Mps – Mediobanca, una operazione per la conquista di Generali. E il Governo non è arbitro
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di Marco Osti
Monte dei Paschi di Siena nei giorni scorsi ha stupito il mondo economico finanziario, ribaltando l’opinione comune che dovesse essere la prima preda disponibile in un processo di aggregazione fra banche.
Invece, alle prime ore della mattina di venerdì 24 gennaio l’istituto senese, il più antico del mondo, quello che negli ultimi anni è stato più volte sull’orlo del baratro ed è stato salvato con interventi pubblici di aumento di capitale, non privi di polemiche tra i vari partiti, che hanno portato lo Stato, prima di procedere alla dismissione di quote, a esserne proprietario per oltre il 60 per cento, ha lanciato un’Operazione Pubblica di Scambio su Mediobanca, storica roccaforte finanziaria del Paese e crocevia di grandi equilibri economici, affaristici e, ovviamente, politici.
Ma la mossa non è stata accolta con sorpresa solo perché ha ribaltato convinzioni che parevano consolidate, ma anche perché Mps si è proposta di acquisire un istituto che, al di là del prestigio e della storia, al momento del lancio della proposta valeva circa 4 miliardi in più della banca senese. Una differenza ulteriormente aumentata dalle quotazioni dello scorso venerdì, dalle quali si è evinto che ai 13,3 miliardi offerti per l’acquisto dovrebbero a oggi essere aggiunti almeno 1,3 miliardi.
Ma non è tutto, perché la meraviglia ha lasciato anche il posto a più di un dubbio in molti analisti e osservatori sulla logica industriale di un progetto che prevede la fusione di una banca commerciale con una di investimento.
Per qualcuno solo un inedito, per qualcun altro un azzardo immotivato.
Tutto ciò però trova maggiore senso, non tanto nelle intenzioni dell’amministratore delegato di Mps Luigi Lovaglio, che è riuscito a risollevare le sorti della banca, dopo anni di enormi difficoltà e sacrifici dei lavoratori, fino a portarla a produrre utili e alla loro distribuzione, ma se si considerano le mire di azionisti come Gaetano Caltagirone e degli eredi Del Vecchio, con la loro holding Delfin, il cui vero obiettivo non è il controllo di Mediobanca, ma quello di Generali.
Già in passato ci avevano provato, ma la loro quota complessiva del 16 per cento non è stata sufficiente e la Compagnia ha respinto il tentativo, confermando il Ceo Philippe Donnet, con il sostegno di un gruppo di azionisti che ha come riferimento proprio Mediobanca, che in Generali conta il 25 per cento.
Così Caltagirone e Delfin negli ultimi mesi sono saliti nel capitale dell’istituto senese e insieme ora ne detengono il 36 per cento, con la sponda del governo, che ha ceduto parte delle sue quote.
In questo caso il controllo di Mediobanca, tramite la fusione con Mps, consentirebbe quindi di sommare le azioni detenute con quelle già possedute in Generali per arrivare al controllo del Leone triestino.
In tutto ciò non sfugge la posizione del Governo e della maggioranza, da subito favorevoli all’operazione, che appare congegnata come alternativa a quella originaria di portare alla fusione tra Mps e Banco Bpm.
Non va dimenticato che solo qualche mese fa, di fronte all’Operazione Pubblica di Scambio lanciata dal Gruppo Unicredit nei confronti di Banco Bpm il segretario della Lega, Matteo Salvini, attualmente ministro dei Trasporti e vice presidente del Consiglio, ha pubblicamente bocciato il progetto, sostenendo anche che era stato ideato per bloccare la fusione tra Monte dei Paschi di Siena e Banco Bpm.
Una operazione che di fatto non è mai stata posta in essere, dato che l’istituto guidato da Giuseppe Castagna ha lanciato una Operazione Pubblica d’Acquisto della società di gestione Anima, la cui partecipazione in Mps può far pensare a un suo interessamento anche all’istituto senese, però finora sempre negato.
Quindi Salvini o si riferiva a una sua idea o ha anticipato una operazione prima che fosse messa in atto e per farlo ha addirittura sostenuto che Unicredit sia un Gruppo straniero, quando ha sede legale e paga le tasse in Italia, peraltro rafforzando la Germania nella difesa di Commerzbank dal tentativo di acquisizione dello stesso istituto guidato da Andrea Orcel.
Allo stesso tempo il ministro dell’Economia e delle Finanze ha ipotizzato il ricorso alla Golden Power per evitare l’azione di Unicredit, che appare quindi avere bloccato la volontà del Governo di essere protagonista nella costituzione di un terzo polo bancario.
Obiettivo che oggi si coniuga con quello di Caltagirone e Delfin di puntare a Generali e così, d’un tratto, Mps è diventata protagonista di una operazione che trova ragione in motivazioni politiche e legate alle aspirazioni di grandi azionisti.
Non può in questo scenario non tornare in mente la celebre frase: “Abbiamo una banca?” dell’allora segretario dei Ds Piero Fassino, pubblicata nel dicembre 2005 da Il Giornale.
L’affermazione, contenuta nell’intercettazione di una conversazione del politico con il manager Giovanni Consorte, che ai tempi, alla guida di Unipol, provava la scalata alla Banca Nazionale del Lavoro, scatenò un putiferio da parte degli esponenti del centro destra.
Poi si seppe che era stata estrapolata da una conversazione più articolata, ma il danno politico che si voleva procurare agli avversari da parte del giornale della famiglia Berlusconi aveva colpito nel segno.
Successivamente si seppe anche che il via libera alla pubblicazione fu dato da Silvio Berlusconi, cui fu fatto ascoltare il nastro da Roberto Raffaelli, amministratore delegato della società incaricata di eseguire le intercettazioni, poi condannato per falsa testimonianza per aver negato il fatto.
Il Cavaliere nel 2013 fu infatti condannato in primo grado a un anno di reclusione, con successiva prescrizione nei successivi gradi di giudizio, per aver divulgato una informazione coperta da segreto istruttorio.
In ogni caso è evidente che si voleva esporre alla condanna mediatica il principale partito del centro sinistra, sostenendo che parteggiava per l’esito positivo di una operazione di mercato tra istituti finanziari.
Soprattutto si denunciava come fosse improprio che una parte politica potesse avere una qualche influenza dentro l’azienda che si sarebbe costituita per tale operazione.
Evidentemente qualcosa negli ultimi 20 anni deve essere cambiato e oggi per la maggioranza di centro destra avere una banca non è un fatto così deprecabile, ma è anzi un obiettivo da raggiungere anche se il Governo abdica dal proprio ruolo di arbitro.
Ma per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni quella che coinvolge Mps e Mediobanca “è un’operazione di mercato”.