Perché le serie TV italiane non piacciono e fanno tristezza?
(di Giuseppe Balsamo)
C’era un tempo in cui il Cinema italiano era considerato la prima linea del cinema mondiale. Un tempo in cui venivano prodotti sceneggiati di altissimo livello, un tempo in cui l’estro, la fantasia, la storia che tutti ci invidiano si univano in un prodotto artistico eccellente. Un tempo in cui i nostri attori erano dei supereroi di intelligenza, eleganza, espressività- Un tempo in cui Cinecittà ospitava le più grandi star mondiali.
Cosa è successo poi?
La desolazione che si prova quando si guarda una serie TV italiana dopo averne vista una statunitense, inglese, ma anche danese, svedese, turca, polacca o sudamericana, è qualcosa che toglie il fiato e genera una rabbia senza pari. Perché un Paese che offre migliaia di appigli storici, migliaia di diverse società, migliaia di scenografie naturali, non può produrre qualcosa di avvincente?
Allora proviamo a elencare quali sono i difetti delle serie TV italiane, in sostanza ciò che balza all’occhio dopo aver visto solo due scene, ciò che ti porta a dire: “Ecco la solita cosa triste e burina all’italiana’. Ovviamente non includiamo in questa alcune serie come Romanzo Criminale, The Young Pope o Gomorra (da considerare eccezioni che confermano una triste regola), che hanno un alto profilo narrativo, psicologico e scenografico, ma tutto il resto sì.
1) Il dialetto romanesco: perché in ogni serie gli attori sembrano pescati da un mercato sulla Tiburtina? Perché i produttori pensano che tutti gli italiani parlino nel triste semidialetto ironico ed autoironico romanesco, che quasi sempre toglie profondità ed eleganza a qualsiasi argomento trattato? Non si accorgono che rendere burino un dialogo non è efficace ed è respingente?
2) La scelta degli attori. Chi sceglie gli attori? Dove li pesca? Ammettete che è una delle prime domande che vi ponete, prima di ‘cliccare’ una serie Tv straniera. La domanda sottende una considerazione avvilente: basta girare qualsiasi teatro di provincia per vedere che siamo un popolo di grandi attori e caratteristi. Basterebbe considerare solo il teatro amatoriale per trovare autentici pezzi da 90.
3) Attori e attrici che urlano ad ogni scena per rendere più efficace il pensiero che esprimono. Perché? Chi dice loro di farlo? Perché le attrici sembrano tarantolate e gli attori parlano guardandosi allo specchio?
4) La trama. Quasi mai avvincente e, se lo è, viene soffocata da un perpetuo e autolesionista ritorno alla sfiga, al fatalismo malavogliano, alla tristezza della condizione dei protagonisti, eterne vittime di una società che li soffoca… Oltre non si va.
5) Gli effetti speciali. Dove sono? Non sono strettamente necessari. Ma qualche volta basterebbe pagare un grafico, un montatore esperto, qualcuno anche preso dalla strada per renderle più avvincenti.
6) Il target. Chi produce mira sempre alla massa, al generalista, all’italiano medio che crede di conoscere: non siamo più negli anni ’50, non ci sono più la DC o il PCI, si può osare adesso… In Italia non c’è solo la ‘sòra Cecilia’ della periferia romana, ma studenti che girano il mondo, imprenditori che viaggiano, persone con aspettative che vanno oltre i ‘pacchi’ all’ora di cena.
7) L’assenza del giallo: il giallo è sempre sinonimo di mafia, camorra, etc… Non parliamo del giallo storico: dopo “Il Nome della Rosa” (che viene riproposto quest’anno) non abbiamo più visto nulla.
8) Il patriottismo, da non rivestire con una connotazione politica. Si intende un punto di partenza in cui il proprio Paese, la propria società, le proprie caratteristiche, possano essere qualcosa di superbo, invidiabile, dirompente. L’impressione che si prova vedendo è di un Paese triste, remissivo, inchinato idealmente a tutto ciò che lo circonda.
9) L’horror… C’era un tempo in cui eravamo maestri mondiali, poi…
10) decidete voi