PASSAGGIO A NORD – Un viaggio fantastico nelle leggende di Cesuna
di Anna Roscini
Fate, orchi, elfi, streghe, gnomi e folletti: in qualche modo tutte le creature soprannaturali sono legate ad ambienti naturali ricchi di fascino e mistero. Alcune vivono in luoghi magici come i boschi e le foreste, magari tra i rami degli alberi, tra le corolle dei fiori o sotto il cappello dei funghi; altre nelle grotte o nei corsi d’acqua. Secondo il folklore popolare, molte di queste creature leggendarie sono dispettose e burlone, altre talmente belle da ammaliare e indurre in tentazione gli uomini più sprovveduti. Non mancano però gli esseri buoni e generosi che utilizzano i loro poteri magici per aiutare chi è in difficoltà. Il patrimonio storico-culturale di ogni luogo passa anche attraverso le sue leggende: proprio a Cesuna, frazione del comune di Roana, esiste un parco dove la natura si fonde con la magia per portarci alla scoperta di un mondo affascinante e misterioso popolato da creature straordinarie.
Il
parco delle leggende di Cesuna
Raggiungere
il parco delle leggende di Cesuna è molto semplice: si può arrivare
a piedi dal centro con una breve passeggiata da via delle Mite,
oppure proseguire in auto lungo via Brunialti e parcheggiare nel
piazzale delle scuole medie, poco distante dall’ingresso del parco.
Sia da un lato, che dall’altro, troverete ad accogliervi alcune
delle bellissime sculture in legno che rappresentano i personaggi
incantati di alcune delle più note leggende dell’Altopiano dei
Sette Comuni raccontate da Paola Martello. Si comincia con la
Zizzara,
una signora arrivata a Cesuna in una giornata fredda e ventosa a
bordo di una carrozza nera trascinata da sette cavalli bianchi.
Incuriositi, i cesunesi cominciarono a spiarla: qualcuno diceva di
averla vista raccogliere di notte strane erbe nel giardino della casa
disabitata che era andata ad abitare, altri parlare con i suoi sette
gatti o con il marito emigrato a Vienna attraverso un piatto pieno
d’acqua. Tutti la credevano una strega, ma in verità, la Zizzara
offriva sempre caramelle e mele ai bambini del paese e, negli anni in
cui rimase a Cesuna, tutto andò bene: i campi furono incredibilmente
fecondi, l’acqua sempre fresca ed abbondante, gli animali
pascolavano sereni e il latte era buono. Un giorno però a Cesuna
arrivò una grande bufera di neve e ghiaccio e da allora nessuno vide
più la Zizzara: si dice però che abbia finalmente raggiunto l’amato
marito a Vienna.
La seconda leggenda ci porta sul Monte
Lèmerle al cospetto di un sanguinello,
un folletto rosso molto dispettoso che amava fare scherzi a persone e
animali: se una persona era così sfortunata da calpestare le sue
impronte, si trovava obbligata a seguirle, perdendosi. Tanto tempo
fa, un boscaiolo ebbe la sfortuna di camminare proprio sulle sue
orme: le gambe del malcapitato non rispondevano più ai suoi comandi
e si trovò, solo e confuso, ad attraversare luoghi misteriosi finché
non decise di chiudere gli occhi per cercare di non impazzire. Dopo
un po’ di tempo, venne soccorso dal suo amico e poté riprendere la
strada di casa, sotto gli occhi del folletto che, nascosto tra i rami
d’abete, sghignazzava soddisfatto del trambusto creato.
Le
seleghen
baiblen,
generose fatine vestite di bianco, sono protagoniste della leggenda
ambientata in Val d’Assa. Abitavano proprio qui, in caverne
naturali, e con gli animali avevano un rapporto di amicizia e
rispetto. Queste piccole fate erano solite passare la giornata
dipanando lana: ne facevano poi dei gomitoli magici che, talvolta,
regalavano agli uomini più meritevoli. Così un giorno ne regalarono
una matassa ad una giovane donna che aveva chiesto loro un vestito
per l’investitura del marito che si apprestava a diventare
governatore del paese. Il prezioso dono avvenne però ad una
condizione: la donna avrebbe dovuto lavorare il filo finché questo
non sarebbe finito. In poco tempo la giovane confezionò un vestito
degno di un re: proprio durante la cerimonia però la donna, stanca
di dovere stare a casa a tessere la lana, scagliò per terra il
gomitolo che sparì così come l’abito del marito a chilometri di
distanza. Ad essere poco pazienti e molto ambiziosi, si corre infatti
il rischio di ritrovarsi in…mutande.
Con il nano
Anselmo
andiamo invece nella Val Magnaboschi, al bivio delle Cinque Strade,
vicino al rifugio Boscon. Secondo la storia, nelle notti di luna
piena, le streghe si riunivano periodicamente in questo luogo,
utilizzando i ceppi degli alberi come sedili. Una sera, Anselmo si
trovò involontariamente a partecipare a una delle riunioni. Per non
essere visto, il nano astuto decise di fingersi una ceppaia. Il
trucco riuscì alla perfezione, tanto che una strega decise di
sedersi proprio sul nano e di posare gli spilloni, che tenevano a
bada la sua chioma, sulle cosce e sulla schiena del povero Anselmo.
Solo dopo molto tempo, il nano troverà il modo di liberarsi dal
dolore inferto dalle punture.
E ancora, andiamo a conoscere
Giacominarloch,
la voragine vicino a Cesuna, in ricordo della bella storia d’amore
di Giacomina e del coraggioso boscaiolo Joel che la salvò dalla
maledizione degli elfi, scendendo nei meandri del sottosuolo. In
seguito a un grave torto infatti, i folletti che popolavano i boschi,
avevano rapito la giovane e l’avevano condannata a diventare
un’anguana, destinata ad ammaliare gli uomini con il suo canto e a
farli prigionieri delle acque. Prima che la maledizione si compia, i
due giovani riusciranno però a fuggire insieme per ritrovarsi…nel
futuro. Se nel sottosuolo il tempo sembrava scorrere lentamente,
nella terra infatti erano passati ben cento anni.
In una
caverna sulla Laita in Val Magnaboschi, abitava invece il Billar-Man,
un omone grande e grosso. In realtà era molto timido e se tutti
scappavano alla sua vista per paura, anche lui faceva lo stesso di
fronte agli abitanti del paese. Un giorno però incontrò in una
radura una bella ragazza e decise di rapirla per colmare la sua
solitudine. La portò nella sua caverna e chiuse l’entrata con un
grosso macigno. Passarono gli anni e nacquero due bambini, Gea e
Peter, a cui l’uomo era molto affezionato. Un giorno la donna
chiese ai figli di fare molto rumore così da attirare l’attenzione
di alcuni cacciatori che, spostando il masso, finalmente li salvarono
dalla prigionia e li riportarono in paese. Il Billar-Man, arrabbiato,
tentò di andare a riprenderli, ma trovò tutti gli uomini pronti ad
affrontarlo. La folla minacciosa lo scortò fuori dal paese e lo
lasciò solo quando giunse sulla strada per Calvene. Gli abitanti gli
lasciarono in ricordo solo le due metà dei pupazzi di legno che
aveva fatto ai suoi figli, legati da una cordicella come fossero i
pendagli di una collana. Se la mise al collo, versò una lacrima e
diede un ultimo sguardo all’Altopiano, prima di avviarsi verso la
pianura.