28 Settembre 2022 - 9.40

Le donne che lottano per il “vento nei capelli”

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Mentre noi italiani eravamo occupati a seguire la campagna elettorale, con i media tutti concentrati su questo evento sicuramente importante, nelle strade e nelle piazze iraniane donne e ragazze stanno lottando per poter godere di una sensazione che non hanno mai provato: il “vento nei capelli”.

Milioni di donne iraniane non sanno cosa sia il “vento nei capelli”, perché sono costrette da un regime di stampo teocratico a nascondere le loro chiome sotto lo hijab, il velo islamico imposto dall’Ayatollah Khomeini quando nel 1979 divenne la Guida Suprema della Repubblica islamica iraniana.

Le proteste in atto sono iniziate dopo l’assassinio di Mahsa Amini, una  giovane donna ventiduenne di origine curda il cui nome è ormai diventato un hashtag planetario, massacrata di botte dalla feroce “Polizia morale” per non avere indossato correttamente il velo.

Si,  avete capito bene, la sua unica colpa è stata quella   di aver indossato «in modo improprio» quel velo che separava i suoi capelli dal sole e dal vento.

Gli agenti della “Polizia morale”, composta purtroppo in maggioranza da donne,  dopo l’arresto hanno detto ai parenti della ragazza che protestavano, che Masha sarebbe stata sottoposta a una «sessione di rieducazione».

Non è dato sapere in cosa consista la “rieducazione”, ma gli esiti si sono purtroppo visti, e sono stati fatali: dopo tre giorni, Masha è stata dichiarata morta in ospedale.

Immediate le manifestazioni di protesta davanti all’università di Teheran, con cortei in cui  moltissime donne si sono tagliate ciocche di capelli,   si sono levate il velo dalla testa,  e hanno affrontato a mani nude e con il “vento nei capelli” polizia, esercito, e pasdaran (come già durante le grandi manifestazioni del 2020),  al grido di “Morte al dittatore!” indirizzato alla Guida della Rivoluzione Ali Khamenei.

Fortissima anche la mobilitazione in Rete, con non meno di 1.600.000 visualizzazioni dello hashtag #MashaAmini, almeno fino a quando gli Ayatollah non hanno “democraticamente” interdetto l’accesso ad Internet.

Durante queste proteste  di piazza  un’altra ragazza è stata uccisa dalla polizia:  si chiamava Hadis Najafi, aveva 20 anni, ed  stata abbattuta con sei colpi di arma da fuoco.

Spero resti per sempre nella memoria collettiva il volto di questa giovane donna che si lega i capelli biondi in una coda, e si incammina verso la protesta, andando a morire perché desidera essere libera dal velo.

E’ una storia lunga quella dei tentativi di opporsi alla brutalità del regime, ed all’ottusità del clero iraniano, finora sempre finiti nella repressione più feroce e nel sangue.

Non possiamo e non dobbiamo dimenticare ad esempio il calvario di Nasrin Sotoudeh, famoso avvocato per i diritti umani e paladina dei diritti delle donne, chiusa nel carcere di Evin, a Teheran, dal 2018.   

Nasrin Sotoudeh sta scontando una condanna a 33 anni di prigione e 148 frustate: la sua colpa, aver assunto la difesa legale di  Shaparak Shajarizadeh e di altre donne arrestate per aver manifestato contro l’obbligo del velo, oltre al fatto di opporsi apertamente alla pena di morte nel suo Paese.

Ci vuole una buona dose di coraggio per togliersi il velo in pubblico nella Repubblica delle barbe e dei turbanti, e  ce ne vuole molto di più  a fronte delle notizie che parlano di decine di persone uccise, e di centinaia e centinaia di arrestati,  fra i manifestanti nei cortei. 

Ma evidentemente gli Ayatollah non avevano messo in conto la potenza della comunicazione, non avevano calcolato il moltiplicarsi delle “Masha” nelle strade dell’Iran.

Decine di migliaia, forse qualche milione di “Masha” senza velo nelle piazze del Paese, nei video e negli appelli sui social, o davanti alle ambasciate iraniane dell’Occidente.

Come accennato, si parla di centinaia e centinaia di arresti; le università resteranno chiuse per almeno due settimane.

Ma il presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, lo stesso che a New York ha rifiutato all’ultimo momento l’intervista con Christiane Amanpour perché lei non indossava il velo, non molla la presa e pretende il pugno di ferro contro i manifestanti.

Certo le protagoniste di queste struggenti giornate iraniane sono loro, le ragazze poco più che bambine, le giovani donne con i capelli al vento, ma stavolta c’è qualcosa di diverso, che a mio avviso dovrebbe impensierire il regime islamico.

Perché fianco fianco a queste ragazze adesso camminano  anche i coetanei maschi, che scandiscono con loro il nome di Mahsa Amini, ragazzi che le incoraggiano e le innalzano sulle spalle, ragazzi dentro le automobili e per le strade, ragazzi che combattono nelle università contro gli scherani dei mullah.

Senza di loro,  senza questi ragazzi che lanciano pietre e fumogeni contro le moto e le camionette della polizia, le ragazze sarebbero molto più sole,  e più esposte ad arresti, ferimenti, e uccisioni.

Non è facile prevedere come finirà questa ondata di manifestazioni anti regime!

Anche se non c’è da essere ottimisti, perché purtroppo queste proteste popolari, che sono più frequenti di quello che noi immaginiamo, in Iran non trovano mai uno sbocco politico, e non preoccupano eccessivamente il regime, che infatti non ha alcun timore nel reagire sempre con enorme violenza repressiva.

Il motivo è che non esiste infatti né dentro il Paese né all’estero una forza  di opposizione che riesca a capitalizzare sul piano politico la grande rabbia espressa.

E non esiste neppure dentro il regime  una componente “riformista” in grado di opporsi o quantomeno cercare di contenere la retriva dirigenza islamica degli Ayatollah, e men che meno  la potentissima organizzazione ultra nazionalista, e ancora più reazionaria, dei Pasdaran.

Io credo non si tratti di un problema esclusivamente religioso, anche se sappiamo che ogni qual volta il potere  si dichiara ispirato direttamente da Dio si sente autorizzato a compiere qualsiasi nefandezza, come successo in Occidente ai tempi della Santa Inquisizione, o anche oggi con il Patriarca di Mosca Kirill che promette il Paradiso ai russi che  moriranno combattendo in Ucraina.

Qui entrano in gioco tradizioni e culture misogene che negano alle donne ogni libertà ed ogni diritto, anche quello di poter mostrare liberamente il proprio volto.

Di conseguenza  per me combattere contro l’obbligo del velo non significa combattere contro il velo in sé, bensì contro un’imposizione che mortifica la libertà della donna, la sua possibilità di decidere autonomamente se indossare o meno l’hjiab. 

Purtroppo in questi giorni non sto vedendo l’impegno che mi aspetterei da parte delle opinioni pubbliche internazionali, ed in particolare da parte dei nostri movimenti femministi e progressisti, che sembrano vedere oppressioni  ed ingiustizie solo in Occidente.

Io credo che dobbiamo inchinarci di fronte a queste donne, giovani e meno giovani, che  in Iran alzano la testa, non si piegano, scoprono il volto, bruciano i simboli dell’oppressione, e in fondo manifestano per i diritti di tutte le donne oppresse del mondo.

Non possiamo, non dobbiamo lasciarle sole  a protestare coraggiosamente, a rischio della libertà e della vita, nelle strade e nelle piazze iraniane.

Dobbiamo aiutarle, sostenerle, perché anche loro, come le nostre madri, le nostre compagne, le nostre figlie, hanno il diritto di provare la gioia di sentire il “vento nei capelli”.

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