Perché Jorge Maria Bergoglio, diventato Papa Francesco, non è mai tornato nella sua Argentina?

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Infinite volte, guardando Papa Francesco, mi sono chiesto: perché questo Gesuita argentino cresciuto nei quartieri popolari di Buenos Aires, in mezzo a famiglie semplici, lavoratori, immigrati, dove ha imparato la fede, l’ascolto, la strada, dove ha scoperto il silenzio delle periferie, e forse anche la solitudine, non è mai tornato a casa?
Perché non ha mai voluto respirare nuovamente l’aria di quella Buenos Aires, di cui era solito frequentare i bassifondi, come Villa 21, la favela più grande, però presentandosi non come Cardinale bensì facendosi passare come semplice parroco?
Perché in 7 viaggi, in cui ha visitato Brasile, Ecuador, Bolivia, Paraguay, Messico, Colombia, Cile, Perù, Panama, persino Cuba, non ha mai incluso l’Argentina tra le sue mete apostoliche?
E confesso che nel suo sguardo, in quegli occhi a volte stanchi, altre volte ironici, ma sempre profondamente umani, mi sembrava di vedere spesso un’ombra.
Quella di una nostalgia trattenuta, di una ferita mai del tutto rimarginata.
L’affetto per l’Argentina lo ha sicuramente accompagnato tutta la vita, e per capirlo bastava vederlo bere il mate, la tipica bevanda del Paese delle pampas.
Non so se Mario Bergoglio si sentisse un “esule”, perché un esule è un uomo cui è impedito di tornare nella propria terra, mentre lui avrebbe potuto tornarci nella gloria del papato.
Ma questa sua scelta dice molto più di mille discorsi, perché c’è qualcosa di profondamente umano, e quindi anche di doloroso, nel restare lontani dal luogo dove sei nato.
Chiunque abbia vissuto una lontananza vera, lo sa: ci si porta dentro il profumo delle strade, le voci della gente, i sapori dei cibi della mamma, i tramonti che avevi imparato a riconoscere da bambino.
E immagino che più passa il tempo più tutto ciò diventa ingombrante, difficile da sopportare.
E non è una nostalgia che sparisce.
Io non ho mai creduto che Francesco non volesse tornare.
Sono convinto che non potesse.
E non per motivi fisici o diplomatici.
Ma perché tornare avrebbe significato rompere un equilibrio costruito con fatica.
La sua Argentina è ancora un Paese diviso, incattivito, come tante altre Nazioni del mondo.
Un suo viaggio sarebbe stato carico di significati politici, ecclesiali, ideologici.
Inevitabilmente la sua figura, la sua immagine, le sue idee, sarebbero state manipolate, forse anche distorte.
In altre parole Francesco era consapevole che, tornando a Buenos Aires, ogni suo gesto, ogni parola, sarebbero stati letti in chiave politica.
E Jorge Mario Bergoglio sicuramente voleva evitare l’idolatria nazionale, l’uso della sua figura come bandiera da parte di settori ecclesiali o politici.
Francesco voleva essere il Papa di tutti, non voleva essere il Papa argentino, anche se al suo esordio si era presentato come il “Papa venuto quasi dalla fine del mondo”.
Eppure, questo lungo esilio autoimposto ha sicuramente fatto male, soprattutto al popolo argentino.
Molti suoi connazionali lo hanno percepipito quasi come un rifiuto, quasi un abbandono.
L’assenza è diventata più pesante con il passare egli anni, trasformandosi in un silenzio che divide.
Pensandoci bene è come se il suo rapporto con la patria sia rimasto in sospeso, sospeso tra nostalgie e prudenza.
Papa Francesco ha parlato spesso della “periferia del mondo” come luogo da cui guardare il centro.
E lui stesso è diventato Papa venendo da una di quelle periferie, sia in senso geografico che culturale.
È forse proprio questo sarà ricordato come uno degli snodi del suo pontificato: il superamento di ogni localismo.
Non tornare in Argentina potrebbe essere stata, paradossalmente, la forma più radicale della sua vocazione universale., anche se umanamente forse la più dolorosa.
In fondo è come se Francesco avesse voluto dire: “Io non appartengo più a un solo popolo, ma a tutti”.