Lo chiamavano Alpe Madre: Loris Giuriatti torna a raccontare la montagna e la Grande Guerra
Loris Giuriatti torna a casa per farci camminare ancora una volta sui passi della storia, nel suo amato Grappa. Quella montagna che l’ha accolto e dove la memoria si fonde alle emozioni in una storia fatta di coraggio, tenacia, amicizia e passione. A dieci anni dal suo primo Angelo del Grappa, arriva in tutte le librerie “Lo chiamavano Alpe Madre”, il nuovo romanzo edito da Rizzoli. Tra osti leggendari, malgari, “recuperanti” e personaggi poco raccomandabili che hanno perso il rispetto per la comunità di cui fanno parte, Angelo e i suoi amici faranno luce su una vicenda di più di cento anni prima. Pagina dopo pagina, tra Vienna e il Grappa, scopriremo una storia legata a doppio filo con un amore contrastato e un mistero che risale alla Prima guerra mondiale. L’insegnamento più importante? Quello di non dimenticare ciò che è stato, né tanto meno di dubitare mai di quell’amore che trova la forza di superare anche gli ostacoli più grandi, viaggiando nel tempo e nello spazio. Ne parliamo con l’autore.
Loris,
perché lo chiamavano Alpe Madre?
«Il
primo nome del Monte Grappa è stato Alpe Madre. Solo dalla metà del
Settecento hanno cominciato a chiamarlo con il nome di oggi. Ho
scelto questo titolo perché mi piaceva il contrasto tra l’aspetto
del Grappa che tutti conoscono di più, quello legato alla guerra più
maschile e più cruento, e l’idea della montagna degli anziani che
invece lo chiamavano Alpe Madre. Un’immagine femminile che poi è
anche una parte importante del romanzo».
Che
ruolo hanno i personaggi femminili all’interno della
storia?
«Troviamo
donne di due epoche distinte: la figura dell’eroina del secolo
scorso e quella dei giorni nostri. In entrambi i casi, sono persone
di carattere che si dimostrano determinanti in più situazioni
durante l’evolversi della storia. Si tratta di donne coraggiose che
sono fondamentali e vanno avanti sempre e comunque, nonostante tutto.
Per me era importante valorizzare la donna in una guerra maschile.
Nei grandi testi le donne purtroppo sono state sempre tenute poco in
considerazione, ma se facciamo un’attenta analisi della Prima
guerra mondiale, il mondo è andato avanti perché le donne lo
portavano avanti. Certo, la guerra era combattuta dagli uomini, ma
mentre gli uomini erano al fronte le donne si occupavano dei campi,
delle fabbriche e così via. Se si è potuto tornare alla normalità
dopo la guerra è stato anche perché c’erano le donne».
Come
è nata l’idea di questo secondo romanzo?
«Ho
sempre pensato che “L’angelo del Grappa” fosse un romanzo
completo: il lettore quando finisce il libro conclude un percorso.
Non avevo pensato ad un seguito, ma in qualche modo “Lo chiamavano
Alpe Madre” lo è diventato in maniera naturale. Per me è stato
semplice scegliere Angelo come protagonista. A distanza di dieci anni
troviamo un Angelo più grande, così come è cresciuto il romanzo e
chi l’ha scritto. È un modo di raccontarmi e di raccontare il
Grappa in maniera più matura».
Amore
e guerra sono due concetti per certi versi contrapposti, per altri
vicini se pensiamo per esempio all’amore per la patria. Si può
ancora parlare di amore per la patria ai giorni nostri?
«Il
senso della patria di oggi e il senso della patria di cent’anni fa
sono due cose differenti. Penso che in questo momento storico sia più
legato al senso di conservazione e tutela. Amare la patria significa
in qualche modo amare e difendere un territorio, facendo il possibile
perché mantenga inalterata la sua biodiversità. È un concetto
molto diverso da quello di cent’anni fa: al tempo, per l’amore di
patria, si andava anche a sacrificare un territorio. Se ci pensiamo
la guerra ha devastato luoghi come l’Altopiano dei Sette Comuni, il
Grappa, le Dolomiti».
Storia
e finzione. Nel libro racconti di alcuni episodi realmente accaduti
durante la Prima guerra mondiale. Quali sono?
«Racconto
dell’assalto del maggio del 1918, un fatto fondamentale anche ne
“L’angelo del Grappa” ma dalla visione opposta, dalla parte
dell’esercito austroungarico. Questa scena è stato il frutto di
dieci anni di studi che mi hanno portato a leggere e cercare visioni
differenti di quella che è stata la Grande Guerra, anche sul Grappa.
È stato interessante scoprire e conoscere anche l’altra faccia
della medaglia. Racconto poi del cinquantesimo anniversario di Ca’
Tasson e immagino un dialogo tra Ettore Viola e Aurelio Rosa che, a
distanza di cinquant’anni, si prendono in giro e si sentono amici,
anche se sono partiti da due mondi molto differenti. Uno era capitano
e uno tenente. Sebbene all’anniversario rivestano dei gradi
superiori continuano a chiamarsi come un tempo, come se la storia si
fosse fermata cinquant’anni prima per loro».
Al
di là dei personaggi storici, per gli altri personaggi del libro ti
sei ispirato a persone realmente conosciute?
«Ho
fatto di peggio: li ho pure nominati con il loro nome. Utilizzare i
nomi reali delle persone è sempre un rischio, ma volevo che questo
libro potesse spingere i lettori di tutta Italia a salire sul Grappa
a conoscere i personaggi del libro. Un modo per aiutare una
microeconomia, quel micromondo che descrivo nel libro dove tutti si
aiutano e si danno una mano. Il libro vuole essere anche un’occasione
di visibilità per un territorio che amo. Non è meno importante
raccontare la storia di montagna di oggi rispetto a quella di cento
anni fa».
Il
Monte Grappa per te cosa rappresenta?
«Rappresenta
una parte importante della mia vita ed è un po’ casa mia. Trovo
curioso che ogni volta venga scelta per il retro di copertina una
frase che ha proprio a che fare con il fatto che sono una sorta di
cantastorie di questo Grappa. Sento un dovere morale inconscio nei
confronti di questa montagna. Come se fossi predestinato a tenere
viva la memoria. Il Grappa mi ha accolto, e io cerco di dargli voce.
La prima volta che sono salito sul Grappa non l’ho capito. Il primo
pensiero può essere che il Grappa sia una strada che porta su a Cima
Grappa, poi ti giri e torni indietro. Un po’ alla volta ho fatto
tante deviazioni, che poi sono quelle che vi racconto nei vari
capitoli. Ce ne sarebbero ancora tante da raccontare».
Per tutto il mese di marzo sono previste numerose presentazioni con l’autore nella provincia di Vicenza, ma non solo. Ecco tutte le date:
- 26/02 Libreria Palazzo Roberti, Bassano
- 2/03 La Feltrinelli, Padova
- 4/03 Libreria Ubik, Mirano
- 5/03 Libreria Massaro, Castelfranco Veneto
- 11/03 Centro polifunzionale Zagorà, Zugliano
- 16/03 La Feltrinelli, Verona