14 Febbraio 2022 - 10.08

“Muore giovane chi agli dei è caro” – Il mito di Che Guevara

di Umberto Baldo

Qualche giorno fa mi è ricapitata fra le mani una copia del libro “Diari del Che in Bolivia”, nella mitica edizione Feltrinelli del 1968, quella che aveva in copertina la foto scattata da Alberto Korda, che divenne famoso proprio in virtù di quello scatto dal titolo emblematico di “guerrillero heroico”.
Non mi è venuta la voglia di rileggerlo quel libro. Lo avevo fatto appena uscito, e ricordavo che, trattandosi appunto di un diario di guerra, non era di facile lettura.
Ma rivedere quella copertina, quella foto “potente” del Comandante Ernesto Guevara de la Serna, passato alla storia come il “Che”, ha risvegliato in me molte emozioni.
Credo siano pochi quelli che non hanno mai visto quel primo piano del “Che” con il basco con la stella, i riccioli ribelli, lo sguardo intenso, che sicuramente lo ha trasformato in una icona universale, contribuendo così alla nascita del mito.
E per chi ha vissuto da giovane gli anni ’60 del secolo scorso, non può dimenticare che quella foto divenne uno dei simboli delle barricate del Maggio francese, e delle marce contro la guerra del Vietnam.
Anche se, ormai è noto, il vero inventore dell’icona del “Che” fu Giangiacomo Feltinelli, che di ritorno dalla Bolivia, dove Guevara stava perdendo sanguinosamente la sua ultima battaglia, si fece regalare la foto da Korda, la scontornò, la posterizzò ad alto contrasto, e la stampò appunto sulla copertina del Diario del Che, lanciandola nell’Olimpo delle immagini epocali.
Feltrinelli non era un editore puro, era uomo di parte, uno che a Cuba era di casa, e sicuramente con la diffusione di quella foto in un certo senso pianificò la “santificazione” del combattente.
Negli anni della rivoluzione permanente, in Francia come in Italia come negli Usa, ma il fenomeno fu pressoché globale, non c’era ragazzo della mia generazione che non avesse almeno una t-shirt con l’immagine del Che di Korda, o un poster in camera da letto.
Io il poster con quella foto addirittura me lo dipinsi da solo, ed il risultato fu anche apprezzabile.
E quell’immagine quasi di culto divenne trasversale perchè trascendeva i blocchi della guerra fredda, quello americano contro quello sovietico.
Perchè Che Guevara non veniva percepito come un eroe del “comunismo”, tanto è vero che nessuno si sognò mai di stampare su una maglietta l’immagine di un Leonid Breznev o di un Pol Pot.
Il “Che” era altra cosa, ed il suo ritratto poteva essere tranquillamente affiancato a quello di Gandhi, di Malcom X, di Madre Teresa di Calcutta.
Egli divenne uno dei simboli della guerra contro il capitalismo nord americano, ed in generale della lotta per la liberazione dei popoli oppressi, e per anni e per diverse generazioni, le lotte e i movimenti rivoluzionari del mondo hanno assunto il “Che” come simbolo di resistenza e identità.
Sicuramente Korda non poteva neppure immaginare l’impatto di quella sua foto, che rapidamente girò tutto il mondo, diventando un’icona della liberazione dei popoli poveri.
Eppure il “Che” in Bolivia fallì! Le masse contadine che voleva liberare non solo non lo capirono, ma addirittura lo tradirono.
Ciò che era riuscito a Cuba nel 1959, nella foresta andina si rivelò impossibile, ed il diario di Guevara, di cui parlavo all’inizio, pubblicato postumo da Fidel, libro-cult per più generazioni, non è altro che il racconto puntuale e amaro di una sconfitta politica e militare.
Ma paradossalmente, dal fallimento di quell’utopia teorizzata da un guerrigliero che, partendo dalla Bolivia, voleva espandere la rivoluzione a tutta l’America latina, nacque la leggenda del Che.
Facendo così dimenticare la fase in cui Guevara da Presidente del Banco Central di Cuba e da Ministro dell’Industria, fu uno degli artefici dell’insediamento di un regime comunista fortemente centralizzato.
Abbandonando Cuba, imbracciando nuovamente le armi sulle Ande boliviane, Guevara avviò il percorso della fondazione del suo mito, diventando l’incarnazione virtuale del potere che rinuncia a se stesso per continuare a perseguire l’ideale rivoluzionario.
Morendo in Bolivia Guevara riuscì così a sfuggire al destino, ripetitivo, di tutte le rivoluzioni, che dalla fase della rivolta, dello slancio innovatore, delle promesse di palingenesi, quando diventano inevitabilmente esercizio concreto del potere, si irrigidiscono, si dogmatizzano, si trasformano appunto in “regimi”, quasi sempre illiberali ed autoritari.
E così all’immagine di un Fidel Castro, fedele alleato dell’Unione Sovietica, morto nel suo letto 90enne dopo aver governato Cuba per 50 anni da dittatore, si contrappone quella di un uomo di 39 anni, di un idealista morto in battaglia credendo fino alla fine nel sogno di unire tutta l’America latina in un solo stato rivoluzionario.
Nessuna meraviglia quindi se il “Che”, lasciando poltrone e ministeri per scalare il suo Golgota boliviano, sia diventato l’icona di un eroe romantico, ascendendo così al Cielo degli eroi di una rivoluzione tanto emozionante quanto mitica e antistorica.
Eppure, come accennato, nessuna dei sogni di Guevara si è realizzato!
Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda e l’Unione Sovietica è crollata, in America latina non ci sono quasi più movimenti guerriglieri, e l’ideale comunista è ormai confinato nelle ridotte di Cuba e del Venezuela, in attesa di un crollo che non sembra ormai tanto lontano.
Nonostante tutto questo il volto del “Che” rimane di per sé ancora il simbolo della sfida allo status quo, della ribellione, soprattutto giovanile, contro le ingiustizie.
Non meraviglia quindi se quella foto del Comandante, scattata per caso da Korda, riesce ancora a suscitare emozioni, rievocando quello slogan “Hasta la victoria siempre” che il “Che” amava pronunciare spesso.
E non meraviglia se la sua figura è presente in molte canzoni, da “Hasta siempre comandante” dei Buena Vista Social Club, a “Stagioni” di Francesco Guccini, a “Celia de la Serna” di Roberto Vecchioni, ad “Anch’io ti ricorderò” di Sergio Endrigo.
In fondo Guevara impersona ai nostri occhi di eredi della cultura greca l’idea, espressa in un frammento di Menandro, secondo cui “muore giovane chi agli dei è caro”.
Umberto Baldo

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