La sinistra scopre che i Padroni del Web guardano a destra!
Umberto Baldo
Qualche giorno fa ha attirato la mia attenzione una notizia proveniente dagli States: le dimissioni di una vignettista.
Ma non di un vignettista qualsiasi, quelle di Ann Telnaes, una che per il suo lavoro ha ottenuto il premio Pulitzer).
All’origine della sua decisione di dimettersi dal Washington Post c’è stato il rifiuto da parte del giornale di pubblicare una sua vignetta satirica che ritrae alcuni imprenditori della Silicon Valley inchinarsi di fronte ad una statua di Donald Trump, impugnando sacchi pieni di banconote (manco fossero i re Magi!).
Questa notizia fa il paio con quella secondo cui Jeff Bezos di Amazon, Sam Altman di Open AI e Mark Zuckerberg hanno annunciato donazioni di un milione dollari a testa come contributo alla cerimonia di insediamento di Donald Trump il 20 gennaio.
Immagino ricordiate che Trump ha spesso attaccato questo magnati, e che a suo tempo affermava che Zuckerberg in particolare sarebbe dovuto “andare in prigione” per aver censurato opinioni di destra sulle sue piattaforme.
Ebbene, dopo la sua vittoria alle presidenziali, c’è praticamente stata una processione dalla Silicon Valley a Mar-a-Lago, residenza del Tycoon, per fare atto di sottomissione.
Viene da chiedersi: perché questa vera e propria “conversione sulla via di Damasco”, questo innamoramento improvviso per “ciuffo biondo”?
Ma la Silicon Valley, intesa come emblema del mondo di Internet, non era sempre stata accreditata come facente parte dell’area progressista?
Immagino che molti di voi, come me, abbiano sempre pensato che il mondo dell’informatica, ed in generale il settore tecnologico, fosse una sorta di “fortino della cultura democratica americana”.
Per decenni i più brillanti neolaureati delle più prestigiose Università americane, snobbando il mondo di Wall Street (secondo loro equivaleva a “vendersi” al denaro), accorrevano nella Silicon Valley per lavorare per i giganti tecnologici, da Google a Netflix, da Apple a Facebook, in un ambiente dinamico che prometteva di cambiare e migliorare il mondo.
E non c’è alcun dubbio che la “gauche a stelle e strisce”, e per simmetria anche quelle europee ed italiche, si sentissero perfettamente in sintonia con quei miliardari liberal tipici della California, che si schieravano sempre dalla parte ritenuta “giusta”, vale a dire a favore dell’ambientalismo anche più estremo, dei diritti Lgbtq, dei migranti, delle droghe leggere e quant’altro.
Sintonia confermata dal fatto che questi ricconi hanno sempre finanziato con generosità i candidati democratici.
Cos’è successo a fine nel 2024?
In due parole che la sinistra americana ha toccato con mano di essersi accoppiata per anni con Mr. Hyde, pensando fosse il dott. Yekyll.
E’ chiaro che la punta di diamante di questo fenomeno ha un nome preciso; quello di Elon Musk.
Ma credetemi che se non c’è una, come dire, “predisposizione ideologica”, certi salti della quaglia non sono possibili.
Perché quello che abbiamo visto negli ultimi mesi, e secondo me il fenomeno non è ancora finito, è che i giovani utopisti di una volta, i nipoti delle generazione hippy, adesso con meno capelli e con la pancetta, e soprattutto con i conti bancari traboccanti miliardi, hanno gettato la maschera, mostrandosi per come sono veramente: dei biechi capitalisti pronti a calpestare ogni regola, a rompere il contratto sociale, ad organizzarsi in oligarchia dietro un Presidente che promette di renderli ancora più ricchi e potenti.
Guardate che non intendo esprimere giudizi di valore; parafrasando il Papa relativamente ai gay, io mi limito a dire “chi sono io per giudicare i Bezos o gli Zuckerberg?”.
In fondo anche loro “tengono famiglia”, e poiché gli affari più succosi sono quelli derivanti dai contratti con lo Stato americano, volete che si mettano contro quel “vendicativo” di Trump, capace di escluderli improvvisamente dalla torta?
Questo però non mi impedisce di constatare, come già accennato, la “cantonata” presa dai progressisti di tutto il mondo, che hanno sempre ritenuto “il mondo di Internet” un mondo naturalmente di sinistra.
E ciò ha avuto pesanti conseguenze, che solo adesso cominciano a palesarsi.
Finché questi “Giganti del Web” si sono mostrati allineati con il mondo della sinistra, difendendone “apparentemente” i valori e la cultura, nessuno di quella parte ha pensato di tirare in ballo l’Antitrust, e si sono chiusi gli occhi di fronte a fenomeni distorsivi di una corretta informazione, distorsivi fino al punto di intaccare certi principi fondanti la democrazia.
Ora che i “Padroni del Web” hanno mostrato di guardare inequivocabilmente a destra, allineandosi in pieno alle posizioni trumpiane, a gauche tutti scoprono il problema, dimenticando che per anni si sono chiusi occhi e orecchie.
Oltre tutto questi miliardari, anche alla luce delle limitazioni e dei problemi sollevati da certe normative europee, hanno capito che i governi di destra, specialmente quelli populisti, tendono ad essere meno inclini a imporre regolamentazioni severe sulle grandi imprese e sull’innovazione tecnologica, sono portati a promuovere politiche che favoriscano la deregolamentazione, il taglio delle tasse per le grandi aziende, ed un approccio più permissivo in materia di controllo ambientale.
Capite bene che la retorica di Donald Trump, che si oppone all’intervento governativo, che difende la libertà di impresa, che vede l’innovazione come un campo dove lo Stato non dovrebbe intervenire, che snobba il climate change, suona come i “cori angelici” alle orecchie di questi imprenditori, in quanto consente loro di mantenere il controllo dei propri imperi, minimizzando l’interferenza normativa, e addirittura consolidando il proprio potere politico.
Ad essere onesti, non tutta la sinistra Usa si era inchinata ai giganti del Web.
Ad esempio Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, già nota per le sue posizioni vicine a Occupy Wall Street, e per il suo ruolo nelle riforme delle normative bancarie, si è spesa negli anni con campagne mediatiche per ridimensionare gli imperi dei “padroni della Rete”.
In fondo con una proposta alquanto logica e condivisibile: quella di introdurre il divieto di essere al tempo stesso il gestore di una piattaforma di scambi ed un fornitore di merci e servizi sulla stessa piattaforma.
Ma la Warren proponeva anche di costringere i Padroni della Rete a dismettere alcune acquisizioni: per esempio Facebook avrebbe dovuto rivendere la messaggeria Whatsapp e il social Instagram, Amazon dei supermercati alimentari Whole Foods, Google dovrebbe cedere la società Waze che detiene uno dei software più avanzati per le geo mappe.
Voce inascoltata, proposte non considerate, in nome di quell’idolatria verso il mondo della “Rete”, visto come il “mondo della libertà”, imperante fino ad ora nella gauche Usa e mondiale.
Trump, nonostante la censura digitale di cui è stato spesso vittima, in campagna elettorale ha lasciato intendere di voler tutelare gli interessi delle big tech rispetto a eventuali trattamenti penalizzanti da parte dei giudici europei.
Da qui il riposizionamento degli innovatori della Silicon Valley, sempre pronti a rivedere il proprio atteggiamento nei confronti dei governanti, in funzione dei propri affari e portafogli.
Domani parleremo del campione di questi “Paperoni”; Elon Musk.
Umberto Baldo