Ma non era meglio che lo Stato uscisse dal capitale di Mps prima dell’Ops?

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Umberto Baldo
La questione dell’Offerta Pubblica di Scambio lanciata dal Monte dei Paschi nei confronti di Mediobanca assume sempre più i toni e le atmosfere dei romanzi di appendice dell’Ottocento.
Ieri all’assemblea della Banca senese si sono palesati i soggetti che sostengono il progetto di integrazione di Lovaglio, e obiettivamente il risultato è andato forse al di là delle aspettative.
E così Piazza Salimbeni ha raccolto i consensi anche di molti investitori istituzionali, a cominciare dai fondi d’investimento internazionali, il cui sostegno era da principio tutt’altro che scontato.
I voti dei Fondi si sono aggiunti a quelli dei soci forti, guidati dal Governo, grande sponsor dell’attacco a Mediobanca, oltre quello scontato dei due grandi soci privati, cioè la famiglia Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, grandi soci anche di Mediobanca, ed il cui vero obiettivo è Trieste, con il sogno proibito delle Generali.
Tralascio volutamente i rapporti più o meno trasparenti fra tutti i soggetti convolti in questa vero e proprio assalto alla diligenza, in cui la diligenza è l’assetto della finanza milanese ed italiana plasmata dalla Mediobanca di Cuccia, in cui le azioni si pesavano e non si contavano.
Basta scorrerli: Fondazioni bancarie, Algebris, Cassa Previdenziali come l’Enpam, Inarcassa ed Enasarco, Pimco, Norges Bank, Vanguard, Amundi, New York City Comptoller, DSba Florida, Calvert, Cpp Investements, per citarni alcuni, per arrivare poi alle banca, da Bpm a Unicredit, e a mio avviso molto defilata ma attenta anche Intesa Sna Paolo.
Da liberale e sostenitore del libero mercato non contesto certo che dopo ottanta anni circa in cui Mediobanca ha promosso operazioni complesse, aggregazioni, scissioni, sostituzioni di vertici, etc., questa volta sia essa stessa una possibile “aggreganda”; una Banca d’affari chi ha sostenuto sempre la concorrenza ed ha promosso scalate e concentrazioni non può essere pregiudizialmente contraria.
Ma c’è un particolare in questa vicenda, che ripeto ha sempre più il sapore di una storia della Roma papalina e dell’ Italia Rinascimentale; il ruolo dello Stato, che francamente trovo ora del tutto fuori ruolo.
Poiché parliamo di mercato, non sarebbe stato più opportuno, più trasparente, e meno politicamente coinvolgente (con tutto quel che ne consegue fra golden power e simili amenità) se il Ministero dell’Economia avesse deciso di dismettere quell’11,7% che detiene nel capitale di Mps?
Facendo due calcoli della serva, poiché l’aumento di capitale richiesto da Mps si aggira su oltre 13 miliardi, votando a favore il Governo si è impegnato a versare nelle casse della Banca più o meno 1,4 miliardi.
Come contribuenti ci siamo svenati per salvare il Monte dal fallimento, e per carità di Patria ci stava, non dico di no!
Ma con questi chiari di luna, con lo Stato che fa fatica a trovare risorse per i servizi pubblici essenziali, mettere altri soldi in Mps per supportare i sogni di gloria di Lovaglio, Caltagirone, Del Vecchio, che senso ha?
Perché buttare dalla finestra denaro che alla fine porterà lo Stato a detenere una quota molto diluita nel capitale della nuova Banca qualora l’Ops andasse a buon fine?
Per soddisfare le brame di potere di forze politiche che vedono nel terzo polo bancario la possibilità di una loro ingerenza e di un controllo politico dell’economia?
Nessuno a Francoforte trova qualcosa da obiettare?
Evidentemente sono io a vedere i fantasmi, e quindi si deve concludere che oggi il mercato è come quello degli ex regimi comunisti, dove lo Stato e la Nomenklatura pilotavano banche ed economia.
Che Dio ce la mandi buona.
Umberto Baldo