Made in Bharat? Come l’India cambia nome
Umberto Baldo
Qualcuno di voi mi ha scritto che quando in qualche mio pezzo definisco l’Italia “aaaa Naaaazzzzione” trova la cosa esilarante.
Sono contento di strappare un sorriso di questi tempi, ma spero capiate che il mio insistere su questa definizione, che sembra andare per la maggiore fra i “patrioti” che ora reggono le sorti del Paese, è in realtà una polemica contro ogni forma di nazionalismo (e per certi versi anche di localismo esasperato).
Sia chiaro che non metto in discussione il sentirsi fieri di essere italiani, o l’attaccamento alla terra dove siamo nati e dove abbiamo le nostre radici.
Sono sentimenti che coinvolgono anche me.
Certo esistono a mio avviso anche dei limiti “di buon senso”, e tanto per dirne una, ovviamente fatte le dovute proporzioni, ho sempre trovato ridicoli i tentativi di cambiare la toponomastica dei nostri paesi e paesini veneti, traducendo il nome della località dall’italiano al dialetto veneto.
E così, solo per fare un esempio, ma ce ne sarebbero moltissimi, ogni qual volta arrivo alle porte di Albignasego, comune sito a sud est di Padova, non riesco a non ridere vedendo le targhe che mi avvisano che sono arrivato a “Bignasègo”.
Vedete, quello che trovo da sempre eccessivo è l’esaltazione del concetto di Patria, e nella storia gli esempi di quali aberrazioni e disastri abbiano innescato i nazionalisti sono numerosi.
Questo tipo di riflessioni mi sono venute spontanee leggendo le cronache dal G20 che si è riunito nei giorni scorsi in India.
A parte la solita parata dei big del mondo, mi aveva colpito la notizia che sulla stampa indiana erano apparse le fotografie di un biglietto di invito a una cena ospitata da Droupadi Murmu, la presidente indiana, chiamata nell’invito “presidente di Bharat”.
Poi, lo stesso giorno, in un documento che commentava una riunione fra l’Asean, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, e il governo indiano, Narendra Modi veniva definito “primo ministro di Bharat”.
Bharat? Cos’è il Bharat?
Ho approfondito la cosa e ho appreso che l’attuale premier Indiano Narendra Mori sta accelerando molto sul nazionalismo, forse anche sull’ultra nazionalismo, ed ha deciso e annunciato che l’India abbandonerà il suo attuale nome, frutto a suo dire degli “orrori” del colonialismo britannico (tanto per dire il suo Partito si chiama Bharatiya Janata Party).
Ma oltre al nome, sposando anche la filosofia ed i metodi di quella cancel culture che sta devastando il nostro Occidente, il partito di Modi vorrebbe la rimozione dalle strade e dalle piazze dell’India, perdon del Bharat, di tutti i monumenti dedicati a personaggi stranieri.
Certo qualcuno sta suggerendo che questa spinta nazionalista sia esasperata dagli imminenti appuntamenti elettorali (elezioni politiche), e sostenuta anche dei recenti successi spaziali, che hanno visto l’allunaggio per la prima volta in assoluto sul lato sud della Luna di una sonda indiana, quando pochi giorni prima la Russia aveva miseramente fallito.
Ma in realtà la faccenda del cambio dei nomi è iniziata da tempo, quando ad esempio, per cancellare le tracce del colonialismo, i nomi delle grandi città di Bombay, Calcutta e Madras sono diventati Mumbai, Kolkata e Chennai.
Questi cambiamenti, che hanno interessato anche importanti strade e piazze della Capitale, si sono intensificati da quando a capo del Governo c’è Modi, fino ad arrivare appunto alla decisione di cambiare il nome dell’intera nazione.
Ma è proprio vero che India è un nome che deriva dalla tradizione dai colonialisti britannici?
Non è esattamente così, in quanto India è un nome molto antico, che deriva dal fiume Indo (che oggi scorre interamente in Pakistan), che fu conosciuto in Europa grazie ai racconti dei greci ed alle conquiste di Alessandro Magno.
Dal greco passò al latino e poi all’inglese. E così quando il Regno Unito occupò gradualmente il subcontinente indiano, India divenne il nome più usato nel mondo per indicare quei territori.
E’ altrettanto vero che Modi non si è inventato la denominazione Bharat, che è il nome dell’India in molte delle sue lingue native: è infatti uno dei due nomi ufficiali nella Costituzione indiana, tanto che compare sui passaporti insieme a India.
Il termine Bharat ha quindi anch’esso origini antichissime, e inizialmente si riferiva a una regione dell’India settentrionale, per poi assumere un significato più ampio.
Bharat appare in molti testi antichi, tra cui il Mahabharata, il più grande poema epico indiano, e in alcuni testi sacri dell’induismo.
E qui arriva il problema nazionalistico, perché Bharat è spesso associato alla tradizione induista, che alcuni movimenti politici come il Partito di Modi vorrebbero imporre a tutta l’India, e quindi anche alla grande minoranza musulmana presente nel Paese.
Modi forse non dovrebbe dimenticare che neanche il Mahatma Ghandi riuscì ad evitare le inenarrabili violenze su base religiosa che accompagnarono l’indipendenza dell’India, con la successiva inevitabile nascita del Pakistan e del Bangladesh musulmani.
Come sempre certe lezioni della storia non andrebbero mai trascurate, e non stupisce se la faccenda del nome non sia rimasta un fatto meramente storico-lessicale, e stia assumendo sempre i contorni di vera lotta politica.
E così la contrapposizione fra India e Bharat sta imponendosi come elemento di scontro elettorale da quando i Partiti di opposizione nel luglio scorso hanno annunciato una nuova alleanza per sconfiggere Modi anche prima delle elezioni del 2024.
Sapete come si chiama questa coalizione? Semplicemente INDIA.
Un nome un programma!
Vedremo come andrà a finire, e cosa sceglieranno gli indiani (come si chiameranno poi? Bharati?), che recenti sondaggi mostrano essere piuttosto soddisfatti del proprio premier.
Alla fin fine per noi cosa potrebbe cambiare?
Che sui prodotti “made in india” questa scritta potrebbe essere sostituita da “made in Bharat”, e francamente non mi parrebbe la fine del mondo.
Mi auguro solo che dietro il nazionalismo ed il populismo di Modi ci sia anche molto di più.
Perché è vero che l’India ha mostrato enormi progressi a tutto tondo negli ultimi due decenni, e non è più un semplice paese in via di sviluppo, ma una delle potenze emergenti a livello mondiale.
Ma il rovescio della medaglia è ancora quello di un’ immagine di un’ India, o Bharat se si preferisce, fatta di immense e degradanti baraccopoli dove milioni di disperati vivono, anzi sopravvivono a stento e più spesso muoiono, privi delle più elementari strutture igieniche, sanitarie, lavorative.
Certo governare un Paese che è in realtà un Continente non è facile per nessuno, e va detto che purtroppo sotto la premiership di Modi si sono ridotti i diritti politici e le libertà civili, che la repressione poliziesca è cresciuta, che la libertà di stampa è stata limitata; ma va rimarcato con forza che noi occidentali abbiamo assolutamente bisogno che l’India resti una democrazia, e non tenda ad assomigliare né alla Russia né alla Cina.
Umberto Baldo