16 Febbraio 2025 - 12.12

Olly, Lucio Corsi, Brunori Sas: a Sanremo vince il Paese che vuole andare oltre la “normalità”

Alla fine ha vinto Olly.

E questa volta non è stato un risultato annunciato.

Mai forse come quest’anno c’era incertezza su chi avrebbe prevalso e i contendenti erano diversi.

Una situazione che da un lato evidenzia come ci fossero almeno una decina di buone canzoni, ma, allo stesso tempo, che nessuna si possa proporre come la più iconica o semplicemente bella per essere ricordata.

Sotto questo punto di vista il livello delle proposte rispecchia un po’ il tenore di un Festival di Sanremo 2025 che ha raccolto interesse, che ha fatto grandi ascolti, ma non ha raggiunto picchi indimenticabili.

Una sorta di melassa di spessore medio alto, di cui la conduzione di Carlo Conti è stata simbolo nell’essere spedita, precisa, se vogliamo impeccabile, ma senza guizzi, anche a volte infastidita quando qualcosa o qualcuno usciva dallo schema predefinito.

Così ci si sveglia in questa domenica mattina, assonnati per avere fatto tardi in attesa del risultato, con questa sottile e insidiosa sensazione di inespresso, di incompiuto, che ricorda quella di quando la tua squadra pareggia una partita che doveva vincere, non perchéfosse obbligata, ma perché poteva farlo, aveva tutte le possibilità di farlo, ma non ha osato farlo, bloccata dalla paura di sfidare il destino e la possibilità di perdere.

Quella maledetta possibilità di poter perdere.

E in questo si consuma l’idea che il Festival potesse essere ancora una volta, o finalmente, migliore del Paese, della sua tendenza a vivacchiare, della sua incapacità di uscire dalla sua condizione mediana, che le impedisce di aspirare al meglio, a una sublimazione di slancio, di ideali, che porta a tendere all’infinito.

Una mediocrità consolidata e virtuosa, forse, ma pur sempre mediocrità.

Però nel Paese c’è voglia di piangere, ridere, di buttarsi con il cuore oltre l’ostacolo, di avere la forza di schierarsie lo dimostra il successo di chi in questo Sanremo ci ha provato ad andare oltre ciò che doveva per forza essere.

Nino Frassica e Geppi Cucciari tra i co conduttori, Roberto Benigni tra gli ospiti, vari cantanti, per primi quelli finora sconosciuti al grande pubblico come i tre che occupano il podio del Festival: lo stesso Olly, Lucio Corsi e Brunori Sas, che va anche ringraziato per la dedica del pezzo di Lucio Dalla “L’anno che verrà”, al termine della sua esibizione nella serata delle cover, a Paolo Benvegnù, ricordandone il valore come cantautore, purtroppo mai baciato dal grande successo che meritava, e come persona sempre pronta a dispensare grazia e umanità.

Allora forse in questo risultato di Sanremo il riconoscimento del pubblico a chi si è distinto e il voto a quei tre outsider è un messaggio che, pur in questa epoca confusa e violenta, in cui sta passando l’idea che è meglio chiudersi nella propria realtà, come nella propria nazione, escludendo l’altro, soprattutto se diverso, c’è invece ancora più necessità di schierarsi per difendere un ideale di solidarietà fra persone e popoli e le istituzioniche lo incarnano e lo manifestano.

A partire dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nelle stesse ore in cui l’Italia si concentrava sul Festival subiva un attacco violento e inaccettabile dalla Russia o di quell’idea di Europa unita,che per anni è stata costruttrice di pace e nelle stesse ore subiva l’aggressione verbale del vicepresidente americano JD Vance, con l’elogio del presidente Donald Trump.

Cogliamo allora i segnali che arrivano dal voto e facciamo guidare dal coraggio di chi canta la nostalgia come Olly, dalla grandezza insita nella normalità dipinta da Lucio Corsi, dalla dolcezza e dalla debolezza di fronte alla potenza di una nuova vita descritte da Brunori Sas.

VIACQUA

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