26 Marzo 2024 - 9.09

L’Italia… fra “Eldorado”, “Caritas” e “Chiagni e fotti”. Siamo ricchi o poveri?

Certe volte  mi chiedo come possa un cittadino comune, come me e come voi,  capire come vanno veramente le cose nel nostro Paese, se i nostri politici si atteggiano come gli ultras delle famigerate curve di certi stadi, o come gli avvinazzati in osteria quando hanno fatto il pieno.

Cerco di spiegarmi meglio, ponendo una domandina facile facile: sapreste dire come sta andando veramente l’economia in questa nostra benedetta Italia?

In realtà, di fronte alla complessità di uno Stato moderno, si tratta di un quesito tutt’altro che facile, ma diventa quasi impossibile rispondere, e certe volte addirittura farsi un’idea precisa, se i messaggi che arrivano dalla politica sono antitetici tra loro.

Sì, perché secondo una parte, chiaramente il centro Destra al Governo, l’Italia oggi sarebbe una sorta di “Eldorado” in cui l’economia non solo tira, ma dà la polvere a Paesi ben più ricchi come Germania e Francia.

Dall’altra parte, al contrario, l’Italia viene dipinta come un Paese sull’orlo del baratro, con orde di persone che non riescono ad arrivare a fine mese, con code alla Caritas di gente ridotta alla fame, con masse di disoccupati sbandati per le strade, con disuguaglianze devastanti che fanno pensare addirittura al Medioevo o all’Inghilterra di Dickens.

Ma ce la vogliamo dare una regolata?

Va bene che impera il bipolarismo, va bene che l’economia non è mai stata materia in cui noi italiani medi eccelliamo, per cui Lor Signori pensano di propinarci qualsiasi “cazzata”, va bene che la campagna elettorale permanente costringe i Partiti ed essere sempre alla caccia dell’ultimo voto, ma forse vale la pena di rispolverare il vecchio brocardo latino “in medio stat virtus”.

Perché non solo certe esagerazioni minano la credibilità della politica in generale, ma se c’è una cosa che fa male alla salute di un Paese è l’uso strumentale, non importa se in chiave ottimistica o pessimistica, dei dati relativi alla congiuntura finanziaria. 

E se si guardano le cose con maggiore pacatezza, senza essere accecati dall’ideologia o da una insana passione politica, si può vedere che non hanno ragione né gli uni né gli altri.

Partendo dai pessimisti, di maniera o di professione poco importa, la fotografia che fanno dell’Italia come di un Paese abitato da poveri alla canna del gas, è totalmente falsata.

Certo ci sono fasce della popolazione che non navigano nell’oro, e spesso coincidono con gli immigrati, certo l’inflazione è stata tosta, ma in generale questo è un Paese dove milioni di persone vanno abitualmente al ristorante, si fanno qualche viaggio, si godono le vacanze al mare o in montagna, e spesso all’estero, sottoscrivono miliardi di euro di Btp valore, frequentano negozi e centri commerciali e comprano di tutto, compresi i beni di lusso.

Oltre tutto questo è un Paese dove, complice l’intera classe politica, destra- sinistra-centro, si evadono allegramente 100 miliardi di euro l’anno di tasse, ed è evidente che quei soldi alla fine vengono spesi in consumi, alla faccia di chi invece le tasse le paga. 

Volete una conferma? 

Ricordate quando l’allora premier Mario Monti spedì il 30 dicembre 2012 le Fiamme Gialle a Cortina a controllare gli incassi di soli 35 negozi, e le dichiarazioni dei redditi di un po’ di “vacanzieri”?  

Allora si protestò con veemenza, e si urlò contro “lo Stato di Polizia fiscale” e contro “le mani nelle tasche degli italiani”, ma la verità è che dai controlli  delle dichiarazioni dei redditi dei 133 proprietari di 251 auto di lusso di grossa cilindrata, risultò che  42 di queste erano di proprietà di “cittadini che facevano fatica a sbarcare il lunario”, avendo dichiarato 30mila euro lordi di reddito sia nel 2009 sia nel 2010; altre 16 auto risultarono intestate a contribuenti che nei precedenti due anni fiscali avevano dichiarato meno di 50 mila euro lordi. Le restanti 118 supercar “analizzate” risultarono intestate a società: in 19 casi società che negli ultimi due anni avevano dichiarato bilanci in perdita; in 37 casi società che avevano dichiarato utili per meno di 50 mila euro lordi.

Inutile dire che Monti dovette prendere atto dell’ “allergia ai controlli” degli italiani (degli evasori aggiungo io!), e chiuderla là. 

Questa è l’Italia del “chiagni e fotti”, quella dei nullatenenti in Ferrari!

Certo ci sono tante cose che non vanno, a partire da un servizio sanitario sempre più incapace di stare al passo con i bisogni, ma in generale la cosiddetta “visione pauperistica” dell’Italia forse andrà bene per prendere qualche voto in più, ma sicuramente non risponde assolutamente alla realtà.

Ed in ogni caso, prima di parlare di nuove tasse, o addirittura di patrimoniali, questi sostenitori del “pauperismo generalizzato” farebbero bene a pensare a come far pagare le tasse a quelli che non le pagano (e forse l’idea di Monti del 2012 non era così peregrina, visto che ad esempio a me, chissà perché, non disturberebbe affatto se la Finanza mi chiedesse di esibire il 730).

Passando dall’altra parte della barricata, ovviamente a destra,  suonare la grancassa perché la Germania è in recessione tecnica (senza tenere conto che ciò rappresenta una iattura per certi nostri settori produttivi), o perché i cugini francesi vanno un po’ a rilento, facendo intendere che sotto il cielo italico tutto va bene, è semplicemente provinciale ed irrealistico.

Perché, e sia chiaro che non è certo colpa dei “patrioti”, l’Italia è un Paese in declino strutturale dall’inizio degli anni ’90. 

In altre parole è da circa un trentennio che scontiamo un gap sul reddito prodotto, sulla produttività, sulla competitività, sull’ammodernamento delle infrastrutture, sulla funzionalità dell’intera Burocrazia, e di certi settori cruciali come la Giustizia.

Noi non abbiamo ancora superato le crisi del 2008 e del 2011, cui si è aggiunta quella della pandemia da Covid, e purtroppo i numeri stanno a dimostrarlo impietosamente: spesa pubblica a 1.200 miliardi (oltre metà del Pil), debito al livello monstre di 2.849 miliardi a gennaio scorso, debito che per il 2023 è stato pari al 137% del Pil. 

Cosa ci sia da festeggiare, comparando per di più orgogliosamente la nostra situazione con quella tedesca o francese, o di altri Paesi, proprio non riesco a capirlo.

Dal 2000 in poi la crescita del Pil, sempre stagnante in realtà mentre altri correvano (tipo la Spagna), la si è dovuta sostanzialmente alla resilienza del nostro sistema industriale, che pur fra mille difficoltà ed intoppi ha saputo produrre beni e servizi da esportare a livelli eccezionali. 

E la politica come ha risposto?

Con genialate come il Superbonus 110%, che rifacendo le case dei ricchi con i soldi dei poveri, ha sì fatto aumentare il Pil del 2022, ma a costo di un ulteriore appesantimento del macigno del debito pubblico (che anche se non vogliamo porci il problema, qualcuno prima o poi sarà chiamato a pagare). 

E, ripeto, non so cosa ci sia da festeggiare, perché dopo la “fiammata” del Superbonus, a gennaio scorso la produzione industriale è risultata in calo del 3,4% su base annua.

Per non dire di certi incomprensibili “svarioni” di tipo culturale.

Un solo esempio; i nostri Demostene da un lato sparano a palle incatenate contro la politica dei tassi della Bce, dall’altro annunciano trionfalmente che l’inflazione nostrana si sta avvicinando al livello target del 2%.

Capite bene che si rasenta la schizofrenia.

Cosa ha fatto abbassare l’inflazione?  Lo Spirito Santo, oppure la stretta sui tassi imposta della Banca Centrale?  Sicuramente non i tanti condoni decisi a favore dei soliti noti. 

Altro dato cui si inneggia è quello dello “spread”, calato da inizio anno di circa il 25%, tanto che si aggira sui 131 punti (valore di ieri).

Certo c’è da rallegrarsi pensando che nel 2019 questo dato viaggiava sui 280 punti.

Ma come sempre guardare il dato in valore assoluto, a mio avviso è sbagliato.

Perché è vero che il differenziale Btp-Bund viaggia intorno ai 131 punti, ma ciò non toglie che il nostro sia lo spread più alto d’Europa (se si escludono Ungheria e Repubblica Ceca), e che gli altri viaggiano a livelli ben inferiori, tipo la Spagna a 83, il Portogallo a 65 ed il Belgio a 56.

Ed è pur vero che, per fortuna, non abbiamo problemi a piazzare il nostro debito pubblico, ma resta sempre il fatto che il rating dei nostri Btp è inchiodato a BBB, ad un solo gradino dal livello “spazzatura”.

Questa dovrebbe essere la vera sfida per un Governo, da sbandierare ai quattro venti in caso di successo.

E quindi Giorgia Meloni dovrebbe cercare di gestire i conti pubblici allo stesso modo che ha consentito ai Governi Spagnolo e Portoghese di passare dal rating “BBB”  rispettivamente ad “A”  e “A-“.

Ecco perché, tornando al tema iniziale, troppo ottimismo o troppo pessimismo sono entrambi deleteri.

L’Italia non ha bisogno di una classe politica di tifosi scalcagnati, bensì di uomini e donne di governo capaci di fare un bagno nella realtà, di parlare chiaro ai cittadini, dicendo loro la verità, anche quando la verità è scomoda.

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