Le scuole sono diventate cliniche. E se tornassimo alla scuola “modello gesuitico”? La provocazione

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Umberto Baldo
Mi è capitato di leggere che da anni nelle scuole italiane si evidenzia una crescita costante degli alunni “con disabilità” (nell’anno scolastico 2023-2024 si contavano 395mila studenti, pari al 4,5% del totale). Parimenti i termini più abusati, che francamente mi fanno sorridere, sono diventati “disagio”, “ascolto”, “inclusione”.
Le scuole sembrano diventate cliniche mentali, con maree di ragazzi discalculici, disgrafici, dislessici, asperger, autistici.
Ciò comporta una sempre maggiore presenza di psicologi nelle scuole, e ovviamente un esercito di cosiddetti insegnanti di sostegno.
Capisco che guardare indietro non risolve i problemi, ma quando ero scolaro e studente c’erano i ragazzi più bravi (e ci sono ancora) e quelli meno bravi o meno portati allo studio (e ci sono ancora).
Ma allora era normale sentire genitori affermare “Bah, mio figlio non è portato per i libri, per cui nella vita gli farà fare altro!”. Provate oggi a trovare un padre o una madre che non siano convinti che il pargolo potrà in futuro concorrere per un premio Nobel!
Ecco quindi che scatta l’idea che il figlio non eccelle non perché magari ha naturalmente meno talento di altri, ma perché ha un disturbo fisico o psichico che lo frena, cui necessita porre un rimedio.
Ecco spiegato l’aumento esponenziale delle certificazioni mediche per i “disturbi specifici dell’apprendimento – Dsa”, e la pressante richiesta di sostegno.
Consentitemi che viene il dubbio che questa medicalizzazione della scuola sia dovuta più all’interesse dei genitori a facilitare il percorso scolastico dei figli, piuttosto che a reali difficoltà.
Il nostro è poi il Paese delle congiunzioni astrali.
Per cui se mettere insieme questo interesse dei genitori a spianare il percorso scolastico dei futuri Nobel , con quello dei Sindacati ad aumentare il numero degli insegnanti nonostante il vistoso costante calo della popolazione studentesca, il che comporta l’inserimento di insegnanti di sostegno che non sono risusciti ad avere una cattedra, e quindi palesemente impreparati, il risultato è quello che abbiamo di fronte agli occhi.
Di fonte alle accuse di “insensibilità” che sicuramente mi sto tirando addosso, a me basterebbe che qualcuno avesse il coraggio di ammettere che, al di là dell’ “ascolto”, dell’ “inclusione” e del “disagio”, il risultato è quello di ever messo in piedi una scuola di ignoranti, di analfabeti di ritorno, di ragazzi impreparati alle difficoltà che la vita inevitabilmente presenterà loro.
Solo per accennare ad un problema che in altri Stati si sta affrontando, e che da noi è ancora un tabù, quello della leva militare obbligatoria, qualora venisse ripristinata credo sarebbe difficile che al soldato con “disagio” venisse assegnato un “sergente di sostegno”.
Qui non si tratta di nostalgie per le “scuole dei Gesuiti”, ai quali va comunque riconosciuto di aver formato con mano ferma per secoli le classi dirigenti europee, ma almeno di evitare che il benchmark della qualità di insegnamento diventi quello dei ragazzi meno dotati.
Un’ultima notazione che è poi una domanda: nel curriculum vitae da presentare ad un datore di lavoro si dovrebbe indicare che nella fase formativa il pargolo ha avuto bisogno degli insegnanti di sostegno?
Capisco la privacy, ma sarebbe un ottimo elemento di valutazione per un selezionatore.