5 Giugno 2020 - 10.23

PASSAGGIO A NORD – Bostel di Rotzo, dove la storia torna a vivere

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Passo dopo passo, quante persone nel corso della storia hanno camminato, viaggiato e combattuto tra le montagne vicentine. Di alcune rimane traccia nella lingua, di altre nella terra. Ampio, soleggiato e ventoso pianoro, il Bostel di Rotzo ci riporta indietro nella storia alla scoperta di coloro che per primi si insediarono in modo stanziale nell’Altopiano dei Sette Comuni. Affacciato sullo sbocco in pianura di due importanti vie di comunicazione con l’area alpina, la Val d’Astico e la Val d’Assa, questo antico villaggio risale alla seconda Età del Ferro. Il sito del Bostel è ormai da tempo diventato un archeopercorso: accanto agli scavi archeologici dell’Università di Padova, possiamo trovare una ricostruzione archeosperimentale, a grandezza naturale, di una delle abitazioni rinvenute durante le ricerche. Nel 2012, a circa 600 metri dal villaggio, è nato anche il Museo Archeologico Sette Comuni: il punto di partenza ideale per cominciare un’escursione nella storia e fare un passo indietro di 2300 anni. Ne parliamo con l’archeologo Riccardo Mantoan, uno dei soci della cooperativa Nea Archeologia che dal 2017 gestisce il museo e il sito archeologico del Bostel.

Che cos’è il villaggio del Bostel?            
«Dal punto di vista storico e archeologico è un villaggio della seconda Età del Ferro, risalente all’epoca tra il V e il I secolo a.C. Questo villaggio era abitato dai Reti, una popolazione che si espandeva anche nell’area trentina e alpina, fino a raggiungere una parte di Svizzera, Austria e bassa Baviera. Il Bostel sorgeva in una zona di confine con i Veneti che, negli stessi anni, abitavano in pianura e possiamo quindi trovarvi una commistione di due culture diverse. Il villaggio viene distrutto da un incendio e per circa 1000-1200 anni sembra che sull’Altopiano non arrivi più nessuno fino a che, intorno all’anno 1000, i Cimbri iniziano a ripopolare questo territorio. Da allora passano molti secoli, finché nel 1781 l’abate Agostino Dal Pozzo, importante storico nativo di Rotzo, fa la scoperta del villaggio del Bostel».

Come si pensa vivessero le comunità di quest’epoca? 
«Per quanto siamo riusciti a ricostruire, possiamo dire che il Bostel doveva essere un villaggio abbastanza importante. Togliamoci dalla testa che fossero dei barbari che non si lavavano e che vivevano nelle grotte: erano invece una comunità abbastanza ricca. Sebbene il villaggio sia stato depredato nel corso di tanti secoli, nelle descrizioni della scoperta che ci fa il Dal Pozzo ritroviamo moltissimi oggetti di valore: monili, perline, oggetti in ferro e in bronzo e così via. Le signore che vivevano nella parte centrale del villaggio, quella più a nord dove c’erano le case più ricche, erano sicuramente personaggi di alto rango. Basti pensare che in una delle casette che abbiamo scavato con l’Università di Padova, abbiamo scoperto una grande opera di tesorizzazione: un vaso che all’interno aveva 130 laminette di bronzo. Questa casa era il laboratorio del vasaio che con il prossimo progetto andremo a ricostruire. Dal Pozzo ci dice di aver trovato anche la cucina del metallurgo, era pertanto sicuramente un villaggio autonomo dal punto di vista dell’artigianato. Allo stesso tempo, molto probabilmente non erano estranei al brigantaggio e alla riscossione di dazi. Tutti i villaggi che conosciamo dell’area retica sono posizionati tendenzialmente a controllo delle vallate: il Bostel probabilmente comandava una serie di altri villaggi a controllo della Valle dell’Astico che era un accesso privilegiato alla zona trentina. Da lì poi, attraverso la Valle dell’Adige, si poteva arrivare fino al centro e nord Europa». 

Come mai il villaggio venne distrutto da un incendio?          
«L’incendio del villaggio si pensa sia stato causato dai Romani che avevano un’unione pacifica con i Veneti, ma non con i Reti che al tempo, come si è detto, controllavano economicamente il tessuto viario di queste grandi autostrade, ovvero i fiumi e i torrenti, verso il centro e il nord Europa. Queste popolazioni vanno quindi in guerra e piano piano i Romani spazzano via i Reti. Possiamo vedere incendi di questo tipo in quasi tutti i villaggi dell’epoca nell’area trentina. Sappiamo infatti, grazie alle testimonianze degli storiografi romani, che ci sono state proprio le guerre retiche».  

Quando è possibile visitare il Bostel?    
«Per conoscere e comprendere la storia di questo luogo, è importante che le persone visitino sia il museo archeologico che l’area archeologica, dove si trovano gli scavi, la casetta archeosperimentale, e un’aula didattica che è diventata anche un punto di ristoro e ristorazione. Dal 6 giugno all’8 settembre saremo sempre aperti nel weekend e sarà possibile partecipare alla visita guidata su prenotazione. Le visite guidate si svolgono al mattino, dalle 10.00 alle 12.00, e nel pomeriggio, dalle 14.30 alle 16.00. Poi, nei mesi di aprile, maggio, settembre e ottobre accogliamo, anche durante la settimana, le scolaresche e facciamo laboratori per bambini e ragazzi.  In questo particolare momento storico, chiaramente all’interno del museo abbiamo poi adottato tutte le dovute precauzioni per tutelare la salute di tutti i nostri visitatori e abbiamo scelto di non ospitare gruppi di più di dieci persone. Siamo fiduciosi e abbiamo già fissato le date per il Festival dell’archeologia: sabato 8 e domenica 9 agosto. Per l’occasione, come ogni anno, sarà possibile partecipare a laboratori, provare la realtà virtuale e assistere a ricostruzioni storiche dei mestieri di un tempo».

In che modo vengono utilizzate realtà aumentata e virtuale nelle visite?  
«All’interno del museo, una sala è diventata un cinema immersivo: i visitatori possono assistere ad una proiezione di cinque minuti su tre pareti dove viene raccontata la storia della scoperta del Bostel. Poi abbiamo la realtà virtuale: grazie a due zainetti con visore, i visitatori, specie durante eventi e manifestazioni particolari, possono vedere il villaggio animato con le persone che camminano e lavorano. Un’altra è un’esperienza più diretta: grazie all’utilizzo di due joystick le persone possono entrare e muoversi all’interno della capanna virtuale, utilizzando degli oggetti che si trovano sulla tavola. Non manca poi la realtà aumentata: sul pianoro del Bostel abbiamo una serie di totem con dei marker che sono delle specie di QR Code. Diamo ai visitatori un tablet di modo che possano inquadrare con la nostra applicazione questi marker e vedere sullo schermo porzioni del villaggio ricostruite, persone che si parlano tra loro, e così via. In questo modo offriamo uno spaccato della vita al villaggio durante quegli anni».

Quali sono i vostri progetti per il futuro?         
«Vorremmo arrivare a dimostrare che un bene culturale, come il Bostel, può creare economia non solo per chi lo gestisce ma anche per il territorio. L’Altopiano è un territorio fantastico da questo punto di vista, avrebbe moltissimi spunti. Questa estate cominceremo al Bostel la ricostruzione di un’altra casetta. Con il tempo, puntiamo a rendere questo luogo un open air museum: vogliamo fare immergere i visitatori nel passato e fare provare loro l’esperienza della vita nel villaggio. In futuro ci piacerebbe potere offrire un pacchetto di servizi che spingano il visitatore a rimanere tutta la giornata al Bostel, arrivando magari ad offrire un’esperienza dell’Età del Ferro con la possibilità di rimanere anche a dormire proprio nelle casette ricostruite. Questo luogo ha già tutte le potenzialità, ma servono finanziamenti per strutture di sicurezza, accessi e facilitazioni per i diversamente abili, nuovi giochi a tema per ragazzi, aree picnic e barbecue, l’allestimento di una nuova area museale e di nuovi laboratori per attività didattiche esperienziali reali e virtuali. Per questo è stata avviata una campagna di crowdfunding nell’ambito del progetto “Living Early History” e continueremo a scrivere altri progetti per raccogliere i finanziamenti necessari a realizzare i nostri obiettivi nel tempo».

In cosa consiste invece il progetto Re-Living?   
«Si tratta di un progetto finanziato parzialmente dalla Regione Veneto che prevede la ricostruzione di un altro edificio e l’implementazione delle esperienze con le extended realities. Dalla prossima stagione dovremmo essere in grado di offrire,attraverso tutta una serie di nuove tecnologie appunto, una visita guidata all’insegna dell’imparare giocando o giocare imparando. Creeremo una specie di escaping museum al museo archeologico, dove le persone avranno una serie di prove da affrontare per arrivare a conoscere tutte le vicende dell’archeologia dell’Altopiano. Verranno poi portate all’area archeologica del Bostel e anche là avranno una serie di altre situazioni per creare la propria visita guidata. Saranno molto probabilmente dei personaggi, ogni personaggio avrà un ruolo e ci saranno delle ricompense alla fine. Sulla base del punteggio conquistato, si otterranno dei premi».

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