Maltempo e disastri in Veneto: ma stavolta è stato diverso, la lezione del 2010 è servita
Umberto Baldo
Passerà anche questa!
Come sono sempre passate tutte le alluvioni nel nostro Veneto.
Ma questa volta abbiamo avuto la sensazione che la situazione, per quanto difficile, sia sempre stata in qualche modo sotto controllo, ed è fuori di dubbio che, se non ci fossero stati gli interventi degli ultimi anni, le cose sarebbero andate sicuramente peggio!
Certo ogni volta scatta la paura, e magari riaffiorano emozioni passate.
D’altronde la storia di noi Veneti è inevitabilmente una storia di continua lotta contro le acque.
E non può essere che così, dato che il territorio veneto è in buona parte formato da pianura alluvionale, solcata da numerosi fiumi e fiumiciattoli che diventano potenziali “bombe” ogni qual volta Giove Pluvio si scatena, ed apre le cateratte del cielo.
E se guardate una carta geografica, balza agli occhi che tra le lagune costiere (quella di Venezia in particolare, ma non solo) e le colline della Pedemontana, dietro le quali s’innalzano subito e bruscamente le Prealpi, e poi le Alpi vere e proprie, la pianura è pressoché piatta, con una debolissima elevazione sopra il livello marino, a parte ovviamente i Colli Euganei ed i Monti Berici.
Con una tale conformazione orografica ed idrografica il Veneto, dall’antichità al Medioevo, fu naturalmente terra di paludi e foreste soggetta ad allagamenti.
Già i romani cominciarono a fare interventi idraulici, che si bloccarono dopo la fine dell’Impero, e i disastri alluvionali dovevano essere frequenti e disastrosi, tanto che si ricorda ancora una “leggenda” che racconta della cosiddetta “Rotta della Cucca”, che in data 17 ottobre 589 d.C. vuole che tutti i fiumi, dal Po al Piave, cambiassero assieme il proprio corso a causa di un’unica epocale alluvione.
Dal Medioevo ricominciò sia un’opera di regolazione dei corsi d’acqua, che un’ attività di bonifica, che proseguì attraverso l’innalzamento di nuovi argini e la costruzione di nuovi canali, e con i famosi “tagli” dei fiumi, cioè la loro deviazione per diversi chilometri, sia per evitare che essi interrassero la Laguna Veneta (Brenta, Piave ecc.) sia per ragioni geo-politiche (Po).
E fatalmente avete capito che siamo arrivati alla Serenissima.
Perché mentre prima dell’espansione dello “Stato de tera” questi interventi idraulici erano diretti dalle singole autorità comunali, a partire dal XV secolo ebbero un’unica direzione appunto sotto la Repubblica Veneta.
E l’attenzione del Governo veneziano per questa materia fu tale che, per coordinare gli interventi, si istituì dal 1501 il Magistrato alle Acque, che garantiva un controllo centrale ed autorevole, dotato dei massimi poteri, per tutte le opere di bonifica, scavo, irreggimentazione e manutenzione sia delle acque delle Laguna, che dei vari bacini fluviali.
Parlavo di “attenzione” della Repubblica Serenissima, ma in realtà si trattava di ben altro; di un vera e propria “cultura del controllo” del regime delle acque, che portò all’emanazione di un complesso di norme, fino a prevedere sanzioni penali severissime per coloro che non si adeguavano o “facevano i furbi”,
Tanto per fare un esempio, il Consiglio dei Dieci l’8 novembre 1501 emanò questa norma in materia di “romper gli arzeri”: “Alcuni si fanno lecito romper e spianar e tagliargli arzeri del novo alveo della Brenta con danno della Signoria Nostra, al qual inconveniente essendo necessario provveder” , resta stabilito che «se alcuna persona averà ardimento de romper, spianar, bassar, over tagliar detti arzeri nostri, s’intendi immediate esser incorso in irremissibil pena d’essergli tagliata la man destra et cavato un occhio».
Chi ha una certa pratica di storia del diritto penale sa bene che in tutti gli ordinamenti giuridici l’individuazione dei reati e la severità della pena rispecchiano la scala dei valori vissuti in quel particolare momento storico: e di conseguenza da sempre, per stroncare il ripetersi di certi delitti, se ne inaspriscono le pene.
Intendiamoci, non è che tagliando mani destre e cavando occhi, in terra di San Marco siano sparite le alluvioni.
Sia all’epoca della Repubblica del Leone che in tempi più recenti ce ne sono state, e sono ancora impresse nella memoria collettiva sia l’alluvione del 14 novembre 1951, quando lo straripamento del Po allagò quasi completamente il Polesine (provincia di Rovigo e parte di quella di Venezia), sia quella del 4-5 novembre 1966, quando gran parte dei fiumi veneti straripò, causando danni gravissimi in quasi tutte le zone di pianura, assieme ad un’acqua alta eccezionale che segnò l’inizio dello spopolamento di Venezia.
L’ultimo grande evento ebbe luogo tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 2010, quando il Veneto venne colpito da una violenta ondata di maltempo.
Le zone più colpite furono inizialmente le province di Verona, Vicenza e Padova, ma in seguito la situazione divenne critica in tutta la Regione.
E siamo arrivati alla cronaca di queste ore, di questi giorni in cui sulla Regione si è riversata una “camionata” di acqua, con punte di 120 ml di pioggia in certe zone.
Come al solito tutta quell’acqua prima o poi (ma in questi casi prima) arriva ai fiumi, e così abbiamo visto le consuete immagini di Vicenza in gramaglie per le piene del Bacchiglione e del Retrone, Bassano in ansia per il Brenta, campi sott’acqua, frane, sacchi di sabbia, scantinati allagati, strade chiuse, collegamenti ferrovieri interrotti.
In estrema sintesi tutto l’armamentario tipico di queste situazioni, che ben conosciamo.
In particolare vedendo le immagini relative al mio paese natale, Battaglia Terme, ho rivisto scene cui avevo purtroppo assistito svariate volte.
Per chi non conosce Battaglia Terme, si tratta di un piccolo paese che si trova alla confluenza del Canale Battaglia, che arriva da Padova, con gli scoli che partono dalla zona termale di Abano e Montegrotto.
Quando queste vie d’acqua si gonfiano per le piogge, a Battaglia, che come avete capito “la xe na busa”, si comincia a tremare, anche perché l’abitato è posto ben al di sotto del letto del canale che lo attraversa (è un canale cosiddetto pensile).
Come accennavo, quelle di questi giorni, soprattutto a Vicenza, sono scene già viste, ma con una sostanziale differenza.
Che la “lezione” del 2010 è servita, e la Regione Veneto, oserei dire unica Regione in Italia, ha dato inizio ad un vero piano di messa in sicurezza idraulica del territorio.
Potrà piacere o non piacere ai suoi detrattori, ma Luca Zaia, a differenza di altri Governatori, si è rimboccato le maniche per mettere in piedi opere contro il maltempo più estremo, e per evitare le devastazioni viste ad esempio in Emilia Romagna nel 2023.
E queste opere, oltre al rinforzo degli argini, hanno un nome ben preciso; bacini di laminazione, che non sono altro che aree destinate al surplus di acqua che viene momentaneamente “parcheggiata” senza che possa creare danni a paesi e città.
Certo queste opere costano, ma servono, ed è con giusta soddisfazione che Zaia ha specificato ..”abbiamo realizzato dal 2010 opere per un totale di 3,5 miliardi di euro; 2.527 sono i cantieri aperti solo negli ultimi 3 anni. Abbiamo realizzato 13 bacini dei 23 previsti, e presto ne saranno completati altri. Sui bacini abbiamo investito in Veneto più di 110 milioni di euro, con 39 ulteriori milioni già pianificati”.
E a conferma ha aggiunto: “In generale possiamo dire di aver tolto a Vicenza almeno tre milioni di metri cubi di acqua. Prendete tre milioni di metri quadrati di terreno e ci fate un pelo d’acqua alto un metro. Questo vi dà l’idea. Significa che a Vicenza senza le opere di difesa idraulica giravamo ancora con il fuoribordo».
Chiudo con le parole con cui ho iniziato: passerà anche questa!
In fondo noi veneti siamo il popolo di “Duri ai banchi”.
Umberto Baldo