13 Luglio 2023 - 8.55

Per qualche migrante in più

Sono anni che sostengo con convinzione che la “questione delle questioni” in tutti i Paesi della Ue, nessuno escluso, è l’immigrazione, e lo sarà per lunghi anni a venire.

Certo non la pensano così i sostenitori delle politiche delle “porte aperte” senza limitazioni e controlli, ma la crisi del governo olandese scoppiata proprio su questa problematica sembra confermare questa mia certezza.

Ma cerchiamo di capirci un po’ di più.

In Olanda (più correttamente Paesi Bassi) della coalizione che governava il Paese facevano parte il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD, aderente ad ALDE e membro a Bruxelles del gruppo Renew Europe), i Liberali di sinistra di  D66,  i Cristiano Democratici (CDA), ed i calvinisti dell’Unione Cristiana (CU).

Come accennato, il Governo è esploso in conseguenza della proposta del premier Mark Rutte di  rendere più difficile (in realtà ritardare di due anni) il ricongiungimento delle famiglie dei rifugiati.

Ciò in quanto le richieste di asilo nei Paesi Bassi sono aumentate di un terzo l’anno scorso, superando le 46mila unità, e si prevede che quest’anno saliranno a più di 76mila, superando il precedente massimo del 2015.

Ovviamente ciò metterà a dura prova le strutture di asilo del Paese. 

Già l’anno scorso, per mesi centinaia di richiedenti asilo avevano spesso dormito all’aperto con scarso o nessun accesso all’acqua potabile, ai sevizi igienici e all’assistenza sanitaria.

Francamente a me pareva una proposta ragionevole, ma così non è sembrata ai Liberali di sinistra di D66 ed ai calvinisti dell’Unione Cristiana (CU), che dopo giorni di serrate trattative hanno tolto l’appoggio a Rutte, aprendo quasi sicuramente la strada ad elezioni anticipate in autunno. 

Non pensiate che le dimissioni di Rutte che, particolare non insignificante, ha reso noto di aver deciso di ritirarsi dalla politica tornando all’insegnamento, siano un fatto trascurabile.

E ciò perché in Olanda è in atto, come in altri Paesi, uno sconvolgimento politico, con il BoerBurgerBeweging, il movimento dei contadini guidato da van der Plas contrario alle politiche ecologiche europee,  che risulta in testa ai sondaggi da un paio di mesi, attorno al 27%.  

Per capirci il VVD di Rutte è secondo al 21 per cento; ma al terzo non ci sono i socialisti del Commissario al Green Deal Frans Timmermans (ormai relegati al quinto posto all’ 11%), addirittura dopo i Verdi (13%), ma c’è l’ultradestra di Geert Wilders, alleato di Matteo Salvini e la Lega nel Gruppo Identità e Democrazia al Parlamento Ue (14%).

Con la Francia sconvolta dalle proteste, la coalizione semaforo in evidente affanno in Germania  anche perché assediata dall’ascesa dell’estrema destra dell’AfD,  l’Ue “perde” anche l’Olanda, finora avamposto dell’austerity in economia, ma anche delle battaglie contro i cambiamenti climatici e per il rispetto dello stato di diritto, in particolare contro le politiche liberticide di Polonia e Ungheria.

Rutte non è un politico “normale”, di facile sostituzione. 

Non è un mistero che di lui si parlasse come di un potenziale candidato alla Presidenza della Commissione o del Consiglio Europeo, e anche tra i possibili successori di Jens Stoltenberg come Segretario Generale della Nato. 

Dopo il pensionamento di Angela Merkel era il decano del Consiglio Europeo insieme al primo ministro ungherese Viktor Orbán. 

Europeista di grande esperienza, negoziatore abile, conservatore ma capace di fare compromessi con tutti, Rutte aveva un peso politico personale superiore a quello dei Paesi Bassi.

La dimostra la rete di relazioni personali impressionante che si era creato nei dieci anni in cui è stato Primo Ministro, da ultima Giorgia Meloni che si ritrova ora orfana di uno dei suoi migliori alleati in Europa (ricordate che di recente era andato a Tunisi con la nostra premier e Ursula Von Der Leyen per cercare di trovare un  accordo per arginare il flusso dei migranti verso l’Europa).  

La verità è che tra il problema dei migranti, le rivolte dei “contadini”, ed il populismo dilagante, i Paesi Bassi rischiano di mandare il tilt la Ue, trasformandosi nell’ennesimo Paese preda ed ostaggio di un altro movimento di protesta dai tratti nazionalistici. 

Diciamocela tutta: negli ultimi tempi Rutte, fiutando l’aria come sanno fare i politici di razza, da liberale aveva provato a rispondere alla destra arrembante scivolando verso destra.

E così da  qualche tempo non attaccava più Varsavia sullo stato di diritto, non insisteva nel chiedere precisi meccanismi di controllo su come l’Italia avrebbe speso i soldi del Pnrr, non martellava più per ottenere l’istituzione della cosiddetta “condizionalità legata allo stato di diritto” per bloccare l’erogazione dei soldi a Polonia e Ungheria, e aveva fatto intendere di far parte di quei liberali che non erano contrari a nuove alleanze in Ue con le destre, quindi senza socialisti e verdi.

Ma evidentemente tutto ciò non è bastato, e nonostante i gravi problemi in cui si dibatte la Ue, dall’inflazione alla transazione ecologica alla guerra, Mark Rutte ha dovuto gettare la spugna “per qualche migrante in più”. 

E’ questo porta inevitabilmente a chiedersi come intendano muoversi concretamente Gorgia Meloni ed il suo Governo sul tema immigrazione. 

Cosa stia facendo la Premier è abbastanza chiaro; cercare di convincere tutti gli altri partner europei sull’importanza della difesa dei confini “primari” (tipo le nostre coste) rispetto a quelli “secondari” (confini interni fra Stati Ue).

Sul fatto che tutti siano veramente d’accordo, come lei sbandiera con toni trionfalistici, francamente nutro qualche dubbio, soprattutto perché noi italiani, grazie alle anime belle, alla gauche caviar, a parte della Magistratura, e mi dispiace anche al Vaticano, non abbiamo mai voluto distinguere nettamente fra veri richiedenti asilo e migranti economici, che andrebbero rimandati a casa.

Può dire quello che vuole la Premier, ma io non credo proprio che gli altri saranno disposti a dividersi tunisini, egiziani, ivoriani, pakistani, ecc., senza verificare se l’Italia abbia  messo in piedi una “vera” politica di rimpatri (il che non vuol certo dire, come accade nel Belpaese, consegnare un  foglio di carta con un ordine di espulsione, con il quale pulirsi il ….)

Mi resta un dubbio, di fronte al fatto che gli sbarchi sulle nostre coste sono triplicati nei primi mesi di quest’anno, con la conseguenza che il sistema d’accoglienza (tarato su circa 130mila ospiti) è sotto forte pressione, ed il Viminale cerca soluzioni di emergenza per non farsi travolgere dai flussi che sembrano inarrestabili, specie dalla Tunisia (vedi le proteste di ieri dei sindaci vicentini contro la gestione degli immigrati sul territorio).

Per spiegarmi meglio, fino a settembre dell’anno scorso ogni sbarco era accompagnato dalle veementi proteste di Fratelli d’Italia e della Lega, con promesse di attivare, in caso di vittoria alle elezioni, finanche il blocco navale.

Chissà perché oggi come oggi, 1.200 arrivi in un giorno a Lampedusa (ed è così ogni santo giorno!)  sono trattati dal Governo e dai  media come ordinaria amministrazione?

“Tempora mutantur” dicevano i latini; già come cambiano i tempi!

Umberto Baldo

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