Marco Paolini: “Non riesco a perdonarmi per la morte di Alessandra Lighezzolo”

Marco Paolini torna a parlare quasi un anno dopo l’incidente stradale sfociato in tragedia – patteggiato una condanna a un anno di reclusione per omicidio stradale, pena sospesa con la condizionale – in cui ha perso la vita l’arzignanese Alessandra Lighezzolo. E lo fa in una lunga intervista concessa a Gian Antonio Stella e oggi sul Corriere della Sera. A metà luglio dello scorso anno, sulla A4 Milano-Venezia, vicino a Verona, Paolini tamponò con l’auto che guidava la 500 di Alessandra Lighezzolo e Anna Tovo, buttandola fuori strada. Non ce la fece Alessandra, 53 anni, due figli, molto conosciuta e stimata ad Arzignano perché molto attiva nella vita comunitaria e titolare di un negozio di abbigliamento per bambini. Da allora, il regista e attore vive col peso di quella morte da lui causata.
Ed è così si racconta Paolini a Stella, partendo proprio da quel martedì 17 luglio dell’anno scorso: il sabato aveva finito uno spettacolo, Il calzolaio di Ulisse al Teatro Romano di Verona. Tre serate, precedute da un intenso periodo di prove: “Era andata bene. A parte la tosse”. Paolini stava tornando a casa, alle 16.30 si trova tra Verona Sud e Verona Est: “C’era molto traffico, impossibile andare veloci”. A un certo punto un attacco di tosse e come hanno registrato le telecamere fisse di Autostrade, l’auto dell’attore si è spostata sulla corsia di destra: “Di colpo mi sono visto addosso alla macchina di Alessandra Lighezzolo e Anna Tovo. Loro erano su una 500, io su una station wagon. Un camion, in confronto. L’ho speronata. E l’ho vista volare sulla strada di sotto, sulla tangenziale. Dietro una siepe. Rovesciata. Mi sono fermato, ho dato l’allarme”. L’attore è stato fin da subito accusato di essere al cellulare nel momento della tragedia, ma Paolini conferma al giornalista del Corriere ciò che ha detto fin dall’inizio: niente cellulare in mano e, appena arrivata la Stradale, il cellulare venne da lui stesso dato agli agenti per poter confrontare subito tutti i dati: “L’ultima telefonata l’avevo fatta a mia moglie qualche minuto prima per dirle che arrivavo”. L’attore ammise subito la sua colpa: “Ero io, il responsabile. Io ad avere sbagliato. Ero lì, bloccato, stupito di non essermi fatto assolutamente niente mentre avevo gravemente ferito altre persone. Era ingiusto. Spaventoso”. Undici mesi dopo quel giorno non è cambiato molto, dice l’attore: “Posso provare a capire me stesso. Ma non riesco a perdonarmi”. Anche perché l’attore è, secondo sentenza, un omicida stradale: una parola pesantissima da portarsi appresso: “La condanna a un anno di carcere con la condizionale, la sospensione della patente e il resto sono quanto prevede la legge. Ho ammesso di avere torto, ho patteggiato. Ma sono sicuro che le vittime di questo incidente che ho provocato non saranno dello stesso avviso. Li capisco”. L’attore racconta anche di aver scritto privatamente alle famiglie coinvolte e di non aver ricevuto risposta: “Capisco. L’avrei fatto anch’io. Poi ho scelto il silenzio”. Silenzio che stava per avvolgere anche la sua vita lavorativa: Paolini infatti è stato anche in dubbio se terminare la sua carriera, non salire più sul palco e cambiare mestiere: “Il mio lavoro non consente la maschera. Vado lì io. Col mio nome, il mio cognome, la mia storia… E la gente viene a teatro per vedere me. Ascoltare le mie storie. Ho cercato di andare avanti. Avendo chiaro che niente sarà più come prima”. Oggi il suo pubblico lo segue ancora: “Anche se ogni selfie per me è una sofferenza” e la tosse non c’è più: era un polipetto in gola, poi tolto. E oggi com’è la sua vita? “È tutto secondario davanti al peso di non poter restituire la cosa più importante. Omicida stradale: Anche se non te lo scrivono sulla patente, ogni volta che incappo in un controllo dei documenti, mi sembra di vederlo scritto negli occhi di chi li sta verificando. Non sento il bisogno di cancellare questo, sento di dovermi riscattare. Spero di aver tempo per farlo”.