4 Febbraio 2020 - 17.17

Perché Sanremo è Sanremo (anche dopo 70 anni)

A settant’anni anche l’odiata legge Fornero consente una dignitosa andata in pensione, così da consentire al fortunato la cura a tempo pieno dei nipoti, soste prolungate presso i cantieri stradali, tornei di bocce, viaggi in torpedone e altri svaghi consimili.

Il Festival di Sanremo, invece, a settant’anni è come quelle dive – spesso di serie B – che nonostante gli avambracci si siano inflacciditi dando origine al ben noto “Effetto bandiera”e la palpebra tenda a calare, insistono a volersi mostrare nel pieno del vigore e della sensualità che esibivano nei loro anni d’oro. Niente da fare: quattordici lustri di vita e ancora una larga fetta di pubblico televisivo lo attende come si attende la pioggia dopo una decennale siccità. Non importa se i concorrenti, che durante il resto dell’anno letteralmente spariscono dalla circolazione, si mostrino in tutto il loro fulgore, tanto che viene da chiedersi se costoro – senza fare nomi, tanto li conosciamo tutti – non vengano precipitati in un sonno lungo e ristoratore, un po’ come quello di Mago Merlino nella grotta di cristallo, dal quale vengono risvegliati giusto in tempo per partecipare alla kermesse – per chiamarla come la chiamano gli acculturati – sanremese ed essere riaddormentati poche ore dopo la finale del sabato. L’apertura, anche quest’anno, è preceduta dalla solita scia di polemiche, fastidiose come le mosche in una giornata umida, che coinvolgono più o meno tutti coloro che sono chiamati a ravvivare il Festival. Amadeus, neo direttore artistico, si fa prendere in castagna – assai ingenuamente – con un atteggiamento che eufemisticamente si potrebbe definire maschilista nei confronti delle vallette che non hanno un nome ma sono “fidanzata di tizio” o “moglie di Caio”, tanto che l’adagio caro a Papa Pio X “Che la piasa, che la tasa e che la staga in casa” assume una cifra di straordinaria contemporaneità. Vabbè, il presentatore plenipotenziario se la cava con l’usuale “Sono stato frainteso” e tutto si accomoda. Di seguito giunge lo sdegno, non privo di qualche fondamento, nei confronti di Junior Cally, che mi dicono essere un rapper tra quelli più in voga, e che con la sua maschera perenne è la bruttissima copia di quel genio di Miss Keta, che invece è una ganza pazzesca. Dunque, il nostro eroe mascherato è autore di testi agghiaccianti sulle donne, o meglio sulla sua visione delle donne, che per inciso fa veramente ribrezzo. Anche lui si dichiara “frainteso” e lo scandalo rientra. Non poteva mancare lo “scandalo” sul compenso a sei cifre di cui quella iniziale è un numero primo che non è l’uno riservato a Roberto Benigni. Polemica sterile, perché il compenso al dantista premio Oscar lo strapaga la pubblicità e ancora ne avanza; il problema è che sono trent’anni abbondanti che Benigni fa sempre la stessa cosa e crediamo che questa volta non vedremo nulla di diverso dalle cinquecento apparizioni precedenti. Ah…un altro interrogativo che attanaglia il pubblico riguarda la scalinata: ci sarà? vedremo uno o più big in gara schiantarsi sul palco dell’Ariston dopo essere rotolato giù dai gradini? Senza farsi male, eh, ben inteso. La speranza è l’ultima a morire, si sa, quindi non disperiamo. Dei superospiti non diciamo ancora nulla; il seguito alla prossima puntata, perché Sanremo è una miniera per il cronista.

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