L’Atalanta (e Bergamo) in vetta all’Europa
Umberto Baldo
Poco più di un mese fa, esattamente il 17 aprile, commentavo (https://www.tviweb.it/il-calcio-e-bello-perche-a-volte-vincono-anche-gli-outsider-la-favola-del-bayer-leverkusen/) la conquista, dopo 120 anni di attesa, del primo “scudetto” della Bundesliga da parte del Bayer Leverkusen.
E se ricordate scrissi che, guardando il calcio non con gli occhi del tifoso ma con quelli dello sportivo curioso, sono attratto dalle “favole”, dai miracoli, che anche nel calcio non sono frequenti, eppure talvolta accadono.
Sicuramente non potevo immaginare di trovarmi a scrivere oggi di quella stessa squadra, appunto il Bayer Leverkusen, ma vista stavolta come soccombente.
E non era sicuramente facile battere questi tedeschi, galvanizzati da una stagione strepitosa in cui, guidati da un Xabi Alonso che non ne aveva sbagliata una, sono rimasti imbattuti per 361 giorni, con 51 risultati utili consecutivi,
Eppure le “Aspirine” (storico soprannome dei calciatori del Bayer) sono state addirittura “annichilite” da una Atalanta che ha saputo giocare a livelli stratosferici.
E’ successo mercoledì sera, sotto il cielo di Dublino, un cielo che richiama vecchie saghe celtiche e sapori di Birra Guinnes (rigorosamente scura), un cielo che i tifosi bergamaschi presenti non scorderanno facilmente, un cielo che ha assistito immobile alla festa della squadra che alzava la coppa dell’Europa League.
Non vi racconterò certo lo svolgimento della partita.
Mi limito a dire che si è trattato di un capolavoro tattico di Gasperini, il tecnico dei bergamaschi, che a fine partita ha detto allo sconfitto Xabi Alonso ““Non toglie niente, hai fatto qualcosa di straordinario”; un gesto apprezzato dal collega che con grande sportività ha a sua volta fatto i complimenti all’avversario: “Grande partita, congratulazioni. Avete meritato”.
A risultato acquisito, non resta che prendere atto che quella di Dublino è una partita chefa entrare la squadra nerazzurra nella storia del calcio; il primo trofeo internazionale per la società bergamasca, la primaEuropa Leagueper una squadra italiana.
Perché a mio avviso è questo il punto, quello di un “modello” Atalanta che si è affermato non cercando i fuoriclasse che tanto a Bergamo non venivano, o venivano vecchi e senza più nulla da dire, ma con giovani valorizzati, un modello di gioco affidato senza grossi assilli a un allenatore per otto anni consecutivi (e nell’Italia calcistica degli esoneri già questo è un record).
Ecco perché, quando si parla di Atalanta, ridurre il tutto ai risultati sarebbe troppo semplice, perché ciò che a Bergamo hanno saputo fare nel corso di questi anni esula dall’ordinario; passare dall’orticello “salvezza” alle grandi notti di coppa, roba impensabile soltanto fino a poco tempo fa.
Ma il miracolo è stato quello di riuscirci senza mai snaturarsi, mantenendo intatte le solidissime radici ed il modus operandi.
Il tutto con un percorso lineare, una crescita costante: prima in Serie A, consolidando la categoria, passando un po’ alla volta da squadra di provincia a big del campionato; quindi i primi timidi passi in Europa, lo storico debutto in Champions, diventato poi un’abitudine; con la prossima saranno quattro partecipazioni in sei anni.
Impossibile non simpatizzare per l’Atalanta!
Io stesso vi confesso che si tratta dell’unica squadra che negli ultimi anni ho seguito con attenzione, gioendo per i successi.
Già perché senza nulla togliere ai fasti cittadini, stiamo parlando di Bergamo, una città medio piccola, un Davide che si misura con tanti Golia; si chiamino Milano, Roma, Torino, Firenze, Genova, Napoli.
Io credo che il successo dell’Atalanta sia dovuto a poche cose, ma determinanti.
Primo fattore: la stabilità della proprietà.
La rinascita dell’Atalanta inizia nel 2010 quando, l’attuale presidente Antonio Percassi, ritorna a capo della società bergamasca. Nel giro di un anno la Dea vince il campionato di Serie B e ritorna dunque nella cerchia delle prime 20 squadre in Italia.
Alla stabilità societaria si aggiunge quella tecnica: la vera svolta arriva nella stagione 2016/17, con l’arrivo di Gian Piero Gasperini sulla panchina nerazzurra, e in pochissimo tempo la Dea, grazie al suo nuovo tecnico, raggiunge vette inimmaginabili.
E che si sia trattato di una scelta ponderata, basata su un progetto di lungo periodo, e sulla fiducia, lo si visto in occasione delle incomprensioni (forse anche qualcosa di più) fra il Mister ed il giocatore Gomez, risolte dal Presidente Percassi con la drastica decisione di cedere l’atleta per “grave atto di indisciplina”.
Terzo fattore, un’idea di calcio innovativa, basata su un settore giovanile di altissimo livello, sul rimodernamento delle strutture, e successivamente dello stadio. La Dea ha un suo stadio, il vecchio Atleti Azzurri d’Italia trasformato nell’attuale e avveniristico Gewiss Stadium. La Dea, fra l’altro, è il secondo club italiano, dopo la Juventus, che ha creato la sua seconda squadra, capace di raggiungere i playoff di Serie C al suo primo anno di vita.
L’Atalanta è tutto questo, ma non solo.
E’ una società che oltre a consolidare i propri punti di forza, ha saputo adeguarsi ai tempi, modellandosi per potersi esprimere sulle stesse frequenze dei più grandi club d’Europa.
Credo che il grande merito di Gasperini sia stato quello di far giocare i giovani, di buttarli nella mischia, di non demoralizzarli quando sbagliano, di dare una chance anche a chi magari non riteneva pronto per scendere in campo, senza fare passare loro la voglia di giocare relegandoli in panchina.
Penso che quello dell’Atalanta, basato sul coltivare i fiori più belli per fare sbocciare i loro talenti, senza tarpargli le ali, sia l’unico modello che abbiamo per salvare il nostro calcio.
I risultati ottenuti a Bergamo sono inequivocabili e sotto gli occhi di tutti, e nella notte di Dublino ne abbiamo avuto la conferma.
Limitandoci all’ultimo decennio, la società bergamasca ha venduto 34 giocatori cresciuti nel vivaio incassando 250 milioni di euro. Numeri senza paragoni tra i club italiani e da top ten nel mondo! Dal passato di Domenghini e Fanna, di Scirea e Perani, di Savoldi e Donadoni, di Cabrini e Pizzaballa, di Vieri e Filippo Inzaghi, al presente di Bastoni e Locatelli, Ruggeri e Zappacosta, Scalvini e Carnesecchi: quanti talenti hanno sfornato i nerazzurri orobici!
In questa stagione l’allenatore Gasperini ne ha chiamati in causa una decina, tra quelli formati “in casa”.
Alla fine di questa che, mi rendo conto, può sembrare una celebrazione, va preso atto che, piaccia o meno, sono anni che l’Atalanta è entrata di diritto a far parte di quelle che una volta venivano chiamate “7 sorelle”.
Per i poco ferrati in materia, in questo gruppo rientrano le migliori squadre del nostro Paese, le più forti, le più rappresentative in Italia e in Europa.
Dopo la sconfitta in Coppa Italia con la Juventus di appena pochi giorni fa, per l’Atalanta la strada sembrava tutta in salita, ma il vecchio Gasperini a Dublino sembrava il Capello che nel ’94 con il Milan diede una lezione di calcio al favoritissimo e spavaldo Barcellona.
E non è finita qui!
Perché questa piccola grande Atalanta il 14 agosto si andrà a giocare pure la Supercoppa europea, in quel di Varsavia, contro la vincente della Champion tra Real Madrid e Dortmund.
A questo riguardo mi fermo qua, perché è vero che non serve a niente ipotecare il futuro, ma è altrettanto vero che sognare non costa nulla.
Umberto Baldo
PS: mi sono fatto la domanda: ma da dove nasce il nome Atalanta?
Atalanta era un’eroina della mitologia greca. Appunto ispirandosi a questa figura mitologica, il 17 ottobre 1907 venne fondata a Bergamo la squadra dell’Atalanta Bergamasca Calcio. Nonostante Atalanta nella mitologia fosse una comune mortale e non una divinità, la squadra è detta in suo onore “La Dea”.