Legge di Bilancio e “pasti gratis”. Basta con il populismo economico!
Ho avuto modo di dirvelo altre volte, ma credo sia utile ribadirlo.
Che cosa?
Che da sempre le classi dirigenti si sono impegnate nel far credere a noi cittadini (forse ai loro occhi siamo ancora popolo-bue) che l’economia pubblica sia del tutto diversa da quella familiare; che il Bilancio dello Stato risponda a regole che nulla hanno a che vedere con la gestione del buon pater familias.
E per consolidare questo “distacco” siderale si sono sviluppate vere e proprie discipline insegnate nella Università; dall’Economia politica, alla Contabilità Pubblica, dalla Scienza delle Finanze al Diritto Tributario…. e vai col Cristo.
Non è certo mia intenzione screditare o peggio denigrare coloro che studiano e insegnano queste materie, perché a questi livello siamo pur sempre nel campo delle scienza e della ricerca (anche se il più delle volte gli economisti riescono a spiegarti solo quello che è già accaduto).
No, quello che voglio stigmatizzare è l’atteggiamento della politica, e dei troppi politici che a mio avviso parlano di economia come avessero consumato la vita sui tomi universitari, piuttosto che aver calcato le sezioni di Partito.
Peggio ancora se si tratta di “economisti” che magari una laurea in materie economiche ce l’hanno, ma sono talmente schierati politicamente da “asservire” la scienza agli interessi della propria parte o fazione.
Tornando al tema se i principi dell’economia pubblica siano nettamente diversi da quelli dell’economia di una normale famiglia italiana, la mia risposta è un netto “NO”.
E mi spiego.
La famiglia gestisce denaro, ha entrate e uscite a volte risicate, a volte cospicue, fa investimenti, e necessita di una conduzione economica sia consuntiva che preventiva.
Ovviamente non ha scopi di lucro come un’impresa, o sociali come lo Stato.
Il denaro per la famiglia è un mezzo, uno strumento di supporto per il raggiungimento di obiettivi come la salute, la serenità, la formazione dei figli, il sostentamento degli anziani.
Questo però non significa che una famiglia possa governare la propria economia senza nessun tipo di organizzazione, senza cioè dover operare alcune scelte strategiche, e senza il supporto di un metodo e di adeguati strumenti.
Senza lasciarci andare a voli pindarici o a troppa teoria, vi faccio un esempio pratico.
Pensiamo ad una famiglia composta da padre, madre, e due figli adolescenti che studiano.
Non sto pensando ad una famiglia povera, che ha dinamiche economiche ovviamente diverse, ma ad un nucleo con un reddito familiare tutto sommato adeguato a sbarcare il lunario, senza l’assillo del “ma ci arriverò a fine mese?”.
Mettiamo che una sera a cena il figlio maschio faccia capire di desiderare l’ultimo modello di Iphone, e la figlia un paio di sneaker Dior dal costo di circa 1.000 euro (specifico che non sono pagato dai marchi citati).
Dopo aver fatti due calcoli mentali, il padre cerca di far capire ai ragazzi che quegli acquisti non sono al momento compatibili con il bilancio familiare, però non chiude del tutto con un secco “NO”.
Nel senso che dice ai figli: “ok pargoli, io sono anche disposto ad assecondare i vostri desideri, però mi dovere dire a cosa siete disposti a rinunciare per compensare la maggiore spesa; che ne so a qualche uscita in discoteca, a qualche festa, a qualche “pizza” con gli amici, e quant’altro. Il tutto nella logica di buon senso del “tagliare qualcosa per averne un’altra”.
Spostate l’orizzonte, ingigantendolo, al Consiglio dei Ministri che deve, come in questi giorni, varare la Legge di Bilancio per l’anno prossimo.
Anche qui assisteremo alla stessa scena della famigliola; tutti i Ministri fanno presente al Presidente del Consiglio ed al Ministro dell’Economia le esigenze di maggior spesa per i loro Dicasteri.
Una sana logica economica vorrebbe che Premier e Ministro chiedessero ai singoli Ministri a cosa sono disposti a rinunciare per avere quei nuovi fondi che richiedono, per non scassare ulteriormente i conti dello Stato, facendo per di più lievitare il macigno del debito.
Come vedete l’unica cosa che cambia sono i numeri; nel senso che nella famigliola a ballare saranno 1000 o 2000 euro, mentre per il 2024 la spesa prevista per lo Stato era pari a 1.215 miliardi di euro, il 2,6 per cento in più rispetto al 2023.
Nel 2023 la spesa complessiva è stata di 1.184 miliardi, mentre nel 2022 di 1.093 miliardi.
Dieci anni fa, nella legge di Bilancio per il 2014 le uscite per lo Stato erano state pari a 825 miliardi di euro.
Negli ultimi dieci anni, dunque, le spese messe in conto dai vari Governi nelle leggi di Bilancio sono progressivamente aumentate (anche considerando l’inflazione).
Il che vuol dire che nessun Presidente del Consiglio nell’ultimo decennio ha mai veramente posto ai propri Ministri quella fatidica domanda “a Fra’, dove tagliamo?”.
Il perché è facilmente intuibile: ve l’ho detto di recente che l’essenza della politica è distribuire soldi.
E così per accontentare tutti, e lucrare consenso elettorale, si è continuato a spendere (a debito) soldi come se non ci fosse un domani.
E se questo andazzo continuasse, veramente c’è da chiedersi se ci sarà un domani per i nostri figli e nipoti (quelli ovviamente che non andranno all’estero).
Ma ciò che mi colpisce, facendomi sorridere da un lato, e dall’altro fecendomi uscire dai gangheri, è l’illusionismo economico praticato dagli Esecutivi negli ultimi dieci anni, badato sempre sul postulato bugiardo che i “pasti gratis” esistano.
Per non dire delle teorie sballate secondo cui se spendo uno a debito, anche scriteriatamente ed in un qualunque quadro macroeconomico, mi ritornerà almeno uno e mezzo; così la misura si sarà ripagata e per di più avrò guadagnato mezzo (più che ai testi di economia sembra che questi maitre a penser si inspirino al Vangelo, nella specie alla moltiplicazione dei pani e dei pesci).
Ma il bello è che per giustificare a noi cittadini gonzi questa scriteriata politica spendacciona (hanno ragione i Paesi Frugali e diffidare dell’Italia) si è pure elaborato un apposito lessico.
E così si parla di «flessibilità», che naturalmente significa extra-deficit, di «clausole di salvaguardia», cioè ancora una volta deficit ma confezionato con un rassicurante “pagherò”, (spendo oggi e domani trovo le coperture; solennizzo quest’impegno garantendoti che se le risorse non le trovassi l’IVA e alcune accise aumenterebbero automaticamente; se invece poi le risorse non vengono trovate, le clausole vengono eroicamente… «disinnescate» o “sterilizzate”) e, quella che trovo la più bella, “tesoretto”, termine che sembrerebbe richiamare un forziere fortuitamente rinvenuto nelle segrete stanze del Palazzo delle Finanze, e che invece, ancora una volta è puro… disavanzo.
Tralascio le vette raggiunte ad esempio da Luigi Di Maio e compagni quando dal balcone di palazzo Chigi urlavano peronisticamente “abbiamo abolito la povertà”, o quando con il Governo ”sfascia-bilancio” Conte 2 si spacciò l’idea che il Superbonus 110% si sarebbe ripagato da solo (quanto fosse falso lo abbiamo toccato con mano).
Vi dirò domani, quando continuerò questi ragionamenti relativamente al Servizio Sanitario nazionale, che una delle possibili soluzioni al problema, a parte la più logica di ridurre le spese, o la meno gradita di aumentare la pressione fiscale, sta nel farle pagare, le tasse, ai milioni di italiani che evadono e vivono sulle spalle degli altri, comprese le categorie considerate vicine al Governo.
Chiudo dicendo che la logica del “pasto gratis”, e della deriva “spendacciona” cui assistiamo da anni (emblematico il “bonus Befana” annunciato in questi giorni) hanno delle precise responsabilità.
E non parlo solo della Politica; parlo anche di noi cittadini così economicamente accorti nella dimensione privata, così affamati di “brioches” in quella pubblica, e non ultima anche quella dei giornalisti, che quando li intervistano, forse per piaggeria o per vicinanza ideologica, non pongono mai al Premier o al Ministro di turno la fatidica precisa domanda: “ci spieghi dettagliatamente da dove prenderà questi nuovi soldi?”.
Umberto Baldo