16 Aprile 2022 - 9.53

L’imprenditoria cinese in Italia: un buco da due miliardi di euro

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di Umberto Baldo

Non è certo un fenomeno nuovo quello fotografato dal colonnello della Guardia di Finanza Fabio Demetto (Comandante del Nucleo della Polizia Tributaria di Venezia) qualche giorno fa durante un’audizione alla Commissione della Regione Veneto che si occupa di “Valutazione delle politiche pubbliche e degli effetti della legislazione regionale”, nonché di “Promozione della legalità”.
Perché un anno fa le stesse cose le aveva denunciate il suo collega colonnello Francesco di Giacomo (Comandante a Treviso), senza che nel frattempo sia cambiato nulla.
Stiamo parlando dell’imprenditoria cinese.
Un fenomeno che ben conosciamo anche noi cittadini, perché fra bar, ristoranti botteghe, parrucchieri, bazar, ed una miriade di altre attività, imprenditori con gli occhi a mandorla fanno ormai parte da tempo della nostra realtà quotidiana.
Tanto per fare qualche numero, il sopra citato colonnello Di Giacomo informò che tra il 2008 e il 2012 in Veneto si sono registrati 45mila immigrati cinesi, e l’avvio di 14.914 partite Iva. Di questi imprenditori però il 58% dichiarava zero reddito e il 21% introiti inferiori a 5.600 euro.
Negli ultimi dodici anni tuttavia sono stati accertati debiti fiscali per 900 milioni, a fronte dei soli 33 riscossi dallo Stato (3,7%). Parimenti su 260 milioni di contributi dovuti all’Inps, solo 9 milioni (3,5%) sono tornati nelle casse dell’Erario, per una infedeltà fiscale che si assesta al 95%.
Nello stesso periodo inoltre, tramite i soli intermediari finanziari ufficiali, sono stati trasferiti all’estero 570 milioni di euro.
Un anno dopo, l’altro colonnello della GdF espone ai Consiglieri Regionali numeri altrettanto sconcertanti, che si possono riassumere in poche parole: 8 cinesi su 10 che vivono e lavorano nel territorio regionale non dichiarano alcun reddito, per un’evasione stimata negli ultimi vent’anni pari a 2 miliardi di euro.
Ma non solo si limitano a frodare il fisco, e quindi tutti i contribuenti italiani che pagano le tasse, ma molti di loro richiedono anche sussidi statali, come il Reddito di Cittadinanza.
Poiché sappiamo quanto “occhiuto” possa essere il Fisco italiano, e sentiamo di continuo le lamentazioni dei nostri imprenditori sull’insostenibile pressione tributaria, viene da chiedersi: ma come fanno questi cinesi a non pagare nulla?
Semplice.
Hanno capito che il Fisco per mettere a fuoco un’attività imprenditoriale ha bisogno di dati relativi ad un certo periodo di tempo.
Quindi ricorrono al cosiddetto sistema dell’ “apri&chiudi”, nel senso che aprono le imprese, e poi le chiudono dopo meno di tre anni di attività.
Sempre le Fiamme Gialle venete hanno reso noto che questo tipo di aziende ha una vita media di 900 giorni, rilevando anche che spesso si tratta di semplici passaggi di nome, con le attività che magari non chiudono davvero, ma finiscono solo affidate ad un prestanome.
Capite bene che in una girandola simile, in un simile polverone, quando la Polizia Tributaria, a fronte ovviamente di chiare anomalie, decide di mettere il naso, e compie quindi un accesso all’impresa, molto spesso trova locali vuoti ed “imprenditori” (mi fa male chiamarli così) spariti nel nulla.
E i soldi?
In base alla nota regola del “passata la festa, gabbato lo Santo” gli schei o sono stati riciclati in altre attività, oppure sono stati trasferiti nella madrepatria cinese.
E buona notte al secchio!
Sia chiaro che non è giusto fare di ogni erba un fascio, e sicuramente ci sono anche imprenditori cinesi che si comportano secondo le regole, ma se il loro numero si aggira attorno al 5-10% del totale, dobbiamo dire con forza “così proprio non va bene!”
Vedete, qui non siamo di fronte ai “misteri” che aleggiano da sempre attorno ai cinesi d’Italia, tipo quello che non si sa che fine fanno i loro morti, visto che funerali di residenti non se ne vedono.
Qui parliamo di un fenomeno molto complesso, che va dall’acquisto di beni o attività costosi direttamente cash, soldi in mano, alla generale, e ormai documentata, evasione fiscale.
Il che alla fine vuol dire semplicemente che questo figli dell’Impero del Dragone ci fregano tre volte: non pagando le tasse dovute, incassando sussidi cui non avrebbero diritto, e trasferendo i profitti “reali” in Cina.
Per non dire che questa vera e propria “economia truffaldina” finisce per gravare oltre che su tutti noi, in particolare su chi fa impresa in modo onesto, e si trova in difficoltà a confrontarsi sul mercato con imprese fuori legge.
Pur non essendo un propugnatore di forme di protezionismo in economia, debbo riconoscere che la liberalizzazione pressoché totale non ha aiutato, perché permette aperture, chiusure e cambi di attività difficili da controllare, come ben sa chi vive di malaffare.
Senza contare che in Italia la lentezza della giustizia e della burocrazia, unite alla mancanza della certezza della pena, da un lato non invogliano i partner stranieri seri a investire nel BelPaese e, dall’altro, alimentano le irregolarità e l’economia criminale.
Io penso che a questo punto denunciare serva a poco.
Inutile che ogni anno un Colonnello della Guardia di Finanza di turno, servitori dello Stato benemeriti capiamoci bene, ci informi sulle prodezze in negativo dell’imprenditoria cinese nel nostro Veneto (ma è così ovunque in Italia), facendoci per di più salire la pressione per la rabbia.
Io penso sia tempo di mostrare un po’ i denti alla comunità cinese, magari stabilendo la revoca del permesso di soggiorno in caso di provata evasione.
Ed invece di inchinarsi alle autorità cinesi, come hanno fatto i nostri Governanti negli anni scorsi magnificando la “via della seta”, perchè non chiedere come contropartita ai mandarini di Pechino una maggiore trasparenza nell’opaco sistema dei trasferimenti di denaro fra Italia e Cina?
Sono decenni che si parla di questo fenomeno, ma a Roma sembra importare poco. Forse che i nostri politicanti temono di irritare le Autorità cinesi?
Quindi molto meglio, e molto più facile, bastonare fiscalmente i nostri imprenditori.
E questa, da qualunque parte la si guardi, è una porcata.

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