ll “grido di dolore” di Confindustria berica
Senza scomodare Alcide De Gasperi, che per rimettere in piedi un’Italia devastata dalla guerra capì che prima di ogni altra cosa bisognava partire dalla ricostruzione di un sistema produttivo efficiente, esattamente dieci anni fa, dopo il sisma devastante che colpì l’Emilia Romagna, ricordo che il Presidente Stefano Bonaccini indicò anche lui il sistema delle imprese come il primo punto da cui ripartire.
Forse a qualcuno potrà sembrare strano che per commentare l’Assemblea di Confindustria Vicenza di venerdì scorso faccia riferimento a questi esempi.
Ma se ci pensate bene non c’è nulla di anomalo, perché la crisi energetica nella quale siamo immersi, e dalla quale onestamente non è facile prevedere come se ne usciremo, pone ancora l’economia e le imprese al centro dei problemi.
Non è sicuramente un caso se l’appuntamento di venerdì agli stabilimenti Omc Etr Trenitalia (dove si fa la manutenzione alle “frecce”) abbia visto la platea più affollata che si ricordi a memoria per un’assemblea che era pur sempre provinciale; oltre 1300 imprenditori.
Ma non dobbiamo dimenticare che Vicenza è una delle provincie più industrializzate d’Italia, la terra del Pil e delle Partite Iva, la capitale italiana dell’export, capace di mettere alle spalle Lecco, Varese, Como, Monza e Brianza, e la stessa Milano.
Ed è naturale che qui si manifesti più che altrove la preoccupazione per l’attuale congiuntura economica.
E non meraviglia se gli imprenditori siano ancora “imbufaliti” per la caduta di Mario Draghi, considerato l’uomo più autorevole e capace di dare risposte concrete ai problemi del presente.
Come non meraviglia che all’assemblea fossero stati invitati Carlo Calenda (Azione), Enrico Letta (Pd) ed Alfonso Urso (FdI), tutti candidati in Veneto, unitamente ai due Governatori del Veneto Luca Zaia, e dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, perché mai come in questo momento l’imprenditoria sente impellente l’esigenza di avere un’interlocuzione concreta e seria con una politica all’altezza della situazione.
Qualcuno ha cercato di interpretare le assenze sia del Presidente di Confindustria nazionale Carlo Bonomi, sia di Giorgia Meloni, come messaggi, ma io credo che con la dietrologia non si va da nessuna parte.
“Questa platea si attende molto da chi parlerà” – questo l’incipit della relazione della Presidente Laura Dalla Vecchia – “Ma noi non vediamo una presa di coscienza, l’impresa non è considerata, come dovrebbe, il vero motore di sviluppo. Per questo siamo preoccupati”.
E continuando: Sorridiamo quando ci annunciano che il sacrificio sarà abbassare i termosifoni a 19 gradi. Ma non è questo che terrorizza le imprese, ci fa paura la mancanza di programmazione sul medio-lungo termine di un Paese che ha scelto di rinunciare a uno dei suoi uomini migliori (applauso). Ci spaventa che al centro del dibattito politico non ci sia il tema della competitività, il danno irreversibile della chiusura di una azienda. Rischia tutto il Paese, servizi, sanità, scuola, e persino la politica. Senza imprese salta tutto per aria”.
Ma reputo fondamentale anche questo passaggio della Presidente: “La ricchezza per essere distribuita deve prima essere creata. Prima. È imbarazzante ribadire un concetto così banale”.
E a seguire: “I rincari dell’energia erano un problema prima della guerra. Nessuno ci ha ascoltato. Ci troviamo nell’impossibilità di crescere per ragioni che non dipendono da noi. È diventato impossibile crescere in questa nazione. Noi imprese quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto. È il sistema paese che non regge la nostra velocità. E nonostante questo vorrei ringraziare Mario Draghi. La sua statura istituzionale anche a pochi giorni dal famoso non voto ha fatto in modo di migliorare la dipendenza dalla Russia dal 40 al 20 per cento, se la smettessero di mettersi di traverso i no a tutto con i rigassificatori in due anni saremmo indipendenti”.
Sarebbe veramente utile poter riportare tutto l’intervento della Presidente Dalla Vecchia, ma purtroppo lo spazio è tiranno.
Comunque quest’ultimo passaggio voglio sottolinearlo: “Ha ancora senso investire qui? Lo fa chi ci è nato e continua a crederci, ma sta diventando un caso sempre più raro. Mentre fioccano le offerte di acquisto delle nostre aziende da parte di gruppi e fondi che non hanno alcun legame con il territorio, e non è affatto scontato che restino qui, finendo per depauperare il nostro tessuto produttivo”.
Il sentiment degli imprenditori, di uomini e donne che ogni giorno si confrontano con il mercato, con una concorrenza agguerrita, con un sistema paese inadeguato, direi che è tutto qui, nelle parole di Laura Dalla Vecchia.
E la politica?
I tre big presenti, Calenda Letta e Urso, come accennato sono tutti candidati in Veneto, e quindi forse la platea aspettava indicazioni chiare.
Vi risparmio i loro interventi, da un lato perché sarebbe stato troppo pretendere che potessero in poche parole cambiare decenni di politiche fallimentari, dall’altro perché, cosa volete, mica potevano discostarsi dalle linee programmatiche dei propri partiti.
Secondo i cronisti presenti, a giudicare dagli applausi avrebbe vinto nettamente Carlo Calenda, perché parla la stessa lingua del pubblico presente, perché (parole strappate a qualche imprenditore) “è un manager”, perché la sua “Industria 4.0 fa ancora brillare gli occhi a chi oggi fa fatica a far quadrare i conti con le bollette.
Decisamente meno applausi per gli altri.
Ma si è colto anche un notevole gradimento per i due Governatori Zaia e Bonaccini, visti come “gemelli diversi”, molto probabilmente perché sono percepiti più come bravi amministratori che come politici.
Difficile, e forse anche inutile, cercare di capire come questa assemblea possa influenzare il voto di domenica prossima nel mondo imprenditoriale.
Lega e Forza Italia sembrerebbero in disgrazia, Calenda suscita un indubbio interesse, anche se chi aspira ad un governo stabile non nasconde la possibilità di confluire sulla Meloni.
Rimane sullo sfondo, incombente ed irrisolta, la questione definita “imbarazzante” dalla Presidente Dalla Vecchia “La ricchezza per essere distribuita deve prima essere creata. Prima”.
Concetto che sembra banale, ma che cozza contro una narrazione anti impresa che da troppi anni rappresenta una costante nel nostro Paese e nella nostra società.
Alimentata da un diffuso “chavismo all’amatriciana”, in salsa populista, sublimato in questa fase della politica neo-borbonica di Giuseppe Conte, che ha fatto passare nei cittadini l’idea che si possa vivere di redditi di cittadinanza, di bonus, di assistenzialismo, di cassa integrazione perenne, come se i soldi nascessero sugli alberi come nella favola di Pinocchio , e non dal fatturato delle imprese.
Vedremo se il nuovo Parlamento, il nuovo Governo, qualunque esso sia, si impegnerà a voltare pagina, per ridare all’impresa, che è fatta sì di imprenditori, ma anche e soprattutto di lavoratori, il ruolo che merita come fulcro della società, in quanto creatrice di ricchezza.
In attesa, a pochi giorni dalle elezioni, mi permetto di segnalarvi un aforismo di Bernard Baruch: “Vota per quello che ti promette di meno, sarà quello che ti deluderà di meno”.