23 Agosto 2024 - 10.28

L’Italia, compreso il Veneto, continua a “regalare” i giovani migliori agli altri Stati

Non è la prima volta che parlo di ”emigrazione giovanile”.

L’ultima risale al 15 febbraio 2023  (https://www.tviweb.it/pillola-di-economia-in-otto-anni-sono-espatriati-40-000-giovani-laureati-veneti/), ma ritengo opportuno ritornare sul tema  perché, a mio  avviso, si tratta del classico elefante nella stanza, che le Istituzioni e la Classe dirigente del Paese si ostinano a non vedere.

A volte veramente mi sembra di assistere ad un film, con un palcoscenico in cui si muovono personaggi alla rinfusa, in un puzzle senza senso.

Guardate, non voglio ripetere le solite geremiadi che lasciano il tempo che trovano.

Il fenomeno è noto, e ormai anche annoso.

Riassumendolo, possiamo ricordare che dal 2011 al 2021, il numero degli italiani che si sono trasferiti all’estero è cresciuto sempre più, passando dai 50 mila l’anno di inizio periodo ad oltre 120 mila. Dopo la frenata del 2021 causata dal Covid, già nel 2022 gli espatri sono tornati a salire (+5,6%). 

L’aspetto più drammatico riguarda ovviamente proprio i giovani: dal 2011 al 2020 sono andate via oltre 451 mila persone tra i 18 e i 34 anni, il 4,4% della popolazione dei pari età. 

È vero che qualcuno nel frattempo è rientrato, ma il saldo resta largamente negativo, con oltre 317 mila giovani in meno. 

Ma diversamente dall’emigrazione classica, che vedeva le Regioni meno sviluppate in testa al fenomeno, da qualche anno i numeri dicono che, di fatto, il flusso più consistente parte dalle Regioni del Nord, quelle dove, almeno in linea teorica, le opportunità di lavoro dovrebbero essere più numerose e diversificate.

Tanto è vero che, sempre nei dieci anni considerati, sono andati via oltre 124 mila giovani dal Nord Ovest, e oltre 91 mila dal Nord Est, il 4,6% dei pari età.

Altro dato interessante; dalle Regioni del Nord Italia i giovani sono volati verso Belgio, Francia, Germania, Olanda, Svizzera e Regno Unito, i sei Paesi preferiti da chi espatria. 

Da quegli stessi Paesi, però, sono arrivati nel Nord Italia soltanto 17 mila giovani,  dato che mostra con chiarezza la scarsa attrattività del nostro mercato del lavoro, a dispetto della presenza sul territorio di tante imprese capaci di esportare in tutto il mondo.  

Quindi, alle prese con una contrazione demografica ampiamente documentata, il nostro Paese si trova a fare i conti anche con l’esodo consolidato di una parte del suo capitale umano maggiormente qualificato. 

Questo è un doppio colpo per l’economia italica. 

Da un lato investiamo nella formazione di giovani che andranno a portare il loro talento in altri luoghi, contribuendo allo sviluppo dei Paesi ricettori; dall’altro, ci stiamo privando del fattore maggiormente rilevante nell’economia della conoscenza, il capitale umano. 

Ed è inutile girarci attorno; un Paese senza giovani, anche se con il Governo dei Patrioti è diventato “aaaa Naaaazzzziiiioone”, non ha futuro; punto e a capo.

Come accennavo all’inizio, mentre la contrazione della natalità è ampiamente conosciuta, l’esodo di centinaia di migliaia di giovani è ancora largamente “ignorato”, e rimane forte la sensazione che le Istituzioni non riescano, o non vogliano, riconoscere l’entità e la gravità del problema.

Ma proprio per questo io credo sia arrivato il momento di dire le cose come stanno, o almeno come le vedo io.

Perché i ragazzi se ne vanno?

Perché, anche al Nord, mancano per i giovani più preparati opportunità di lavoro adeguate alle loro aspettative. 

Mancano, in particolar modo, salari che diano dignità al talento e ai curriculum di una parte considerevole di ragazzi, costretti ad accettare retribuzioni lorde che difficilmente superano i 30 mila euro l’anno, anche per chi è in possesso delle tanto ambite lauree Stem (STEM è l’abbreviazione di Science (scienza), Technology (tecnologia), Engineering (ingegneria) e Mathematics (matematica). 

Riassumendo, i ragazzi se ne vanno per il differenziale degli stipendi, e per la percezione che ci siano maggiori opportunità fuori dai nostri confini (pochi Paesi come il nostro appaiono ingessati da questo punto di vista. Dalla Scuola alla Sanità, conta solo l’anzianità di servizio, rispetto al talento).

Ed al riguardo permettetemi un commento personale. I nostri giovani, soprattutto quelli che si sono laureati al top, capiscono subito,  non appena si affacciano al mondo del lavoro, che la meritocrazia in Italia non ha alcun valore, e che viviamo ancora in una sorta di villaggio medioevale in cui a dare le carte è il “familismo immorale”, od in alternativa il “conoscere qualcuno”.  E credetemi che coloro che occupano posti importanti sia nel pubblico che nel privato una bella “spinta iniziale” ce l’hanno avuta quasi tutti, spesso in barba ad altri più preparati di loro.

Tutto questo in un’epoca in cui gli imprenditori lamentano la fatica di trovare risorse qualificate, e di conseguenza sono spesso costretti a ridimensionare le prospettive di crescita aziendale. 

Ma allora credo ci si debba porre questa domanda: non è che sia il modello economico-industriale-produttivo a non funzionare più?

Mi spiego meglio.

Noi abbiamo “mitizzato” la piccola impresa; senza tener conto che le piccole imprese, per le loro intrinseche caratteristiche, difficilmente hanno bisogno di certe professionalità di standing elevato. 

Stiamo difendendo a spada tratta ad esempio i balneari, e sarà anche vero che in questa fase il turismo sta tenendo su la baracca, visto che la produzione industriale batte un po’ in testa, ma stiamo parlando di imprese di servizi, in grande parte operanti in attività a basso valore aggiunto, appunto come il turismo e la ristorazione.   

Ma anche per le piccole imprese che competono nei settori industriali del Made in Italy, le dimensioni medie non superano i sei addetti.

La conseguenza è ovvia; chi si è fermato presto con gli studi, se vuole un lavoro (ad esempio il saldatore, o l’idraulico o l’elettricista) lo trova subito in Italia.

Molto più difficile per i laureati che ambiscono a professioni adeguate trovare posto ed inserirsi nel mondo delle piccole imprese. 

Voglio infierire; questa è la brutale fotografia dell’esistente!

E vivaddio, bisognerà pur dire a chiare lettere ai nostri ragazzi, prima che intraprendano certi corsi di studi, che il Veneto, il Nord Est, ed il Nord in generale, non  hanno un  numero di grandi aziende che possano assorbire molte alte professionalità.

Certo, anche se continuiamo a non spiegarglielo, alla fine la strada dell’estero i ragazzi la trovano da soli, ma potrebbe anche darsi che, a fronte di indicazioni chiare, alcuni giovani che invece desiderino restare a vivere in Italia decidano di avviarsi verso professioni di cui c’è grande richiesta.

Certo parliamo di operai  e tecnici specializzati, di tornitori, di fresatori, ma anche di lavoratori che sanno operare con macchinari complessi, che ormai guadagnano nettamente di più di un insegnante, solo per fare un esempio. 

E credetemi che oggi un imprenditore è disposto a fare carte false pur di non perdere maestranze con dette professionalità. 

Anche il mondo del turismo e della ristorazione potrebbero essere uno sbocco professionale, purché da parte dei datori di lavoro ci fosse la volontà di migliorare sia le retribuzioni che le condizioni di lavoro.

L’agricoltura meriterebbe un discorso a parte, perché, come ci palesano le cronache, in parte di questo settore siamo ancora alle prese con fenomeni di “schiavismo”.

In altre parole, non è certo scritto sul Talmud che i ragazzi debbano diventare tutti medici, avvocati, ingegneri, fisici, ecc., come non è scritto che i Licei siano le uniche scuole superiori degne di essere frequentate (ciò va spiegato innanzi tutto ai genitori).

Per non dire che ci sono nuovi mestieri che avanzano, che le attività tradizionali sono in difficoltà, ma si sono trasformate, ed in qualche caso hanno fatto anche un salto dimensionale. Stanno sparendo gli artigiani, ed è un male, ma nasceranno altre nuove attività professionali con  le quali bisognerà fare i conti ed aggiornare gli studi.

Ed è per questo che bisognerebbe fare leva sugli Its, gli Istituti Tecnici Superiori, che stanno tra i diplomi e le lauree, per dare a questo nuovo artigianato la cornice di una formazione adeguata. Capace di dargli anche un fascino, un’immagine più accattivante per attirare i giovani. 

In Germania lo fanno da sempre, perché da noi non lo si fa?

Quello della fuga dei giovani laureati è un fenomeno che dovrebbe fare tremare i polsi a politici che abbiano a cuore il futuro dell’Italia, ma vedo invece che si preferisce perder tempo, ed occupare giornali e media, con facezie tipo fantomatici “complotti”.

Ma c’è poco da fare, questi sono i politici che passa il convento, e questi ci tocca tenerci (mi auguro fino a che non ne avremo le p….e piene).

Umberto Baldo

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