Overtourism: attenzione alle reazioni dei cittadini!
Umberto Baldo
Quando ero più giovane ho girato per quanto ho potuto in Europa, ma oserei dire con un certo “metodo”.
Innanzi tutto il mezzo di locomozione; esclusivamente l’automobile, anche perché allora si volava molto meno di adesso.
Poi la scelta di visitare un Paese alla volta, dedicandoci due o più anni, battendolo, come dire, “a tappeto”, visitandolo pressoché tutto.
Il metodo era molto semplice; una o due regioni l’anno: es. un anno Bretagna, un altro anno Normandia ecc.
L’automobile come mezzo di trasporto rispondeva anche ad un’altra esigenza; quella di andare ovunque, anche nei luoghi non segnalati nelle guide turistiche, nella convinzione che un Paese ed un popolo si conoscono veramente andando nelle località meno “note e pubblicizzate” e soprattutto frequentando i luoghi della vita di ogni giorno, tipo le osterie, i mercati, i negozietti di alimentari e non, la grande distribuzione allora agli albori.
Non c’è dubbio che erano altri tempi.
Sì magari qualche coda la potevi trovare davanti ad un monumento od un museo, ma erano rarissime, ed in ogni caso potevi accedere ad esempio al Louvre, a Notre Dame, al Prado ecc. senza avere la preoccupazione di aver prenotato mesi prima.
Così come potevi visitare San Pietro, gli Uffizi, Palazzo Ducale, il duomo di Siena, semplicemente presentandoti all’ingresso e pagando il biglietto ove richiesto.
Non è facile comparare due epoche diverse per indicare quale fosse la migliore.
E che si tratti di due epoche diverse, anche se divise solo da qualche decennio, non c’è alcun dubbio.
Ormai quella che stiamo vivendo, o subendo secondo i punti di vista, è l’epoca dell’Overtourism, caratterizzata sempre più dalle spiagge a numero chiuso, dalle strade di accesso ai lidi da prenotare online, da semafori anti ingorgo per selfie sui sentieri delle Dolomiti, da presenze contingentate e a tempo, da sensori che registrano i passaggi degli escursionisti.
Una fase in cui, in ordine sparso, l’Italia sperimenta contromisure per arginarlo: dal Trentino alle Cinque Terre, da Capri alla Puglia, per non parlare del ticket di ingresso a Venezia, e della proposta di far pagare l’accesso alla Fontana di Trevi, dopo il Pantheon.
Ma le notizie che arrivano dal mondo non sono poi molto dissimili, con foto della Grande Muraglia cinese con i turisti allineati in file allucinanti, e persino code di alpinisti della domenica in attesa di salire l’ultimo tratto per arrivare in vetta all’Everest.
Questi “alieni”, i turisti appunto, che improvvisano una visita dei luoghi senza parentele, legami, né conoscenze delle regole locali, apparendo dal nulla come zombie alla ricerca di un punto informativo o di un gesto di cortesia, hanno smesso di essere percepiti dalle popolazioni residenti come viaggiatori animati dal desiderio di conoscenza, scoperta, incontro e confronto, ovvero come ospiti (dal latino hospes, , forestiero da accogliere con sentimenti sacri di fraternità e reciprocità), per diventare via via solo un “affare economico” a vantaggio degli operatori del settore: alberghi, negozi, agenzie di viaggio, e da ultimo gli affittacamere (nobilitati dalla denominazione b&b).
Accennavo prima al senso delle mie peregrinazioni per l’Europa, finalizzate a capire le differenze con gli altri popoli, i loro usi, i loro costumi, i loro sentimenti, il loro modo di pensare; tutto ciò annullato dal turista di massa interessato solo al “mordi e fuggi”, da sublimare in un selfie in Piazza San Marco per poter dire e comunicare nei social “sono stato a Venezia”.
Dal punto di vista dell’organizzazione dell’offerta territoriale ha vinto la pratica del sightseeing (letteralmente “giro turistico”); nel senso chele destinazioni si sono organizzate per consentire di far vedere, rapidamente, “le cose che meritano di essere viste” (decise ovviamente a tavolino dalle Agenzie di viaggio, con tutto il corollario di interessi economici collegati).
In questo modo, al turista non è dato conoscere il mondo nella sua realtà, ma solo quella porzione che l’industria turistica ha selezionato per il consumo.
Ciò ha condotto ad una pratica del marketing territoriale non molto dissimile da quella di altri prodotti di mercato, segmentando la domanda dei turisti in funzione di generiche analisi sociometriche (provenienza, età, classe sociale, capacità di spesa, ecc.).
E così la relazione, ovvero, la capacità di ascolto necessaria ad allineare l’esperienza di un tour alle motivazioni e alle migliori aspettative dei visitatori, è diventato un aspetto subordinato alla ricerca di uno standard del “prodotto turistico”.
E a guardar bene le aspettative suscitate artificiosamente nel turista mordi e fuggi, scopriremmo che queste sono quasi sempre indotte, ovvero frutto di influenze mediatiche: social media, film, libri e pubblicità creano immagini idealizzate delle destinazioni.
Così come le narrazioni, che non derivano da esperienze culturali, bensì da storie e miti spesso frutto di concetti esasperati dall’attività di promozione pubblicitaria (“paradiso esotico“, “avventura perfetta“, “capitale del cioccolato“, ecc.).
Checché ne dicano, l’Overtourism aiuterà sicuramente il Pil italiano, ma ha determinato “peggioramenti della qualità della vita” nei cittadini residenti, che sempre più si percepiscono ormai quasi un “ingombro” da eliminare.
Non volendo essere accusato di portare ad esempio solo Venezia, che per me rappresenta comunque la sublimazione del peggio dell’Overtourism, gettiamo uno sguardo su un’altra nota città d’arte, Firenze.
Ho letto di recente un reportage dalla città di Dante in cui si diceva che studenti e studentesse, finite le scuole superiori, scelgono di lasciare la città in cui sono nati, per andare a frequentare l’Università in un’altra sede italiana.
Scelta che in parte sarà anche motivata dal desiderio giovanile di cambiare aria e cominciare una nuova vita, ma spesso anche dal fatto che questi ragazzi sentono Firenze come una città non più a misura di studente, dove il centro storico ha perso la propria identità snaturandosi in servizio per il turismo.
Tanto per avere un’idea della massa umana che si riversa in riva all’Arno, nel 2023 Firenze è stata visitata da 9 milioni di turisti, circa 25mila al giorno, tutti ovviamente concentrati negli spazi ristretti del nucleo medioevale della città.
Un turismo che, giocoforza, trasforma la vita economica della città, facendo schizzare alle stelle i prezzi (caffè a due euro, panino a 10 euro ecc.) alterando il mercato immobiliare, facendo sparire di fatto gli affitti a vantaggio dei b&b, trasformando inevitabilmente in peggio la vita sociale, riducendo i servizi e gli spazi di aggregazione.
La conseguenza più evidente è il progressivo svuotamento del Centro storico, ma il calo interessa la città intera.
Certo nascono meno bambini, ma a prevalere è il fenomeno dello spostamento dei fiorentini verso centri limitrofi, meno soggetti all’assalto delle orde dei turisti mordi e fuggi.
Se poi ad andare via sono anche gli universitari c’è un oggettivo depauperamento anche culturale della città.
Guardate che fenomeni simili sono in atto in buona parte delle città d’arte italiane; ad esempio anche a Padova e Verona (la conseguenza è che le case e gli affitti sono più cari ad Abano Terme, dove risiedo, rispetto a Padova).
Certo al Ministero del Turismo, ed al Governo nel suo insieme, sembrano interessare più i soldi portati dei turisti che la qualità della vita dei cittadini italiani.
Ma credo debbano stare attenti perché, come sta avvenendo un po’ ovunque nel mondo, le proteste stanno montando, e si sa che a tirare troppo la corda……..
Come accaduto ad esempio nei giorni scorsi a Roma, tra il Campidoglio ed il Circo Massimo, con anonimi che hanno sabotato i b&b della zona, rivendicando l’azione con lo slogan “basta turistificazione”.
Umberto Baldo