La scuola riparte tra record di contagi e normalità
di Luca Faietti
Se un paese fiaccato dalla pandemia, da due anni di malattia e lutti, vuole ripartire lo può fare in molti modi. Quello scelto da Mario Draghi è dichiarare che la scuola deve tornare alla normalità e poi prendere le decisioni che sono necessarie. Lo ha fatto lo scorso anno, quando due ministri del suo Governo avevano cercato di rendere più immediata la quarantena a scuola: intervenne e fece fare dietro-front ai suoi nell’arco di un pomeriggio.
Lo ha rifatto al termine delle vacanze natalizie, dichiarando che la scuola doveva tornare in presenza fin da subito.
“Ci saranno classi che vanno in didattica a distanza – disse Draghi – e beh, ci andranno!”.
Una linea chiara, politica, a dispetto e in alcuni casi anche contro la situazione epidemiologica oggettiva. Una linea che sembra dire: “Se si riparte da qualche parte, si riparte dai ragazzi, dalla loro formazione”.
Il ragionamento si conferma e si rafforza adesso, nel momento nel quale il Ministero dell’Istruzione rende note le ordinanze con le quali stabilisce che gli esami di maturità tornano alla normalità con il tema di italiano, la seconda prova di indirizzo (peraltro scelta dalla commissione interna in modo da poterla ritagliare sul grado di preparazione dei ragazzi) e con un colloquio. Si tratta anche di un segnale: il governo guarda all’orizzonte del prossimo giugno e pensa che allora la pandemia sarà sotto controllo.
La scuola è ripartita, insomma, ma nessuno sembra averlo capito. Non lo capiscono i ragazzi che, dopo aver protestato contro la Dad, adesso annunciano per venerdì lo sciopero contro l’esame di maturità in presenza, non lo hanno capito i dirigenti scolastici che si preoccupano perchè sanno di non aver impostato il lavoro degli insegnanti in funzione di un esame normale, ma ancora con il modello semplificato.
A tutti andrebbe spiegato: se riparte la scuola, riparte il Paese.