6 Marzo 2020 - 14.44

PASSAGGIO A NORD – Anche il pianeta si ammala: perché il cambiamento climatico non fa paura come dovrebbe

Anche il pianeta si ammala, eppure la notizia sembra non fare clamore. Secondo il Climate Index Risk, negli ultimi vent’anni, oltre 12.000 fenomeni meteorologici estremi hanno causato la morte di mezzo milione di persone. Tra il 2030 e il 2050, l’Organizzazione mondiale della sanità prevede che i cambiamenti climatici provocheranno altre 250 mila vittime ogni anno per cause che vanno dalla malnutrizione al surriscaldamento globale. Se il livello di emissioni dovesse rimanere invariato, gli scienziati del Climate Impact Lab ci mettono in guardia: si stima che entro la fine del secolo si conterebbero ogni anno 1,5 milioni di decessi correlati al cambiamento climatico. Anche l’impatto di carbone, petrolio e gas non scherza: l’inquinamento atmosferico causa fino a 4,5 milioni di morti premature ogni anno nel mondo, 56 mila delle quali in Italia (Greenpeace, “Aria tossica: il costo dei combustibili fossili”). E adesso, pensa: ti ricordi almeno uno dei numeri che hai appena letto?

SOS il pianeta terra chiede aiuto           
Anno bisesto, anno funesto? Il 2020 sembra non essere cominciato nel migliore dei modi per il nostro pianeta. Molti ricorderanno le piaghe d’Egitto, ovvero le dieci punizioni che, secondo la Bibbia, Dio inflisse agli Egizi affinché Mosè potesse liberare il popolo di Israele. Tra tutte, la numero otto: l’invasione delle cavallette. Proprio in questi primi mesi dell’anno, l’Africa orientale si trova ad affrontare enormi sciami di locuste che hanno già devastato raccolti e vegetazione con la loro voracità. Le proporzioni della catastrofe sono terrificanti: basti pensare che questi sciami di famelici insetti sono in grado di mangiare in un giorno la stessa quantità di cibo che solitamente viene consumato da circa 85 milioni di persone. Si tratta, secondo l’Onu, della peggiore invasione degli ultimi 25 anni che va a colpire paesi già messi a dura prova da fenomeni alluvionali e instabilità politica. Il cambiamento climatico fa da sfondo a questa tragedia: le locuste necessitano di terreno umido e sabbioso per deporre le uova e la loro proliferazione è stata favorita dalle forti piogge che si sono scatenate provocando inondazioni, oltre che dalle piogge causate dal ciclone Pawan. Non solo, in Kenya, Etiopia e Somalia sono quasi quattro milioni i bambini che soffrono la fame.       
I cambiamenti climatici non hanno pregiudizi e colpiscono anche all’estremo Sud: alla base argentina Marambio, sull’isola Seymour di fronte alla Penisola Antartica, il 9 febbraio è stata registrata la temperatura di 20,75 gradi. Il 6 febbraio, nella base argentina di Esperanza, nella Penisola Antartica, la temperatura era invece di 18,3 gradi. Praticamente in Antartide c’era la stessa temperatura che a Los Angeles: l’Organizzazione mondiale meteorologica (Wmo) ha fatto sapere che si tratta di un dato che normalmente non si assocerebbe all’Antartide neanche in estate. I ghiacciai continuano così a ritirarsi più velocemente della formazione di nuovo ghiaccio.     Notizie preoccupanti anche dal grande Nord: secondo l’Arctic Report Card 2019 del Noaa, l’agenzia federale americana che si occupa di oceanografia, meteorologia e climatologia, i ghiacci groenlandesi diventano acqua al ritmo di 267 miliardi di tonnellate per anno e contribuiscono all’innalzamento del mare di 0,7 millimetri. Non solo, lo studio “Carbon release through abrupt permafrost thaw” pubblicato sulla rivista Nature Geosciences, ci informa che con lo scioglimento del permafrost, grandi quantità di gas metano, rimaste intrappolate nel terreno per millenni, potrebbero esser rilasciate nell’atmosfera.
E adesso, pensa: ti ricordi almeno uno dei numeri che hai appena letto?

Che cosa pensiamo del riscaldamento globale quando cerchiamo di non pensarci
Il cambiamento climatico è reale, perché allora non agiamo immediatamente per contrastarlo e non prendiamo seriamente notizie di questo tipo? Nel saggio “What we think about when we try not to think about global warming” lo psicologo norvegese Per Espen Stoknes invita chi è in prima fila nella lotta ai cambiamenti climatici a comprendere le modalità con cui il cervello umano elabora le informazioni, così da essere in grado di motivare realmente le persone ad attuare quei cambiamenti di cui il nostro pianeta ha urgente bisogno. L’autore identifica ben cinque ragioni psicologiche per cui la lotta al cambiamento climatico coinvolgerebbe poco le persone e le farebbe desistere dal passare subito all’azione. Una parte importante la gioca il destino: gran parte di noi percepisce il cambiamento climatico come ormai inevitabile. Non solo, facciamo fatica a comprendere le reali conseguenze dell’emergenza climatica perché le percepiamo distanti da noi, sia in termini di spazio che di tempo.  Comprendiamo la forte dissonanza tra le nostre azioni quotidiane, come consumare plastica e andare in automobile, e ciò che andrebbe invece fatto: questo pensiero ci fa sentire ipocriti e colpevoli e ci fa allontanare dalla questione. Da un lato non vogliamo sentirci responsabili del problema e, quindi, lo rifiutiamo. Anche l’identità culturale e i valori politici influenzano il nostro modo di essere e spingono, soprattutto i più conservatori, al rifiuto della situazione. Di fronte ad un evento apparentemente inevitabile e lontano, restiamo passivi e spesso preferiamo non pensarci per non fare emergere i sensi di colpa che abbiamo, consapevoli del fatto che non stiamo facendo abbastanza.
Per questo diventa importante raccontare il cambiamento climatico con nuove modalità: ricordando alle persone che ci sono molte organizzazioni che si stanno battendo per il pianeta e che possono fare parte di questa squadra (anziché accusarle dell’inattività, è importante offrire loro percorsi per un’azione efficace e significativa) o facendo leva sulle emozioni positive (sottolineando le opportunità e i vantaggi dell’adozione di uno stile di vita più sostenibile per i singoli e le aziende, e non i sacrifici richiesti). E ancora, aiutandole a capire che è nella quotidianità che si inizia a rispettare il pianeta, ma che non si tratta di comportamenti impossibili da attuare e che alcuni rischi sono tanto imminenti quanto gestibili, se tutta la comunità si adopera per creare un mondo sostenibile ed inclusivo (promuovendo quindi il senso di appartenenza e mostrando l’attivismo per il clima come parte arricchente di una nuova vita).      
E adesso, pensa: ti ricordi qualcosa di quello che hai appena letto? I dati sono certamente allarmanti, ma insieme possiamo cambiare.

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