Ma Hamas sta vincendo o sta perdendo?
Sono passati più di due mesi da quel drammatico 7 ottobre in cui i tagliagole di Hamas hanno trucidato donne e bambini nei kibbutz ai confini di Gaza, innescando così la reazione di Israele.
Viene naturale porsi la domanda: ma Hamas sta vincendo o sta perdendo?
Certo bisogna mettere in conto che in Medio Oriente le tensioni sono tali che basta un incidente non voluto per innescare una scintilla e provocare un incendio, e da quelle parti fanatici, spesso eterodiretti, che hanno voglia di menare le mani non mancano di certo.
Ma il tempo trascorso, e quanto accaduto finora, ritengo consentano di fare qualche considerazione, anche se ipotizzare come andrà a finire è ancora sicuramente prematuro ed azzardato.
Per avere un quadro il più possibile completo io affronterei la domanda da tre punti di vista: quello della comunicazione, quello militare e quello politico.
Partendo dal primo, credo non ci siano dubbi che Hamas la sua battaglia la stia vincendo.
E la sta vincendo perché non solo il mondo islamico (il che era scontato), non solo l’Africa e l’America latina (meno scontato), ma l’intero Occidente è in preda ad un delirio anti israeliano, che sfocia spesso in aperto antisemitismo.
Basta guardare le nostre Università con le bandiere palestinesi esposte, basta osservare le continue imponenti manifestazioni che chiedono uno “Stato palestinese dal Giordano al mare” (il che è un bell’eufemismo per dire cancelliamo Israele dalla carta geografica), per rendersi conto che il messaggio pan terrorista ha conquistato le coscienze di un Occidente allo sbando fra cancel culture e politically correct.
Potrei continuare a lungo, ma mi limito a chiedere: voi manifestanti e benpensanti, nutriti e beneficiati dalle libertà occidentali, perché non vi ho mai visto manifestare contro le atrocità del regime iraniano che sevizia e uccide le sue donne (Masha Amini per fare un solo nome); come mai non avete manifestato quando la guerra in Siria di palestinesi ne uccideva a mazzi, come mai non ho visto cortei dopo l’uccisione di Saman Abbas nel nome di tradizioni per noi incomprensibili ed inaccettabili?
Niente! Tutti zitti!
Ma pronti ad insorgere in un sostegno incondizionato ad un’organizzazione terroristica i cui capi miliardari non sono a Gaza, bensì in ville di lusso in Qatar, che inneggia ad un nuovo olocausto degli ebrei, che se ne infischia della vita dei palestinesi, tanto da utilizzarli come scudi umani.
Ma i sensi di colpa di noi Occidentali hanno prevalso, e così Hamas è riuscito ad imporre la sua narrazione, e purtroppo i nostri ragazzi (ma assieme a loro anche giornalisti e opinionisti) non capiscono che Hamas non combatte solo Israele, ma l’esistenza dell’Occidente, l’idea stessa di Occidente, l’idea di libertà, tanto è vero che uccide le proprie persone se non obbediscono, uccidono i gay, sono parte della Jihad globale.
Sul piano militare le cose sono ovviamente diverse.
Nessuno poteva avere dubbi che i 30mila uomini in armi di Hamas nulla avrebbero potuto fare contro la potenza di fuoco di Tzahal, come vengono chiamate le forze armate israeliane.
E così sta succedendo sul campo, e se a Gaza non ci fossero stati quei due milioni di palestinesi, oltre agli ostaggi, utilizzati come scudi umani dai terroristi, la partita sarebbe già chiusa da un pezzo.
Questo lo sapeva anche Hamas, ma sicuramente il suo obiettivo era più propagandistico che militare, e come abbiamo visto sono riusciti a riportare la questione palestinese al centro dell’attenzione del mondo.
Rimane l’ultima questione, quella politica.
Su questo piano a mio avviso le cose non stanno andando nel verso che sicuramente era nelle speranze di Hamas.
Vi dico subito che in politica internazionale, ed in fondo in tutte le cose politiche, a contare veramente non sono le parole, le grida, le accuse, le stigmatizzazioni, bensì gli atti concreti.
E se ci pensate bene non c’è stato leader arabo, e meglio musulmano, dall’Algeria al Marocco, dalla Tunisia alla Siria, dalla Giordania all’Arabia Saudita, e finanche il leader turco Erdogan, che non abbia scagliato parole di fuoco e lanciato anatemi conto lo Stato ebraico.
Ma quando i capi della Lega Araba (organizzazione internazionale politica di Stati del Nordafrica e della penisola araba, nata il 22 marzo 1945. I primi 6 membri furono: Arabia Saudita Egitto Transgiordania Iraq Libano Siria. Il successivo 5 maggio si aggiunse lo Yemen, e via via altri), si sono riuniti alcuni giorni fa a Ryad, lo scenario è apparso alquanto articolato.
E così si è visto l’Iran proporre un embargo petrolifero ed energetico contro Israele.
L’obiettivo era chiaramente quello di riproporre in piccolo quel blocco energetico, un vero e proprio “choc”, che i Paesi Arabi imposero 50 anni fa all’Occidente in seguito alla Guerra del Kippur (molti ricorderanno le domeniche a piedi, i riscaldamenti al minimo, e le code ai distributori di carburante).
Ma stavolta la proposta iraniana è caduta nel vuoto, perché i Paesi arabi e islamici oltranzisti sono finiti in minoranza, segno che l’aria è cambiata in Medio Oriente.
E così via libera ad una più che virulenta sequenza di invettive contro «i crimini di guerra israeliani», e ad un mafioso «baciamo le mani ad Hamas» del presidente iraniano Ebrahim Raisi, ma quanto a ritorsioni nulla di fatto.
Va anche detto che alcuni Paesi arabi estremisti, tutti non a caso filo russi, Algeria e Siria in testa, hanno anche chiesto la rottura dei rapporti diplomatici con Gerusalemme da parte dei sei Paesi arabi che hanno riconosciuto il diritto a esistere della “entità sionista”.
Al riguardo sembra però che, finora, nessuno abbia intenzione di aderire a questa richiesta!
Alla fine l’unica decisione è stata un embargo delle armi verso Israele; di fatto una cosa ridicola perché è notoria la superiorità tecnologica degli ebrei, tanto che è Israele a rifornire gli arsenali di alcuni Paesi arabi, e non viceversa.
La riunione della Lega Araba ha in sostanza evidenziato un sostanziale disinteresse del mondo arabo per la questione palestinese, relativamente alla quale non si è trovata neppure una posizione comune di facciata.
E così sul tema che Hamas sperava di riportare al centro del dibattito si sono alla fine evidenziate tre posizioni: quella del Presidente iraniano Ebrahim Raisi che ha caldeggiato la «scomparsa di Israele dalla faccia della terra» (a mio avviso del tutto strumentalmente visto che gli Ayatollah si sono guardati bene dal farsi coinvolgere direttamente nella crisi di Gaza, con la scusa che Hamas non li ha avvertiti), cui si è contrapposta quella dei sei Paesi arabi che hanno riconosciuto Israele e che non hanno nessuna intenzione di tornare indietro, anche se non hanno risparmiato accuse feroci per i crimini di guerra compiuti a Gaza (non a caso, vi dicevo, in politica guardate sempre i fatti e non le parole), e infine gli altri Paesi islamici che attendono di capire la posizione dell’Arabia Saudita (che sicuramente è ben contenta della sconfitta di Hamas).
Si è confermata in definitiva una frattura radicale nel mondo islamico, in particolare la polarizzazione antagonista assoluta tra le strategie di Ryad e quelle di Teheran, ma con una importante novità; quella che si sta sempre più imponendo il ruolo primario assolutamente innovativo del principe saudita Mohammed Bin Salman, il che a mio avviso è una buona notizia.
Concludendo questi ragionamenti, sempre avvertendovi che in Palestina tutto può cambiare all’improvviso, ritorno da dove sono partito.
Hamas probabilmente ha fatto male i suoi conti, perché credeva di tirarsi dietro tutti i Paesi arabi e musulmani nel suo scontro di civiltà, mentre invece è evidente che tutti la considerano un reprobo da cancellare.
Rimane l’inaspettato innamoramento dell’Occidente, e dei nostri giovani, per Hamas ed i suoi obiettivi, ed il preoccupante rinascere dell’antisemitismo.
Atteggiamento che pone seriamente a mio avviso il problema della scala dei valori nelle nostre società democratiche.
Non è la prima volta che succede, e ricordo che alla fine degli anni ’60 la quasi totalità di noi ragazzi si sentiva figlia di Che Guevara.
Il problema è che oggi l’informazione, e purtroppo anche la politica, si fanno attraverso social come Tik Tok, e proprio nei giorni scorsi abbiamo visto diventare virale addirittura una lettera del 2002 di Osama Bin Laden, fondatore di Al Quaida, ora utilizzata strumentalmente per condannare Israele.
Penso che prima o poi qualche interrogativo riguardo all’odio di noi occidentali verso il nostro mondo, e a questa che sempre più assomiglia alla “fine dell’Occidente”, saranno ineludibili.
Umberto Baldo