PASSAGGIO A NORD – Ripartiamo dal territorio: escursione alla valle dei mulini di Gallio
Quanto spesso, in questo periodo, la nostra mente ci ha portato a viaggiare lontano a quei tempi in cui uscire di casa era la normalità. Nessun vincolo di prossimità, nessun divieto di assembramento. Come torneremo a viaggiare? Piano piano sicuramente, più vicino a casa, lontano magari da grandi folle. Sarà probabilmente un nuovo modo di scoprire e conoscere il mondo, ma non per questo meno affascinante. Per ricominciare, avremo la fortuna di potere ripartire dal nostro territorio. Un territorio, quello vicentino, ricco di storia, natura, cultura e gusto. A pochi chilometri dalle nostre abitazioni, si celano infatti meraviglie nascoste e curiosità inaspettate. Il territorio di Gallio, per esempio, a differenza di altre zone dell’Altopiano dei Sette Comuni, è ricco di sorgenti d’acqua perenni. Ancora oggi, il paese annovera due ricche sorgenti d’acqua: la Covola, che sgorga sotto l’abitato di Gallio dando il nome all’omonima valle, e quella della valle del Pakstal. La loro presenza, insieme alla grande quantità di materiale tannante insito nella vegetazione boschiva e all’abbondanza di manti di animali, ha fatto sì che nel corso dei secoli si sviluppasse l’attività conciaria. L’acqua delle sorgenti infatti muoveva le ruote degli opifici, mentre il tannino, indispensabile per rendere imputrescibili le pelli, veniva ricavato dalla corteccia d’abete.
L’arte della concia a Gallio
Fin dal lontano Medioevo pare che la comunità di Gallio si dedicasse all’arte
della concia delle pelli, impiegate soprattutto per il confezionamento di
scarpe, ma è a partire dal quindicesimo secolo che venne documentata l’esistenza
di alcuni opifici. Quando l’Altopiano dei Sette Comuni si affidò alla
protezione della Repubblica di Venezia, che vantava una lunga tradizione in
tale settore, questa arte conobbe un rapido ed intenso sviluppo. Se
dapprima questa attività poteva soddisfare un numero limitato di richieste, e
quindi le pelli utilizzate provenivano principalmente da animali macellati in
loco per l’alimentazione della popolazione, con il tempo i conciapelli di
Gallio, detti anche “pellizzari”, per sostenere questa industria dovettero importare
pelli grezze e semilavorate dai mercati principali del settore, tra cui Venezia.
Molto spesso, proprio con il ricavato della vendita del legname, la comunità acquistava
pelli da conciare che, una volta conciate, venivano poi rivendute con grande
beneficio per l’economia locale.
Gli opifici della Valle della
Covola
Partendo
dal centro di Gallio, è possibile ripercorrere un viaggio indietro nel tempo
alla riscoperta di questo antico mestiere grazie ad una suggestiva escursione
che ci conduce alla scoperta degli opifici della Valle della Covola, di cui
oggi rimangono solo alcune strutture recuperate. Dobbiamo immaginare degli
edifici a più piani che per secoli, fino allo scoppio della Prima guerra
mondiale, venivano usati sia per l’attività produttiva che come abitazioni. Una
vera e propria contrada, fornita anche di lavatoi, che vennero usati dalle
donne di Gallio fino agli anni cinquanta. Per capire l’importanza di questa
attività basti pensare che nel 1892, su un totale di ventisei concerie
esistenti nella provincia di Vicenza, Gallio ne contava otto. Gli addetti erano
quarantaquattro e le vasche e i tini per la concia cinquanta. Nel 1916
l’edificio nei pressi della sorgente venne utilizzato dall’esercito italiano e
trasformato in centrale idroelettrica e stazione di pompaggio dell’acquedotto
che portava l’acqua fino a ridosso delle linee dello Zebio. Durante il
conflitto, purtroppo tutti gli edifici vennero distrutti, tranne la centrale. L’attività
della concia riprese lentamente nel periodo postbellico, per poi cessare
definitivamente negli anni trenta.
La funzione degli opifici
Attraverso
i catasti storici possiamo risalire al tipo di lavorazioni che venivano
effettuate negli opifici della Valle della Covola. L’attività principale era
quella di “pestar scorze” ed era strettamente legata alla concia delle pelli,
in quanto permetteva di ottenere il tannino. La corteccia d’albero, posta in
recipienti di sostanza dura, veniva sottoposta ripetutamente ad una serie di
colpi per mezzo di un pestello o mazza. Dalla corteccia così frantumata veniva
estratto il tannino, impiegato nella concia delle pelli per le sue proprietà di
rendere insolubili e imputrescibili le sostanze con cui si combina.
Alcuni opifici svolgevano anche l’attività di macinazione del grano e
dell’orzo. Esistevano due metodi: la frantumazione dei grani in mortai a mezzo
di percussione con pestelli e il loro stritolamento fra due pietre monolitiche,
una più o meno incavata che serviva da supporto fisso, l’altra mobile,
manovrata secondo determinate regole. Si praticava, infine, la follatura, un
trattamento meccanico che ha lo scopo di conferire compattezza, leggerezza e
morbidezza ai tessuti di lana e ai feltri. Si attua per mezzo del follo o
follone, ovvero una macchina a martelli o mazze.