31 Ottobre 2023 - 8.33

Otto Comuni veneti al voto: quattro si fondono, quattro no

In questo fine settimana si è votato in 8 Comuni veneti, ma non per eleggere il Sindaco, bensì per il Referendum su quattro proposte di fusione.

I centri interessati erano Guarda Veneta e Polesella, nel Rodigino, che dovevano approvare o meno l’istituzione di Polesella Veneta; Carceri e Vighizzolo d’Este, in provincia di Padova, per unirsi nel nuovo Comune di Santa Caterina d’Este; Gambugliano e Sovizzo, nel Vicentino; infine Quero Vas e Alano di Piave, in provincia di Belluno per dare vita ad un’aggregazione denominata Setteville.

Il risultato è positivo per i due comuni padovani, i cui cittadini con il 62% hanno dato il via libera al nuovo Comune di Santa Caterina d’Este.

Strano il risultato in provincia di Rovigo, dove da una parte, a Polesella, non si è raggiunto il quorum (ha votato solo il 26,99% degli aventi diritto, anche se chi ha votato ha detto sì nel 75% dei casi), e dall’altra parte, a Guarda Veneta, un quorum da “beffa”, il 47.02% degli aventi diritto, ma con una prevalenza del “no” (in definitiva non è passata la costituzione del nuovo Comune di Polesella Veneta)

I residenti di Alano di Piave e Quero Vas, con il doppio quorum richiesto dalla legge hanno invece approvato asll’80% la fusione, e così nasce il Comune di Setteville.

Resterebbe invece ancora in “stand by” l’integrazione tra Sovizzo e Gambugliano. Si è infatti raggiunto il quorum a Gambugliano, ma non a Sovizzo per una manciata di voti. I favorevoli alla fusione sperano negli arrotondamenti, tanto che i Sindaci hanno dichiarato che «non è detta l’ultima parola, la palla passa alla Regione».

Al di là del risultato di 2 a 2, credo sia utile riflettere soprattutto sul rifiuto dei cittadini di ampliare i propri Comuni, anche se ciò significa rinunciare a vecchie denominazioni, a vecchi campanilismi.

Tviweb, in un pezzo del 25 ottobre, titolato “Referendum day per 4 fusioni fra Comuni in Veneto”, vi ha compiutamente illustrato la problematica; dall’abbassamento del quorum richiesto dal 50 al 30% (Legge regionale 23 del 6.9.2023), ai notevoli vantaggi economici per i Comuni che decidono di fondersi, al miglioramento della qualità dei servizi derivanti dal poter gestire un territorio più vasto con più residenti.

Del problema della fusione fra Comuni se ne parla in Italia addirittura sin dai tempi di Mussolini, il quale nel 1929 con un colpo di penna ne cancellò ben 2000 fra quelli più piccoli.

Ne rimasero sempre troppi, tanto che al 1 gennaio 2023 il numero dei Comuni italiani era di 7.901.

Il che significa 7.901 sindaci, 7.901 giunte, 7.901 consigli comunali, 7.901 uffici anagrafe, uffici edilizia privata, uffici servizi pubblici, centri elaborazione dati ecc.

Tutto questo costa.

E se nei Comuni di una certa dimensione ciò ha un senso, nel caso dei piccoli comuni è solamente uno spreco, anche in considerazione del fatto che il 70% dei comuni è sotto i 5000 abitanti, ed il 20% è sotto i 2000.

Ci sono addirittura comuni con 100 o 200 abitanti, e addirittura meno.

Tanto per fare qualche esempio il comune di Moncenisio ha 49 abitanti, Monterone 31, Pedesina 41, Briga Alta 40, e potrei continuare a lungo.

Come accennato, lo Stato e le Regioni, consci del problema, stanno favorendo da anni e anni le fusioni, riscontrando però grandi difficoltà.

Perché gli Italiani sono molto attaccati al proprio Comune.

Lo vedono come un’estensione della famiglia, un luogo da difendere ad oltranza.

In fondo il cosiddetto “campanilismo” altro non è che un sentimento di appartenenza ad una comunità, cui si accompagna il bisogno di difenderne l’ identità ad ogni costo.

Non è un problema solo italiano; ma altri Stati hanno preso decisioni drastiche, come la Germania che ha dimezzato i propri Comuni, o la Danimarca che da 1388 li ha fatti diventare 275.

Nella nostra Italia tutto è sempre più difficile, anche se mi rendo conto che gli atti d’imperio non sono mai producenti, e che il sistema referendario è sicuramente il più giusto per prendere certe decisioni.

Quindi non resta che spingere sulla persuasione, per vincere quelle resistenze anche di carattere psicologico come l’eliminazione di una serie di titoli (Sindaco, Consigliere, Assessore, Presidente ecc.) che nei piccoli Comuni per chi li ha sono motivo di prestigio, anche a fronte di una remunerazione minima (per non dire che i Partiti considerano le Amministrative un banco di prova per misurare la loro forza elettorale).

Io non nego che il Comune sia percepito come l’istituzione più vicina ai cittadini, contro lo statalismo e la burocrazia, ma la gente deve rendersi conto che, con il progressivo calo della popolazione, in tempi anche ravvicinati ci saranno dei Comuni che assomiglieranno più a famiglie allargate che ad enti territoriali.

Dove si trovano i piccoli Comuni?

Soprattutto nelle aree alpine (coprono vaste zone del Nordovest, di Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) ed appenniniche (in particolare tra Abruzzo e Molise), ma sono presenti anche in molte aree di Basilicata, Calabria e Sardegna, e nelle basse pianure del Nord.

Ne costituiscono un esempio lampante i due Comuni che hanno deciso di dare vita a Santa Caterina d’Este, dato che Carceri conta 1.494 abitanti e Vighizzolo d’Este 907.

A volerla dire tutta anche il nuovo Comune di Santa Caterina d’Este, che avrà 2.401 abitanti, rimarrà un “piccolo Comune”, per il quale si porrà prima o poi nuovamente il problema di una ulteriore fusione.

Ma intanto il primo passo è stato fatto; e non è poca cosa visti i risultati di altri due Referendum.

Come accennavo sopra, e non a caso ci ritorno su, gli italiani devono capire che l’inverno demografico sta colpendo in misura maggiore proprio i piccoli Comuni, già oggi sempre più in difficoltà nel garantire i servizi ai cittadini.

E poiché il calo della popolazione è destinato ad intensificarsi nei prossimi anni, mettendo quindi a rischio la sostenibilità di tutte le funzioni gestite a livello locale, la fusione resta l’unico strumento che permetta di superare il sottodimensionamento degli Enti locali.

Chiudo con un’ultima notazione. Sono decenni che si parla a vuoto di spending review, senza alcun risultato, soprattutto perché nessuna Forza politica ha un vero interesse a portarla avanti seriamente.

Una corposa riduzione dei Comuni consentirebbe senza dubbio un enorme risparmio di risorse pubbliche, e con questi chiari di luna…..

Umberto Baldo

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