Moody’s: Passata è la tempesta, odo “patrioti” far festa….
Si sa che qualunque esame mette sempre in apprensione, e così si è chiaramente percepita una certa preoccupazione del Ministro Giorgetti per la periodica “pagella” che l’Agenzia Moody’s doveva emettere relativamente allo stato dell’Economia italiana.
Il motivo c’era tutto intendiamoci; perché essendo il rating del debito del nostro Paese sul ciglio dello “speculative grade” (detto anche “spazzatura), sarebbe bastato un nulla per spedirci in un abisso di speculazione.
Invece non solo il nostro rating Baa3 è stato confermato, ma inaspettatamente è stato modificato l’outlook da negativo a stabile.
Scontata la soddisfazione del Governo per lo scampato pericolo!
Ma al di là del comprensibile “sospiro di sollievo” c’è veramente da mettersi a fare i salti di gioia, traendone la conclusione che i problemi siano alle spalle?
Detta in altri termini; se mi doveste chiedere (ma io non sono nessuno in realtà, se non una persona che osserva e cerca di ragionare) cosa sia cambiato nell’ultimo anno e mezzo per determinare questo miglioramento del giudizio tendenziale di Moody’s, francamente vi direi che non lo so.
Il macigno del debito pubblico continua la sua inarrestabile crescita, e veleggia nel momento in cui scrivo sui 2.854 miliardi (se lo volete vedere in tempo reale andate a questo indirizzohttps://www.brunoleoni.it/il-debito-pubblico-sul-tuo-sito=), i tassi di interesse sono in aumento, l’economia è in ristagno, i bonus edilizi fuori controllo si trasformeranno in debito al passo di 20-22 miliardi annui per un triennio. Per soprammercato mettiamoci anche il debito potenziale dei prestiti Covid garantiti dallo Stato, e qualcosa dalle Gacs, le garanzie pubbliche sulle tranche senior delle obbligazioni collateralizzate che sono servire per ripulire dalle sofferenze i bilanci delle banche italiane (fortunatamente incerte), e mi sembra che non ci sia certo di che cullarsi sugli allori.
Ma vedete, non vorrei darvi l’impressione del disfattista che avrebbe goduto di una eventuale bocciatura da parte di Moody’s.
Tranquilla Presidente Meloni, non faccio parte dei “gufi”!
Io sono ben contento di come è andata, e non faccio neppure parte di coloro che pensano che il giudizio dell’Agenzia di rating sia una sorta di premio degli americani per l’ “atlantismo senza se e senza ma” di Giorgia Meloni.
Non è assolutamente così, e la riprova sta nel fatto che Moody’s e le sue sorelle stanno progressivamente declassando, per evidente disfunzionalità di governance, niente meno che il merito del credito sovrano degli Stati Uniti (sì degli Stati Uniti).
Quindi, “passata la tempesta”, tirati i doverosi sospiri di sollievo, i patrioti del Governo faranno bene a dedicarsi a due problemini non da poco, quali i negoziati sul Patto di Stabilità, ed i rischi evidenti di una possibile recessione in Europa.
Ma poiché ormai credo mi conosciate, parlando di Moody’s non posso non rilevare che venerdì la stessa Agenzia ha riportato il Portogallo nel campo dei giudizi “A”.
E’ un qualcosa di clamoroso, perché il rating dei Lusitani è salito in un solo colpo di due gradini, passando da Baa2 (che era già un gradino sopra di quello italiano) ad “A3”.
Per darvi un’idea sarebbe come se a scuola uno studente passasse improvvisamente dalla media del 6 a quella dell’8 in un colpo solo, o una squadra di calcio dalla serie C alla serie A.
A cosa è dovuta questa performance?
Lo spiega Moody’s stessa parlando di “sostegno dato alla sostenibilità del debito nel medio termine da una serie di riforme economiche e fiscali, dalla riduzione dell’indebitamento del settore privato, e dal continuo rafforzamento del sistema bancario».
Le prospettive di medio termine del Portogallo – continua Moody’s – sono sostenute «da significativi investimenti pubblici e privati e dall’implementazione di ulteriori riforme strutturali, entrambi legati al Pnrr”.
Questa “promozione” testimonia che non esiste nessuna preclusione per nessuno, come qualche “patriota” tenta talvolta di farci credere, e se si fanno le riforme, quelle “vere” che i nostri Demostene si sono sempre ben guardati dal fare (continuando a difendere l’indifendibile come i balneari ed i taxisti), alla fine le Agenzie di rating te lo riconoscono!
Ma questa vicenda mi consente di spostarmi su un altro tema che ci trasciniamo da tempo, e che ci ha reso quasi una sorta di “paria nella Ue”; e mi riferisco al Mes.
Già Giuseppe Conte diceva che il “Meccanismo Europeo di Stabilità” ha “una brutta fama”.
Già la scelta di questo termine sembrerebbe testimoniare che anche in economia è la narrazione a dominare.
Ed infatti la narrazione “contiana” è stata ripresa pari pari da Giorgia Meloni, portando l’Italia nella scomoda posizione di essere l’unico Paese a non aver ratificato questo trattato europeo.
Ma il Mes è davvero quella “brutta bestia” che ci viene dipinta?
La verità è un’altra, e ci dice che i Paesi che l’hanno utilizzato non hanno subito l’apocalisse, anzi.
Non solo il Mes non ha provocato danni irreparabili, ma addirittura i risultati economici raggiunti da Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro, sono stati negli ultimi anni in media migliori di quelli di quell’Italia, che ha preferito sovranamente fare da sé.
Il Mes ha due predecessori con acronimi antipatici: il Fesf (Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria) e Mesf (Meccanismo Europeo di Stabilità Finanziaria), i quali hanno prestato alla Grecia circa 217 miliardi tra il 2011 e 2015, 50 miliardi al Portogallo, 41,3 alla Spagna (che li ha usati in parte solo per la ricapitalizzazione delle banche), 17,7 all’Irlanda, e 6,3 alla piccola Cipro.
L’utilizzo di questi fondi non solo ha allora evitato che questi Paesi si indebitassero con il mercato a tassi decisamente più alti, ammesso che ci fossero riusciti, e con il tempo l’Italia da Paese con il deficit minore è diventato quello più in rosso del gruppo (a proposito si tratta dei Paesi a suo tempo etichettati con l’orrida sigla PIGS).
E tanto per dirne una, dal 2013 il Pil pro capite italiano è inferiore alla media europea, e nonostante la ripresa là è rimasto. L’ironia della faccenda è che gli Stati che sono ricorsi al Mes, dopo il prestito sono andati mediamente meglio dell’Italia. Tra 2013 e 2015 è progredito di 4,8 punti in Spagna, anche più della media Ue, del 2,9 in Portogallo, solo del 0,4 in Italia.
E se analizziamo la spesa sanitaria tra il 2013 e il 2018 in Spagna, Irlanda, Portogallo, nonostante (o dovremmo ora dire, grazie a) il ricorso al Mes la spesa sanitaria è cresciuta più che nel nostro Paese, e di molto. Rispettivamente del 13,8 per cento (Spagna), del 26,7 per cento (Irlanda), del 16 per cento (Portogallo).
In Italia? Solo il 4,8 per cento, in sostanza come l’inflazione.
Anche la Grecia, dopo i tagli, ha ottenuto un incremento maggiore del nostro.
Dai numeri è evidente che il calo della spesa sanitaria come “imposizione” dell’Europa è solo una “narrazione per gonzi”, perché sono proprio i Paesi “commissariati” ad aver speso di più per la salute.
Ma vedete, qui entra in ballo la vera politica italiana, quella che vuole sopra ogni cosa controllare la spesa a fini di marchette elettorali, perché se avessimo aderito anche noi al Mes saremmo stati obbligati a spendere quei soldi in sanità, invece che per amenità quali Quota 100 e Reddito di cittadinanza!
Tutto questo solo per dirvi; non crediate acriticamente a quello che vi raccontano i nostri Demostene!
Perché è chiaro che si tratta di narrazioni tendenziose, buone per il “popolo bue”, e anche se ratificheremo il Mes (e lo faremo credetemi), nessuno ci potrà mai obbligare a richiederne l’intervento.
Tutto il resto non è noia come cantava Franco Califano; è solo bassa politica!Umberto Baldo