Le piccole cose della vita che danno fastidio: dai bigliettini ‘compro auto’ ai monopattini impazziti
Di Alessandro Cammarano
Guido Gozzano – sempre sia benedetto! – nella sua poesia “L’amica di nonna Speranza” racconta delle “Buone cose di pessimo gusto” che riempiono il salotto buono della vegliarda: Loreto impagliato, il busto d’Alfieri, le noci di cocco … oggi noi, parafrasando indegnamente il poeta ci dedicheremo ad elencare una serie di comportamenti che potremmo definire “Le piccole cose che danno fastidio”, ovvero quei comportamenti del prossimo capaci di irritare all’istante ponendoci repentinamente di cattivo umore.
Saremo scorretti, ovviamente, ma con il maggior garbo possibile, nell’analizzare gesti, sguardi e mancanze; e come potremmo non esserlo?
In cima alla classifica ci sono quei bigliettini da visita che i “Compro Auto” riescono a piazzare di nascosto sulle vetture in sosta.
Sono bravissimi nel sistemare il cartoncino con su scritto “Sdinko compra tua auto. Masima valutazzione” o “Sei a corto di liquidi? Vendi la macchina. Chiama Dragana” nei posti più strani e apparentemente inaccessibili del veicolo. Il più comune è tra lo sportello e la scocca: il biglietto fa capolino, discreto, mostrando di sé solo un angolo; se si apre lo sportello cade sul marciapiede e lo si deve forzatamente raccogliere, ma se si prova ad estrarlo si rivela più tenace della spada nella roccia di arturiana memoria.
Di più: come pensano, Sdinko e Dragana, che il possessore di un’auto non più vecchia di un mese e iperaccessoriata se ne voglia disfare? Ogni tanto viene il sospetto che sul famigerato biglietto da visita sia scritto, con inchiostro simpatico, una frase del tipo “Se tu non vende io prende comunque tua auto”. Sta di fatto che chiunque trovi il famigerato cartoncino ne fa coriandoli, il tutto per la gioia del tipografo che ne stampa a migliaia.
Altra ragione di fastidio profondo sono gli anziani che attraversando sulle strisce pedonali squadrano con occhio truce il povero automobilista che, ligio al codice della strada, si è fermato cedendo il passo al matusalemme col bastone a treppiede.
Quale il motivo dello sguardo di riprovazione rispetto ad un gesto civile? Alcuni agitano anche l’eventuale stampella alla quale si appoggiano, novelli Mosè che dividono il flusso del traffico creandosi un passaggio sicuro ammonendo con un’occhiata il misero guidatore di un possibile definitivo intervento dell’ira divina.
Rimanendo in abito stradale sul podio del disagio, per gli altri, è dato dal brulicare di monopattini elettrici che sfrecciano ovunque in spregio a qualsiasi regolamento.
Il nuovo velocipede è democratico, lo usa il giovane rampante con lo zainetto firmato e il pusher col marsupio a caccia di clienti, oltre a ragazzini che, come si faceva una volta col Califfone, modificano il motore fino a farlo diventare competitivo rispetto ai bolidi da MotoGP.
E le mammine ingioiellate e truccatissime – tutte bionde, tutte secche e tutte con la stessa borsa – lasciano il suv di traverso per recuperare i pargoli a scuola per poi portarli, abbandonando il fuoristrada sul marciapiede o peggio parcheggiandolo sullo stallo riservato ai disabili rispondendo garrule a chi obbietta “Mi fermo solo un momento, ho messo anche le quattro frecce”. Non sarebbero da deportazione nel Bush australiano? Anche perché, secondo me, il novantacinque per cento dei baby bulli ha una mamma col suv.
Passando all’ambito ferroviario a chi non è mai capitato di dover viaggiare su un treno strapieno – spesso regionale o regionale veloce – alimentando i propri sentimenti omicidi nei confronti del ragazzotto che occupa con lo zaino l’ultimo dei posti a sedere? Il tutto in spregio della povera vecchina che cerca disperatamente di intercettarne lo sguardo sperando in un suo momento cavalleresco? Macché; il buzzurro ostenta totale indifferenza, incurante anche del sempre più percepibile rantolare dell’anziana che alla fine si accascia sul suo trolley.
Rimanendo sul treno, ma stavolta su uno a prenotazione obbligatoria del posto a sedere, è immancabile l’idiota di turno che sbaglia – o perché non sa leggere o perché e davvero tonto – a sedersi e solitamente tratta con sufficienza vagamente arrogante il legittimo proprietario della poltrona. La variante è “posto giusto ma carrozza sbagliata”, che è pure peggio.
Passando all’elettronica, o meglio al mondo degli smartphone, quanto è atrocemente fastidioso dover eliminare, durante la navigazione internet, l’immancabile banner che impedisce la lettura dell’articolo che ci interessa? Soprattutto perché la X in alto a destra del sullodato banner e che servirebbe per chiuderlo solitamente ha dimensioni vicine al centesimo di micron tanto che per disfarsene, oltre a ricorre all’associazione verbale di divinità e animali da cortile, bisogna farsi crescere l’unghia del mignolo destro e limarla come quella di Nosferatu sperando di riuscire a toccare il punto giusto.
Degni di bando dal consesso umano anche i possessori di cani da combattimento che si rivolgono a loro con un improbabile “cucciolino di papà” esattamente mentre il mannaro sta banchettando col polpaccio di un ragioniere che si è inavvertitamente avvicinato per fargli una carezza.
Concludiamo con un fuoco d’artificio: l’orrendo distributore di volantini pubblicitari – quelli che infestano le strade con bici Graziella vintage, per intenderci – che scampanella la domenica mattina intorno alle sette e trenta per farsi aprire e mollare la sua inutile mercanzia cartacea nell’androne di casa.
Qualsiasi giudice concederebbe le attenuanti, se non il non luogo a procedere, nei confronti del poveretto che insonnolito e in ciabatte ritenesse di fare origami con i lenzuoloni cartacei del sottocosto dopo aver gonfiato come una zampogna il volantinaro.
Molti altri oggetti di fastidio restano da sviscerare, dalle etichette per il lavaggio dei capi d’abbigliamento scritte in etrusco di Volterra ai pacchi di pasta su cui trovare il tempo di cottura è impresa disperata perché magari è scritto tra l’indirizzo del pastificio e la piega della termosaldatura del pacchetto.
È tardi, vado a farmi insultare da un bacucco che mi passa davanti alla cassa del supermercato apostrofandomi con un bel “che maleducata questa gioventù!”
Alessandro Cammarano