Olimpiadi: Parigi batte Roma, la grandezza francese ed il nanismo italiano
Al di là di quello che si può pensare Parigi è una capitale molto piccola.
Più piccola di tutte le capitali europee o mondiali più importanti (per capirci ha 2 milioni di abitanti, contro i 4 di Berlino ed i 9 di Londra).
Tuttavia, è una delle più influenti: nelle classifiche che valutano il peso specifico delle città, Parigi è in genere posizionata tra le prime tre, con New York e Londra.
La città ha sempre avuto una capacità di influenza inversamente proporzionale alla propria dimensione, e finora la scommessa ha funzionato anche grazie alla sua enorme carica simbolica: Parigi è capitale dal V secolo dopo Cristo, possiede una continuità del Potere ed un accentramento di funzioni politiche, culturali ed economiche, che nessun’altra città del mondo può vantare, a parte Londra ed Istanbul.
Che cos’ha Parigi che altre capitali non hanno?
A mio avviso la Rivoluzione, nel senso che Parigi è la città-pivot sulla quale, un giorno, la storia ha girato, condizionando tutta l’Europa (ed in parte anche il resto del mondo).
Perché questa lunga premessa se in realtà oggi voglio parlarvi delle Olimpiadi?
Ma per il semplice motivo che, comunque la sia guardi, questi del 2024 per me non sono stati i “Giochi della Francia”, bensì le “Olimpiadi di Parigi”.
La Francia è un Paese di opposti, e di forti passioni; non per caso ha inventato il dualismo destra sinistra.
Era uscito lacerata dalle doppie elezioni, europee e legislative di giugno-luglio, tanto da far scrivere di una guerra civile strisciante, e per fortuna sinora incruenta.
Si trascina da anni una forte contrapposizione tra città e banlieue, tra città e campagna, tra autoctoni e immigrati.
Ha subito gli effetti più devastanti sul suolo europeo del terrorismo jihadista.
C’erano dunque tutti i presupposti perché i Giochi, che offrono una platea planetaria, diventassero bersaglio di manifestazioni di insoddisfazione le più varie.
E invece è bastato che suonasse “la Marsigliese” perché le fratture si ricomponessero, momentaneamente sia chiaro, in nome del bene supremo e del motto: “giusto o sbagliato è il mio Paese”.
Alla fin fine ha prevalso l’idea che c’erano da onorare le Olimpiadi di Parigi, la capitale amata, e odi-amata, solo da chi si sente escluso dal clima dei suoi bistrot e dei suoi boulevard.
Perché dico che sono state le Olimpiadi di Parigi?
Ma per la scelta ben precisa di concentrare quasi tutto nella città, trasformandola di fatto in uno scenario incomparabile per le manifestazioni e gli atleti.
Ma avete presenti i luoghi dove si svolte le gare?
La reggia di Versailles ha ospitato l’equitazione ed il Pentathlon moderno, e Place de la Concorde BMX freestyle, Skateboard e Basket 3×3 e Breaking.
L’Esplanade des Invalides ha ospitato il traguardo della Maratona, e il tiro con l’arco.
Il Ponte Alessandro III il nuoto di fondo (pur con tutte le polemiche relative alla “balneabilità” dell’acqua della Senna).
Lo Stadio Tour Eiffel, trasformato in una spiaggia con un colpo d’occhio incredibile, ha ospitato il Beach Volley.
L’Aquatics Center di Saint-Denis ha ospitato il nuoto artistico, la pallanuoto ed i tuffi.
Il Gran Palais la scherma ed il Taekwondom, lo stadio di Vaires-sur-Marne ha ospitato la canoa ed il canottaggio.
Lo Stade de France ha ospitato l’Atletica leggera ed il Rugby a 7, ed il Sacré Coeur le gare di Ciclismo su strada.
Si poteva pensare a location più cariche di storia?
In fondo quei monumenti sono sempre stati lì, ma grazie alle scelte degli organizzatori hanno riacquistato il loro splendore e sono ridiventate parti integranti del patrimonio della Francia e dell’Umanità.
E pazienza se il tutto è stato condito da una buona dose di “grandeur”, tanto che con le riprese panoramiche e dall’alto quei monumenti ce li hanno fatti imparare a memoria.
Pazienza, un po’ di ostentazione del passato glorioso, ed i riverberi postumi per qualunque cosa sia “de France”, è comprensibile e perdonabile!
Io credo che quella di trasformare Parigi nella scenografia dei giochi Olimpici sia stata una scelta coraggiosa.
E cosa volete, dopo poco anche le polemiche si trasformano in ricordi.
E così per quanto la cerimonia di apertura abbia dato l’aria di prendere in giro i Giochi (nel senso di non averci molto a che fare), la cerimonia di chiusura ha ripetuto fedelmente tutti i codici dell’Olimpismo, della mitologia, della Grecia, dei 5 Cerchi, dell’elevazione dell’uomo…
Per chi immaginava (e forse sperava) in un ulteriore spettacolo finale “fuori dagli schemi, si è forse trattato di un fatto del tutto inaspettato.
E cosa c’è di più bello, di più vero, del vedere migliaia di atleti riuniti attorno a un gruppo rock come se stessero suonando in un piccolo spettacolo in una sala da concerto locale, ballando e saltando, e sventolando le bandiere del loro Paese.
Per il momento, e fino all’ 8 settembre, quando finiranno i Giochi paralimpici, Parigi resterà al centro del mondo dello sport.
Dopo inevitabilmente calerà il sipario, si tornerà alla “vita normale”, e fatalmente Parigi e la Francia ricadranno nella routine francese, nei guai e nei problemi della politica.
Un’ Olimpiade è fatta sì di “”emozioni”, ma ancora di più di immagini che non si cancellano, magari sbiadiscono, ma restano imperiture.
Istantanee che si fissano anche nelle menti meno allenate all’esercizio della memoria.
Parigi è stata meravigliosa come teatro sportivo; gli stadi strapieni dalla mattina alla sera, le strade stracolme di appassionati per l’Atletica ed il ciclismo, ma anche gli spalti sulla Senna, il grande fiume che riporta alla memoria momenti romantici.
Dal punto di vista economico, da non trascurare, sappiamo che imponenti eventi come le Olimpiadi provocano spesso mutamenti importanti sull’assetto e sulla conformazione delle città. In particolare la corsa alla realizzazione di infrastrutture maestose, spesso oggetto di feroci critiche, ha contraddistinto praticamente qualsiasi edizione precedente. Con le frequenti denunce per le ingenti quantità di risorse utilizzate per la realizzazione di tali opere, che spesso finiscono per diventare le famose “cattedrali nel deserto” o “white elephant”, in inglese.
Ciò non succederà a Parigi, perché il 95% degli edifici utilizzati per le Olimpiadi erano preesistenti, e oltre a tutto la città si era impegnata a ridurre del 50% l’impatto di emissioni di carbonio (ne sanno qualcosa gli atleti costretti a dormire senza condizionamento).
Io credo sia ancora presto per dire se e come le Olimpiadi riusciranno effettivamente a lasciare vantaggi tangibili nel futuro a medio-lungo periodo di Parigi.
Ma ritengo innegabile, tuttavia, che eventi come le Olimpiadi, se programmati con una visione “prospettica”, e attraverso l’ascolto e il coinvolgimento delle comunità, possano “costruire” un’eredità concreta per una città ed i suoi residenti.
A mio avviso la Francia e Parigi ci hanno provato, e quindi “Chapeau”.