L’agonia della Lega: Salvini tra disfatte elettorali e pressioni interne per un cambio di rotta
Di Luca Faietti
Le ultime elezioni regionali in Umbria ed Emilia-Romagna segnano un tracollo drammatico per la Lega di Matteo Salvini, che vede i consensi ridursi a una frazione rispetto a cinque anni fa. In Umbria, la Lega precipita dal 36,9% del 2019 a un misero 7,7%, e in Emilia-Romagna il crollo è ancora più evidente, passando dal 31,9% al 5%. Questi numeri, impietosi, suonano come una condanna per una linea politica che sembra sempre meno in grado di rappresentare l’elettorato tradizionale del partito.
Salvini aveva puntato tutto sulla propria figura e su un’aggressiva campagna elettorale, attraversando le due regioni in lungo e in largo, caldeggiando un ritorno al consenso e calcando i toni contro i centri sociali, la magistratura e il governo centrale. Tuttavia, la strategia non ha funzionato. Gli elettori non hanno premiato una narrazione polarizzante, né hanno mostrato entusiasmo per il tentativo di posizionarsi oltre Forza Italia, obiettivo dichiarato ma evidentemente fallito.
I risultati disastrosi aprono una crepa nella leadership di Salvini. Il malcontento interno cresce, e figure di spicco come Luca Zaia e Massimiliano Fedriga sembrano emergere come alternative sempre più concrete. La loro linea, più moderata e orientata al territorio, è vista da molti come una possibile via per il rilancio del partito, ormai privo della capacità di attrarre consenso nazionale con l’approccio sovranista.
La deriva sovranista imposta da Salvini non paga più. Quella che un tempo sembrava una strategia vincente, capace di attrarre ampi strati di elettorato insoddisfatto, oggi appare lontana dai bisogni e dalle sensibilità di una base leghista che si era sempre riconosciuta nella politica di vicinanza al Nord produttivo e ai suoi valori. Il risultato è un progressivo isolamento, sia elettorale che interno.
La Lega paga anche l’incapacità di rinnovare il proprio messaggio e di affrontare i problemi concreti che toccano da vicino gli elettori. L’insistenza su temi identitari e securitari non è più sufficiente a colmare il vuoto di una proposta politica che appare stanca e ripetitiva.
Di fronte a questi numeri, le richieste di un cambio di rotta si fanno sempre più pressanti. Salvini deve decidere se ascoltare la base del partito, sempre meno propensa a seguire la linea sovranista, o farsi da parte. La strada è stretta, e le alternative non sono molte.
Zaia e Fedriga, governatori rispettivamente di Veneto e Friuli Venezia Giulia, rappresentano un modello diverso, più pragmatico e meno ideologico. La loro ombra incombe sul leader leghista, e la possibilità di una sfida interna alla segreteria non appare più così remota.
Il tracollo elettorale in Umbria ed Emilia-Romagna non è un caso isolato, ma il segnale di un declino ormai strutturale. Salvini, che aveva trasformato la Lega in una forza nazionale, sembra incapace di guidarla in questa nuova fase politica. Il tempo stringe, e il rischio è che il partito scivoli ulteriormente nell’irrilevanza.
La Lega, una volta forza trainante del centrodestra, è ora chiamata a una riflessione profonda. Il messaggio è chiaro: o cambia, o è destinata a essere superata dagli alleati e abbandonata dagli elettori. Salvini, dal canto suo, deve decidere se essere il protagonista del cambiamento o il simbolo di una stagione ormai conclusa.