Maldive a rischio default per i bond islamici. Cosa sono i Sukuk?
Pillole di Economia
Erasmus
In questi giorni avrete letto che le Maldive sono a rischio di default a causa di difficoltà a rimborsare dei “bond islamici”.
Vi sarete sicuramente chiesti cosa siano. Per rispondere bisogna ritornare molto indietro nel tempo.
Com’è noto La Chiesa cattolica ha combattuto per secoli, confidando nella parola di Dio, l’esistenza stessa, e poi il diffondersi sociale, del prestito a interesse.
Roma è sempre rimasta ferma nel principio che il denaro, in quanto tale, non produce denaro, perché, nella realtà, la sua apparente produttività è la conseguenza del frutto del lavoro dell’uomo. La circostanza che gli uomini non siano facilmente disposti a prestare il loro denaro ad altri, se non sollecitati dalla molla dell’interesse, veniva spiegata alla luce della decadenza della natura umana post peccatum.
Allo stesso modo il Corano proibisce il “prestito a interesse” e, di conseguenza, nella finanza islamica è vietata la riscossione di interessi in quanto forma di guadagno non prodotta dal lavoro dell’uomo.
Indipendentemente che si creda o meno che il divieto di prestito ad interesse provenga direttamente da Dio o da Allah, il divieto stesso poteva essere motivato dal fatto che nei tempi antichi vigeva un’economia di sussistenza; in pratica ognuno produceva per la famiglia, e la produzione e lo scambio di beni di consumo era limitato.
Quindi chi chiedeva un prestito era molto probabilmente in situazione di bisogno, e non era lecito chiedere un compenso per aver aiutato un “fratello”.
Poi iniziò a svilupparsi il commercio, e nacque la necessità per i mercanti di approvvigionarsi di denaro per acquistare beni da rivendere.
Il denaro divenne allora un mezzo di produzione, e col tempo si capì che come tale poteva essere retribuito con un interesse.
Nel frattempo si ricorse agli Ebrei, che, non considerandosi fratelli dei Cristiani, si sentivano liberi di applicare un tasso d’interesse (ecco perché i grandi banchieri nella storia sono quasi tutti ebrei).
E i Musulmani?
Hanno razionalizzato la cosa, per cui se qualcuno presta del denaro per un investimento può essere ricompensato non con un interesse, bensì con una parte dei frutti di quell’investimento.
Quindi le Banche Islamiche seguono i principi della Shari’a, che proibiscono l’addebito di interessi (ribā) su prestiti.
Tuttavia, ci sono altre modalità attraverso le quali le banche islamiche generano profitti, come ad esempio:
1. Mudarabah: si tratta di un tipo di finanziamento che si basa sulla condivisione del profitto e delle perdite tra la banca e il cliente. La banca fornisce i fondi, e il cliente utilizza il denaro per avviare un’attività. I profitti vengono quindi divisi in modo proporzionale tra la banca e il cliente, con un’indicazione preventiva sul rapporto di profitto che sarà condiviso.
2. Murabahah: questo tipo di finanziamento si basa sulla vendita di beni a un prezzo superiore al loro costo originale. In pratica, la banca acquista il bene richiesto dal cliente e lo vende a un prezzo più alto, con un profitto già stabilito. Il cliente paga poi il prezzo concordato in rate.
3. Ijarah: finanziamento che si basa sul noleggio di un bene. La banca acquista il bene richiesto dal cliente e lo noleggia al cliente stesso per un periodo prestabilito, ad un prezzo stabilito in anticipo. Alla scadenza del contratto, il cliente può scegliere di rinnovare il contratto o di acquistare il bene a un prezzo predeterminato.
4. Wakalah: si basa sulla gestione dei fondi da parte della banca. Il cliente affida i propri fondi alla banca, che li investe in attività economiche, con un accordo sulla percentuale di profitto che sarà condivisa tra il cliente e la banca
Ma il mondo va sempre avanti, e di fronte alle esigenze segnalate dalle Banche islamiche, ma principalmente dagli investitori, di dare vita a strumenti “Shari’ah Compliant” (conformi alla Shari’a), che permettessero da un lato la gestione della liquidità ,e dall’altra di investire i risparmi, negli anni ‘90 sono nati i cosiddetti Sukuk, intesi come Certificati islamici.
Sukuk è il plurale della parola araba Sakk, il cui significato è “certificato” o “documento scritto”: il Sakk infatti è un certificato di investimento, ovviamente conforme alla Shari’a, in qualche modo assimilabile ad un’obbligazione della finanza occidentale.
Ma “assimilabile” non vuol certo dire “uguale”, per cui qual’é la differenza?
Per non andare troppo sul complicato, in parole povere, mentre se compro un’obbligazione sono titolare di un diritto di credito (e di norma è convenuto un interesse prefissato), se compro un Sukuk acquisto un titolo che segue il principio del “Profit and Loss Sharing”: il che significa che l’utile percepito dipende dall’andamento del bene sottostante, non essendoci alcun tipo di interesse garantito.
Ciò vuol dire che la remunerazione di un Sukuk non è un dividendo, non è un interesse, bensì una quota del reddito che l’asset sottostante produce.
Per essere più chiaro, mentre un bond, un’obbligazione di diritto occidentale, è la promessa dell’emittente di ripagare un debito maggiorato dell’interesse, i Sukuk sono costituiti dalla proprietà di una quota parte di un debito, di un asset, di un progetto, di un affare, o di un investimento.
Avrete capito che si tratta di prodotti relativamente recenti. I primi tentativi di emissione furono portati avanti nel 1978 dalla Jordan Islamic Bank e dal Pakistan nel 1980; e nel 2001 venne emesso il primo Sukuk in valuta internazionale, del valore di 150milioni di dollari, da una società malese.
In Europa comparvero nel 2004 quando il Land tedesco della Sassonia-Anhalt. effettuò la prima emissione in dollari.
Per concludere, credo si possa dire che il Sukuk è uno strumento esclusivamente in uso nella finanza islamica, ma è anche uno dei prodotti finanziari più diffusi al mondo ed in constante crescita, la cui caratteristica principale è di essere specificatamente concepito per finanziare progetti incentrati sul territorio, in particolare africano e mediorientale.
Questo strumento, rispetto alle obbligazioni tradizionali, ha quindi ricadute concrete sia su chi lo acquista che su chi lo emette, e di conseguenza sull’intera economia.
Tale stretto legame dovrebbe a mio avviso farci riflettere sugli obiettivi della nostra finanza occidentale, alla ricerca di strumenti finanziari sempre più sofisticati e cervellotici, che molto spesso tengono poco conto dell’economia reale.
Erasmus