4 Maggio 2020 - 10.23

PASSAGGIO A NORD – Ripartiamo dal territorio: escursione alla valle dei mulini di Gallio

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Quanto spesso, in questo periodo, la nostra mente ci ha portato a viaggiare lontano a quei tempi in cui uscire di casa era la normalità. Nessun vincolo di prossimità, nessun divieto di assembramento. Come torneremo a viaggiare? Piano piano sicuramente, più vicino a casa, lontano magari da grandi folle. Sarà probabilmente un nuovo modo di scoprire e conoscere il mondo, ma non per questo meno affascinante. Per ricominciare, avremo la fortuna di potere ripartire dal nostro territorio. Un territorio, quello vicentino, ricco di storia, natura, cultura e gusto. A pochi chilometri dalle nostre abitazioni, si celano infatti meraviglie nascoste e curiosità inaspettate. Il territorio di Gallio, per esempio, a differenza di altre zone dell’Altopiano dei Sette Comuni, è ricco di sorgenti d’acqua perenni. Ancora oggi, il paese annovera due ricche sorgenti d’acqua: la Covola, che sgorga sotto l’abitato di Gallio dando il nome all’omonima valle, e quella della valle del Pakstal. La loro presenza, insieme alla grande quantità di materiale tannante insito nella vegetazione boschiva e all’abbondanza di manti di animali, ha fatto sì che nel corso dei secoli si sviluppasse l’attività conciaria. L’acqua delle sorgenti infatti muoveva le ruote degli opifici, mentre il tannino, indispensabile per rendere imputrescibili le pelli, veniva ricavato dalla corteccia d’abete.

L’arte della concia a Gallio          
Fin dal lontano Medioevo pare che la comunità di Gallio si dedicasse all’arte della concia delle pelli, impiegate soprattutto per il confezionamento di scarpe, ma è a partire dal quindicesimo secolo che venne documentata l’esistenza di alcuni opifici. Quando l’Altopiano dei Sette Comuni si affidò alla protezione della Repubblica di Venezia, che vantava una lunga tradizione in tale settore, questa arte conobbe un rapido ed intenso sviluppo. Se dapprima questa attività poteva soddisfare un numero limitato di richieste, e quindi le pelli utilizzate provenivano principalmente da animali macellati in loco per l’alimentazione della popolazione, con il tempo i conciapelli di Gallio, detti anche “pellizzari”, per sostenere questa industria dovettero importare pelli grezze e semilavorate dai mercati principali del settore, tra cui Venezia. Molto spesso, proprio con il ricavato della vendita del legname, la comunità acquistava pelli da conciare che, una volta conciate, venivano poi rivendute con grande beneficio per l’economia locale.

Gli opifici della Valle della Covola         
Partendo dal centro di Gallio, è possibile ripercorrere un viaggio indietro nel tempo alla riscoperta di questo antico mestiere grazie ad una suggestiva escursione che ci conduce alla scoperta degli opifici della Valle della Covola, di cui oggi rimangono solo alcune strutture recuperate. Dobbiamo immaginare degli edifici a più piani che per secoli, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, venivano usati sia per l’attività produttiva che come abitazioni. Una vera e propria contrada, fornita anche di lavatoi, che vennero usati dalle donne di Gallio fino agli anni cinquanta. Per capire l’importanza di questa attività basti pensare che nel 1892, su un totale di ventisei concerie esistenti nella provincia di Vicenza, Gallio ne contava otto. Gli addetti erano quarantaquattro e le vasche e i tini per la concia cinquanta. Nel 1916 l’edificio nei pressi della sorgente venne utilizzato dall’esercito italiano e trasformato in centrale idroelettrica e stazione di pompaggio dell’acquedotto che portava l’acqua fino a ridosso delle linee dello Zebio. Durante il conflitto, purtroppo tutti gli edifici vennero distrutti, tranne la centrale. L’attività della concia riprese lentamente nel periodo postbellico, per poi cessare definitivamente negli anni trenta.

La funzione degli opifici   
Attraverso i catasti storici possiamo risalire al tipo di lavorazioni che venivano effettuate negli opifici della Valle della Covola. L’attività principale era quella di “pestar scorze” ed era strettamente legata alla concia delle pelli, in quanto permetteva di ottenere il tannino. La corteccia d’albero, posta in recipienti di sostanza dura, veniva sottoposta ripetutamente ad una serie di colpi per mezzo di un pestello o mazza. Dalla corteccia così frantumata veniva estratto il tannino, impiegato nella concia delle pelli per le sue proprietà di rendere insolubili e imputrescibili le sostanze con cui si combina.
Alcuni opifici svolgevano anche l’attività di macinazione del grano e dell’orzo. Esistevano due metodi: la frantumazione dei grani in mortai a mezzo di percussione con pestelli e il loro stritolamento fra due pietre monolitiche, una più o meno incavata che serviva da supporto fisso, l’altra mobile, manovrata secondo determinate regole. Si praticava, infine, la follatura, un trattamento meccanico che ha lo scopo di conferire compattezza, leggerezza e morbidezza ai tessuti di lana e ai feltri. Si attua per mezzo del follo o follone, ovvero una macchina a martelli o mazze.

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