6 Giugno 2024 - 9.16

Perché un riformista dovrebbe votare il Pd di Elly Schlein?

Umberto Baldo

E siamo arrivati a giovedì; meno 1 al primo giorno di votazioni.

Prima di guardare come si sta posizionando l’altro grande Partito italiano, permettetemi di dire che, pur non essendo una “verginella della politica”, pur avendone viste tante, riesco ancora ad indignarmi di fronte ad un Governo che, guarda caso, proprio la settimana delle elezioni, assume provvedimenti palesemente demagogici, tipo la social card, o il condono edilizio, o l’annunciato taglio delle liste di attesa per esami e visite, che le Regioni contestano in quanto non supportato da  adeguate risorse.

Nella Prima Repubblica si sarebbero chiamate “marchette elettorali”; non so come vengano definite in questa Repubblica dei Patrioti, ma ad occhio e croce “se non è zuppa è pan bagnato”.

Detto questo, cerco di capire “sine ira et studio” (per chi non ricorda Tacito vuol dire “senza animosità e parzialità) perché un cittadino dovrebbe scegliere di votare il Partito Democratico.

Meglio, la domanda vera è: perché un riformista dovrebbe votare il partito di Elly Schlein?

E credetemi che non è un distinguo ozioso, un inutile sofismo; perché se si è massimalisti, se la propria matrice culturale è quella movimentista o dei Centri sociali, capisco che l’attuale Pd rappresenti la scelta naturale; ma non lo è più  se la propria storia e le proprie idee vengono da un’altra tradizione.

Vi starete chiedendo; ma cosa vuol dire per te essere riformista?

Semplice, per me essere riformista vuol dire essere saldamente ancorato al campo geopolitico, storico e culturale dell’Occidente democratico.

Riformista è uno che non ha alcun dubbio nel giudicare quella di Putin in Ucraina come un’aggressione di uno Stato sovrano, e di considerare Hamas un movimento terrorista. 

E’ inutile girarci attorno; per quanto uno possa anche nutrire seri dubbi sull’attuale politica di Netanyahu, non può fare finta di non ricordare che è il terrorismo di Hamas in quel tragico 7 ottobre che ha scatenato la reazione di Israele; non può rinnegare l’idea che Israele nel bene o nel male rappresenta l’unica democrazia di tipo occidentale nel calderone islamico del Medio Oriente.  Analogamente non può farsi irretire dalla farsa putiniana dell’ “operazione speciale”, perché quella in atto contro il popolo ucraino è una guerra di vecchio stampo imperialista.

E quindi un riformista non può che rimanere di sasso, sconcertato, di fronte alle dichiarazioni di Marco Tarquinio, ex direttore dell’Avvenire e candidato indipendente del Pd, che qualche giorno fa ha addirittura chiesto lo scioglimento della Nato, spalleggiato da Nicola Zingaretti, già Segretario del Pd, che ha valutato questa proposta come “giusta”.

Ha voglia Elly Schlein a precisare che Tarquinio (che secondo me era più indicato a candidarsi nelle liste “tutte pace” di Michele Santoro) è un “indipendente”, e che la linea del partito alla fine la decide lei.

Perché voglio proprio vedere come riuscirebbe ad imporre a Tarquinio di votare a Bruxelles ad esempio a favore di nuove forniture di armamenti all’Ucraina.

E per dire le come stanno, una candidatura del genere va bene per accaparrarsi i voti dei pacifisti “senza se e senza ma”, o delle “anime belle”, ma sicuramente suscita qualche preoccupazione nelle altre Forze socialiste del Pse, che nel Parlamento Europeo devono poter contare sulla compattezza delle delegazioni dei singoli Partiti nazionali.

E quei leader staranno sicuramente chiedendosi: ma la posizione del Pd è quella di Tarquinio, o quella della Annunziata?

Intendiamoci, per il fatto che si tratta di elezioni in cui si vota con il proporzionale, ogni Partito sta cercando di razzolare voti, rischiando così di raschiare il fondo del barile. 

Come accennato, lo fanno tutti, ed il Pd non è da meno.

Viene da chiedersi però: se tutto questo agitarsi dovesse  portare qualche voto in più, che cosa ne farebbe mai la Schlein?

Non sorridete!  Non è una domanda retorica!

Perché se la vocazione dei Dem è ancora quella di governare il Paese, con una piattaforma politica tutta spostata “a sinistra” potrebbe mai porsi come alternativa a Giorgia Meloni ed al Centrodestra?

Francamente io penso di no, e quei voti in più potrebbero al massimo garantire a Elly Schlein un po’ di sopravvivenza in più alla Segreteria, e forse a dare un po’ di slancio alla sua insensata (a mio avviso) rincorsa con Giuseppe Conte.

Come tutti coloro che si occupano di politica sanno bene, per governare bisogna anche prendere i voti dell’elettorato di “centro”, ed il massimalismo “schleiniano”, che promette al ceto medio “più tasse” e patrimoniali,  non è certo il miglior biglietto da visita per convincere questi cittadini.

In conclusione, io penso che se la segreteria Schlein, che indubbiamente si gioca il tutto e per tutto alle imminenti Europee, non deciderà di invertire la rotta dell’alleanza con i pentastellati (il mitico “campo largo” di fatto rifiutato da Conte), ed insisterà nel rivendicare solo il perseguimento ottuso delle politiche Green, nella difesa dei diritti di tutte le minoranze, a firmare i referendum “fuori dal tempo” proposti dalla Cgil, assumendo sempre più le fattezze di un partito radicale ma “non di massa”, come profetizzò il filosofo cattolico Augusto Del Noce negli anni ’ 70, faticherà a trovare un Furio Camillo che possa sconfiggere i Galli e scacciarli dalle mura di Roma (metafora del Governo dei patrioti ovviamente).

E così, inevitabilmente, siamo tornati al punto di partenza. 

Ed alla domanda di quale sia il disegno e l’obiettivo finale della strategia fin qui seguita da Elly Schlein.

Per essere più chiaro: vuole dare vita ad un Partito di sinistra alleato con Conte, per creare una sorta di “cosa rossa”, un polo del tipo di “France Insoumise” di Jean Luc Mélenchon, che ritenga prioritaria la rappresentanza dei ceti più deboli ed emarginati, o in alternativa ad un partito riformista, con vista centro, che ritenga prioritaria la sfida per il governo del Paese? 

Diciotto anni fa il Pdè stato la grande novità della politica italiana, mentre oggi è vissuto nel suo stesso campo come il “grande equivoco”. 

Il partito che un tempo si definiva «di centrosinistra» ora si identifica sempre più solo come forza “di sinistra”.

Le liste presentate per le europee sono a mio avviso la visualizzazione plastica di questo equivoco, perché non puoi candidare fianco a fianco pacifisti ed atlantisti, filo-industriali e filo-sindacali, con il solo obiettivo di aumentare il bottino di voti.

Perché dopo le elezioni, già dal 10 giugno, come Giorgia Meloni si troverà a gestire promesse irrealizzabili perché incompatibili con i numeri di bilancio, così Elly Schlein dovrà pure fare sintesi, e non è certo facile gestire la coesistenza di eurodeputati che la pensano in modo diametralmente opposto su temi dirimenti come il posizionamento occidentale, e le alleanze internazionali .

Per non dire che rimane sempre aperto il problema dell’Area Popolare del Pd, che pur è stata componente essenziale per la nascita del Partito, e che mostra qualche difficoltà a riconoscersi nel nuovo corso, nella tessera del 2024 con l’effigie di Enrico Berlinguer; un disagio che traspare    da una diaspora silenziosa sui territori, dove c’è chi preferisce il centrodestra.

Se dovessi indicare, concludendo, un paio di elementi qualificanti della confusione e dell’improvvisazione (io per lo meno la chiamo così) che sembrano caratterizzare le attuali politiche del Pd non avrei dubbi:  il voto di astensione sul Patto di Stabilità in Europa,  di fatto sconfessando il Commissario con tessera Pd Paolo Gentiloni, e la firma del referendum sul Job Act.

En passant: legge quella voluta e votata da tutto il Pd, compresi Franceschini e Bersani, con l’esclusione di soli 40 coraggiosi, Gianni Cuperlo in testa, che allora era presidente del Partito, e che coerentemente si dimise. 

Ma la coerenza è un bene scarso di questi tempi al Nazareno, dove ormai convive tutto ed il suo contrario.

Umberto Baldo

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