’Istruzione sembra avere due obiettivi nella vita: quello di rendere la scuola sempre più facile per gli studenti, e cambiare, solitamente in peggio, il mitico “esame di maturità”.
La domanda che vorrei porvi oggi è questa: il sistema scolastico italiano è in grado di fornire agli studenti la formazione di cui hanno bisogno per inserirsi nel “sistema Paese”?   E ancora: è vero che la scuola italiana è democratica, o è invece sempre più classista?
Cari “Siora Maria “ e “Sior Bepi” non mettetevi le mani nei capelli!
Lo so bene che ci sono biblioteche intere dedicate ai problemi della scuola e dell’educazione dei giovani, e non ho certo la presunzione di avere la verità in tasca.  Mi limito ad esporvi qualche considerazione, che potrebbe ovviamente trovarvi in disaccordo. Tutti abbiamo davanti agli occhi la realtà quotidiana delle nostre scuole, fatta di maestre chiamate per nome, di risposte e comportamenti arroganti e sfidanti nei confronti dei professori, di bullismo diffuso, di violenze anche fisiche spesso minimizzate, di incapacità emotiva dei nostri ragazzi di affrontare finanche un brutto voto.
Insomma un mondo in cui il principio di “autorità” è completamente saltato, e la mediocrità è assunta a parametro di una generazione di studenti, e forse di genitori, che non intendono rinunciare alla loro quieta sopravvivenza. Sappiamo bene che i “vecchi” tendono a guardare agli anni della propria giovinezza come ai “tempi migliori”, ed al riguardo è normale che i nostri “Siori Bepi e Maria” rimpiangano gli anni in cui ci si alzava in piedi quando il maestro o il professore entravano in classe, tanto per dirne una.
Un mondo in cui difficilmente un diplomato od un laureato sbagliavano un congiuntivo, o commettevano errori di ortografia.  D’altronde non occorre andare lontano per rendersi conto dell’attuale livello culturale del cittadino medio. Basta guardare uno dei tanti “quiz televisivi” che fanno da traino ai telegiornali serali, per scoprire che concorrenti con tanto di laurea si impappinano e non sono in grado di rispondere esattamente a domande che una volta si sarebbero definite da “quinta elementare”, se non da terza.
E checché se ne dica, la deriva inizia da lontano, dal  mitico 1968, con le varie pantere, il sei politico, il Vietnam, il divieto della meritocrazia, lo stipendio variabile indipendente, le occupazioni, Mao, l’autogestione, la solidarietà con infiniti e vari popoli in lotta, le assemblee, le elezioni nella scuola, e quant’altro faceva parte di quell’armamentario “ideologico-culturale” che, sembra impossibile, ancora condiziona la scuola dopo quasi 50 anni.
Le riforme che sono state varate quasi annualmente nei decenni successivi hanno progressivamente smantellato, in nome della modernità, anche quello che c’era di buono nel sistema scolastico precedente. Così alle elementari i “pensierini”, che insegnavano ad articolare un testo scritto, sono stati sostituiti dall’analisi testuale, la grammatica  è stata reietta, il riassunto, che insegnava a capire ed a cogliere l’essenza di un brano, e la memorizzazione delle poesie, cancellati con un colpo di spugna in quanto richiedevano ai “virgulti” troppo sforzo mentale.  Tutte cose viste dagli “innovatori” come obsolete ed anacronistiche, e quindi da rigettare in toto.
Il risultato lo abbiamo di fronte ai nostri occhi ogni giorno, ed è un disastro partorito dal lassismo, dalla demagogia, dalla svalutazione dei valori culturali, che ha portato alla fine a far passare l’idea, nei ragazzi e nelle famiglie, che l’importante non è la preparazione che la scuola può e dovrebbe darti, bensì il mero “pezzo di carta”.
Assodato che lo scadimento generale del livello della scuola italiana (tanto è vero che le Università italiane sono costrette ad attivare per le “matricole” corsi di alfabetizzazione) sembra ormai inarrestabile, c’è da chiedersi almeno se sia servito al cosiddetto “ascensore sociale”. Mi sembra che anche qui le cose non siano andate come si immaginava.
E per un motivo molto semplice.
Da sempre le classi dominanti hanno costantemente puntato sulla qualità e sulla difficoltà dei percorsi scolastici dei propri figli.  Non a caso, per secoli, le classi dirigenti si sono formate nei collegi dei Gesuiti, non proprio dei cultori della “scuola facile”.   E per di più piuttosto ferrei per ciò che attiene la disciplina. Io nel “mitico 68” avevo 14 anni, e ricordo bene quel periodo.  In quegli anni ho frequentato il Liceo Scientifico “Ippolito Nievo” a Padova. Ricordo bene le lotte per il “6 politico”, ricordo bene i Toni Negri, ed i teorici della “nuova” scuola democratica.  Quelli che poi furono chiamati “cattivi maestri”.
Alla fine cosa è successo?
E’ vero che i figli degli operai sono arrivati all’Università, ma è anche vero che i figli dei ricchi sono andati a studiare ad Harward, a Yale o a Oxford, mantenendo inalterata la differenza dei punti di partenza, anzi a mio avviso accentuandola.  Se la “grande conquista” è stata alla fine l’abbassamento generale del livello qualitativo della scuola, non abbiamo certo fatto l’interesse delle nuove generazioni, alle quali stiamo veicolando da lunghi anni il messaggio che la fatica dello studio non serve a nulla, che l’importante è solo il “diploma o la laurea” comunque ottenuti, e che la cultura è qualcosa da vecchi parrucconi.
Esponendoli, se e quando verrà il momento, allo shock che deriva dal constatare che chi vuole assumerti non si limita a guardare il titolo di studio ed il voto con cui lo hai conseguito, ma vuole sapere in primis “cosa sai”, oltre a “dove” e “come” lo hai imparato. E non è bello per un ragazzo scoprire, alla fine del corso di studi, che avere avuto una scuola facile e divertente non è stato un grosso affare.
Certo, avrà evitato di imparato le poesie a memoria, avrà “scansato” il latino o il greco, non avrà perso qualche notte sui libri, non si sarà “annoiato” con l’analisi logica e del periodo, ma alla fine gli resterà solo il “pezzo di carta” da appendere in casa, purtroppo dei genitori.
Io credo che in questo Paese dovremmo ricominciare a credere nell’importanza del “difficile”.  Come succede nei sistemi scolastici dei Paesi più avanzati, tipo la Cina e gli Stati Uniti per esempio, dove la selezione è “rigidissima”, in quanto l’obiettivo è “individuare” e “formare” le classi dirigenti del futuro, e di conseguenza il titolo di studio non viene visto come un “diritto acquisito” come avviene da noi.  E questa “ritrosia” del sistema italiano a bocciare,  a selezionare i migliori, non può che portare a generazioni di frustrati, che in quanto diplomati o laureati non accetteranno mai un lavoro modesto, ma nello stesso tempo non saranno in grado di svolgere un lavoro di concetto, data la loro scarsa preparazione e volontà.  Andando quindi ad ingrossare le liste dei disoccupati, con l’unica speranza di ottenere l’elemosina del “reddito di cittadinanza”, graziosamente offerto dalla politica in cambio del “consenso”.
Il problema è che gli orientamenti dello Stato in tema di istruzione sembrano essere guidati da sempre più dal rendimento politico della spesa pubblica che dalla sua importanza nei processi di sviluppo del Paese. Questa è una scelta miope anche dal punto di vista elettorale. Infatti i mancati investimenti nell’istruzione potranno anche liberare risorse per altre voci di spesa nel breve periodo, ma nel lungo termine determineranno un generale arretramento del Paese, ed in definitiva staremo tutti peggio.
Solo una scuola che abbia il coraggio di non svilire il proprio ruolo può fare il bene dei nostri figli e nipoti; consentendo loro quell’ascesa intellettuale e sociale che oggi non vediamo più concretizzarsi, ma che per molte generazioni del dopoguerra è stata possibile. Ma per questo è necessario che siano i genitori a chiedere che la scuola sia “difficile”.    Ed è altrettanto importante che riescano anche a far capire ai propri figli che uno studia in primis per se stesso, perché la cultura è una delle poche cose che nessuno ti può togliere.
Tema divisivo quello di oggi eh, cari “Siori”?
Lo so bene, e Tviweb può essere lo strumento perché ognuno di voi esprima nei commenti la sua opinione al riguardo.
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