13 Gennaio 2025 - 17.13

Mangio o compro qualcosa in autostrada? Come andare in gioielleria…

Di Alessandro Cammarano

Negli ultimi anni, viaggiare sulle strade italiane è diventato un’esperienza sempre più cara _ per non dire un incubo – non solo per il costo del carburante, ma anche per i prezzi spropositati delle stazioni di ristoro.

Questi punti di ristoro, tradizionalmente considerati un rifugio per i viaggiatori in cerca di un pasto veloce o di una pausa caffè, si stanno trasformando in luoghi dai costi proibitivi: panini, caffè, bottigliette d’acqua e altri beni di consumo quotidiano hanno raggiunto prezzi che suscitano indignazione tra gli automobilisti, costretti a spendere cifre esorbitanti per beni essenziali a fronte di un servizio sempre più approssimativo, ove non semplicemente scadente, il tutto dovuto anche e soprattutto alla sostanziale riduzione del personale che oramai è visto esclusivamente come un puro costo e non un valore aggiunto.

Basta fare un viaggio in autostrada – l’aumento dei pedaggi meriterebbe un ulteriore discorso a parte – per toccare con mano, e di tasca propria, una situazione al limite della rapina legalizzata.

Secondo recenti indagini, il prezzo medio di un panino in una stazione di servizio – indipendentemente dal marchio – può facilmente superare i sette-otto euro, mentre un caffè espresso, simbolo della cultura italiana, può arrivare a costare fino a due euro, ovvero quasi il doppio rispetto ai bar delle città.

Ancora più incredibile è il costo di una semplice bottiglietta d’acqua da 500 ml, che in molte stazioni di ristoro viene venduta a due euro e cinquanta o addirittura tre euro.

E se invece del panino surgelato e riscaldato frettolosamente si sceglie di pranzare al sel-service? Pessima idea: un piatto di pasta o un’insalata può costare dai dieci ai quindici euro, spesso senza raggiungere livelli di qualità accettabili; e dunque gli automobilisti che decidono di pranzare o cenare in un stazioni di ristoro rischiano di spendere quasi quanto un pranzo in un ristorante vero e proprio, ma con un’esperienza gastronomica assai spesso deludente.

Ma quali sono le ragioni di questi rincari esponenziali e inarrestabili?

I gestori delle stazioni di ristoro giustificano i prezzi elevati con diversi fattori; tra questi, il costo della concessione autostradale, che impone alle aziende di pagare cifre elevate per poter operare lungo le principali arterie stradali. Inoltre, i costi di gestione, incluse le spese per il personale e la logistica, vengono trasferiti direttamente sui consumatori finali.

C’è poi il fattore della “cattività” del cliente: le aree di servizio operano in un contesto monopolistico, cosicché i viaggiatori non hanno alternative se non accettare i prezzi imposti o portarsi il cibo da casa.

Questa mancanza di concorrenza reale permette ai gestori di mantenere i prezzi artificialmente alti senza temere un calo significativo della domanda.

Le conseguenze per i viaggiatori sono dunque pesanti, quasi al limite dell’inaccettabile, anche perché, insieme al costo del carburante – ma non dovevano azzerare le accise? –

l’aumento dei prezzi in queste aree ha un impatto diretto sulla qualità del viaggio per molti italiani e turisti stranieri, e le famiglie che viaggiano in auto si trovano costrette a calcolare attentamente le spese per evitare sorprese, mentre molti scelgono di portare con sé cibo e bevande per evitare di fermarsi.

Inoltre, la percezione di “truffa” o di “speculazione” rischia di danneggiare l’immagine del turismo italiano.: i visitatori stranieri, abituati a prezzi più ragionevoli – ma soprattutto ad una più alta qualità dell’offerta – nei loro paesi rimangono spesso sconcertati davanti a un cappuccino che costa quasi quattro euro o a un sandwich a prezzi da ristorante stellato.

Ma una soluzione è possibile? Diverse associazioni di consumatori hanno chiesto maggiore trasparenza sui costi e interventi da parte delle autorità per regolamentare i prezzi nelle stazioni di ristoro.

Alcune proposte, che sembrano davvero ragionevoli, prevedono l’Introduzione di un tetto massimo sui prezzi per i beni essenziali, come acqua e caffè, quest’ultimo, per altro, sempre più imbevibile a causa della poca cura nella preparazione e per la scelta – al di là delle roboanti pubblicità – di miscele non esattamente eccelse.

Un’altra possibilità potrebbe venire da una maggiore concorrenza da realizzare attraverso l’apertura di punti ristoro alternativi lungo le autostrade, magari affidata a realtà locali – e dunque fuori dalla logica di Autogrill, Sarni, Hermes, Chef Express… & C. – con incentivi per i piccoli produttori locali, che potrebbero offrire prodotti di qualità a prezzi più contenuti e con una promozione del turismo sostenibile fatta di punti di ristoro più a misura d’uomo che privilegino cibo locale e prezzi accessibili.

Tutto questo sarebbe possibile se ci fosse una volontà vera di cambiare; e invece continueremo, imperterriti – come i lemming sul bordo della scogliera – a comprare “souvenir” orrendi, prodotti finto-italiani e gadget da discount sbocconcellando il nostro panino plastificato o sorseggiando un caffè carbonizzato; purtroppo.

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