Ostia o patatina? Lo spot… stoppato
Umberto Baldo
Vi sono termini che nel lessico comune sono utilizzati come sinonimi, ma che in realtà non lo sono.
Un esempio sono laicismo ad anticlericalismo, spesso accomunati e considerati due sfumature dello stesso concetto.
Non è così, ed infatti mentre il laicismo a mio avviso consiste nell’atteggiamento di separazione ed esclusione della religione dalla sfera pubblica, l’anticlericalismo è un qualcosa di più, e si sostanzia in una netta contrarietà ed avversione al clero e alla Chiesa nel suo complesso.
Mi rendo conto che stiamo camminando su un sentiero stretto, ma alla fine credo che la domanda di fondo sia questa: è inevitabile per un laico essere anti-clericale?
Nonostante quello che potrebbero pensare coloro che mi conoscono da una vita, e la mia antica militanza, nella prima Repubblica, in uno dei Partiti “laici” per antonomasia, la mia risposta è un “No” senza tentennamenti.
Per come la vedo io, il laico non è una persona che non vuole credere o che non crede. Anche i laici, alla pari di tutti gli esseri umani, esprimono credenze, convinzioni, passioni, sia in ambito filosofico, che culturale e religioso.
Ne deriva che è improponibile la definizione dei “laici” come “non credenti”; allo stesso modo che non è proponibile una contrapposizione tra “laici” e “cattolici”, per il semplice motivo che, nell’esperienza concreta, così come vi sono molti cattolici che a mio avviso possono considerarsi “laici”, così ci sono “non credenti” o “atei” che tuttavia assumono atteggiamenti non irrispettosi di chi crede e pratica un culto religioso.
Ho fatto questa premessa, mi scuso se lunga, perché la ritengo indispensabile per affrontare al meglio la notizia su cui ragioneremo oggi.
In estrema sintesi parliamo dello “spot pubblicitario” delle patatine “Amica chips”, giudicato provocatorio, tanto da determinare l’intervento del Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (Iap).
Avete avuto modo di vederlo?
Se non ne avete avuto l’occasione, la “trovata creativa” è questa: un gruppo di novizie è a Messa e, al momento della comunione, quando la prima della fila chiude la bocca dopo aver ricevuto l’Eucaristia, si ode uno scrocchio. Sguardi di sorpresa di suore e sacerdote: nella pisside, infatti, anziché le ostie ci sono patatine fritte. L’inquadratura successiva svela il mistero: è stata la suora più anziana che sta sgranocchiando un sacchetto di chips ad avercele messe, avendo in precedenza trovato la pisside vuota. Lo slogan finale, mentre in sottofondo risuonano le note dell’Ave Maria di Schubert, è: «Amica chips, il divino quotidiano”.
Che questa “réclame” avrebbe avuto degli strascichi polemici i creativi lo avevano senz’altro messo in conto, tanto che della stessa ne sono state elaborate e mandate in ondatreversioni diverse:quella che vi ho descritto diffusa sui social, mentre nei canali Mediaset non si vede se alla suora venga data l’ostia consacrata, e il “crunch” che si sente sembra semplicemente il rumore dello sgranocchiare patatine della suora che sta in sacrestia; ed infine una per la Rai ulteriormente “edulcorata”.
Chissà se questa scelta è derivata dal timore delle Grandi Reti televisive di incorrere in un’accusa di “blasfemia”, oppure magari della furbizia dei pubblicitari di diversificare il messaggio, appunto segmentando gli spot in funzione del target di pubblico, per massimizzarne l’effetto!
Dico subito che, sulla base della mia annosa esperienza, alla fin fine solamente di uno spot si è trattato, di una pubblicità web e tv che poco o nulla ha spostato nelle convinzioni e negli animi di chi l’ha visto.
Ma ciò non toglie che qualcuno si sia offeso, che altri abbiano apprezzato il lato provocatorio-satirico, e altri ancora che abbiano vissuto lo stesso benissimo senza esprimersi sullo spot “scandaloso”; perché quello che interessa ad Amica Chips, come a chiunque viva di pubblicità, è più che altro che “se ne parli”, e quindi lo spot della patatina al posto dell’Eucarestia pubblicitariamente parlando è stato comunque un successo.
In ogni caso, alla prova della realtà, chi non ha apprezzato la “forte ironia british” dello spot (così era stata presentata la campagna), ha finito per fare sentire alta la protesta.
E lo ha fatto sottolineando che, soprattutto quella andata in onda sui canali digitali, è un’offesa a ciò che c’è di più sacro per milioni di italiani, anzi per 2,4 miliardi di cristiani nel mondo: il Cristo crocifisso e risorto che si fa presente nell’ostia consacrata. Ricordando che: “In quella pisside, ad ogni Messa nel mondo, infatti, non si ricorda semplicemente il comandamento lasciato da Gesù agli apostoli nell’ultima cena, ma avviene una consacrazione che trasforma del pane nel corpo stesso di Cristo, di cui i credenti si cibano per essere con lui, appunto, in comunione. Più che uno spot, quello di Amica chips è uno “sputo”, come quello dei soldati romani a Gesù prima della crocifissione”.
Capite bene che, con queste premesse, non poteva che andare a finire in un solo modo.
Ed infatti alla fine è arrivato lo stop, e lo spot non andrà più in onda.
E ad imporlo è stato il Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (Iap) che “ha ingiunto le parti coinvolte di desistere dalla diffusione di tale campagna ritenendola in contrasto con l’art. 10 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, secondo cui: “La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose”.
Ad avviso del Comitato, il parallelismo che il messaggio instaura tra la patatina descritta come “il divino quotidiano”, e l’ostia, che rappresenta evidentemente il divino, si sostanzia nella derisione del senso profondo del Sacramento dell’eucaristia, rendendo più che ragionevole che il credente, e non solo, si senta offeso.
Personalmente condivido in pieno questa decisione, in primis perché non tutto può essere banalizzato, irriso e strumentalizzato ad interessi di natura meramente economica, e poi perché un Codice di Autodisciplina (io aggiungo sulla scia della più alta tradizione liberale), deve obbligatoriamente tutelare anche il sentimento religioso come bene individuale di ogni cittadino, qualunque sia la fede professata.
E a tal proposito non posso non osservare che in Italia, mi ci gioco le mani, uno spot del genere con riferimento ad esempio a Maometto, ad Allah o al Credo musulmano, non sarebbe mai venuto in mente a nessun creativo, e comunque non lo avrebbe messo in onda nessuna Tv e nessun Social.
E spero non ci si voglia appellare al politically correct e alla cancel culture.
Qui si parla semplicemente di rispetto; una parola che di questi tempi sembra avere sempre meno valore.
Umberto Baldo