28 Ottobre 2022 - 10.00

PILLOLA DI ECONOMIA – Il dopo Brexit è iniziato con Rishi Sunak

di Umberto Baldo

Nella splendida poesia l’Aquilone di Giovanni Pascoli (dalle citazioni si vede che sono di un’altra epoca eh?) c’è un verso che recita “felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni…”.

Un cultore di letteratura italiana sicuramente inorridirebbe nel leggere il paragone che mi accingo a proporre.

Ma cosa volete, al pensiero non si comanda, e quegli aquiloni pascoliani, che equivalgono a illusioni, mi sono riaffiorati, immaginate un po’, pensando alle recenti contorsioni della politica britannica.

Negli ultimi dieci anni in cui si sono affidati ai Tories (il Partito conservatore per chi non fosse pratico), gli inglesi hanno visto elaborare ed applicare politiche economiche (sic!) che hanno finito per infrangere tutti i sogni nati con la Brexit.

Già perché dall’euroscetticismo pragmatico di David Cameron (che forse ancora adesso si mangia le dita per aver promosso quel referendum che portò all’approvazione della Brexit, essendo lui favorevole a restare nella Ue), si è passati alla Soft-Brexit di Theresa May, e successivamente alla Hard-Brexit di Boris Johnson, per poi finire in un crescendo rossiniano alla Brexit “fantasiosa” di Liv Truss. 

Dei deliri della Trussnomics vi ho già parlato di recente, ed in estrema sintesi consistevano nell’idea che tagliando le tasse ai ricchi,  e liberalizzando tutto, si sarebbero scatenate come per miracolo risorse ed energie che avrebbero non solo coinvolto positivamente anche le classi povere, ma fatto tornare la Gran Bretagna ai fasti dei tempi d’oro. 

Ma, cosa volete, i miracoli sono piuttosto rari, e l’economia britannica si è avvitata su se stessa, fino ad arrivare al crollo della sterlina e dei Gift, che ha portato alla “cacciata” della Truss.

Ma a rendere la crisi ben più profonda di quelle precedenti è il fatto che  il sistema politico britannico sembra stia per implodere, con i due principali partiti incapaci di dare risposte adeguate all’emergenza.  

A mio modesto avviso  forse sono anche  le istituzioni secolari che si  stanno dimostrando inadeguate ai tempi nuovi, addirittura con un  rischio di tenuta della stessa dell’unità nazionale (ricordo ad esempio che Scozia e Irlanda del Nord hanno votato convintamente nel 2016 contro la Brexit).

Certo scendere, gradino dopo gradino, dal rango di prima potenza mondiale,  forte di un Impero esteso come nessun altro nella Storia e di una superiorità economica indiscutibile, a quello di periferia di un Continente che ti detta le regole non è stato facile da accettare per gli inglesi.

Ed infatti i britannici non si sono mai sentiti pienamente europei, e nel 2016 i risentimenti anti Ue  hanno portato al voto pro Brexit, voto peraltro risicato. 

Nicolò Machiavelli teorizzava “Se non puoi uccidere il tuo avversario, abbraccialo”.

Londra l’Europa l’ha abbracciata nel 1973, per poi decidere di abbandonarla nel 2016, forse nell’illusione di una nuova “età dell’oro”.

Salvo poi  scoprire, dopo la Brexit, di  essere pericolosamente molto più debole di prima, visto che gli equilibri geopolitici ed economici del mondo d’oggi non sono certo quelli del tempo della Regina Vittoria. 

In fondo è la solita storia che abbiamo visto innumerevoli volte anche da noi; e cioè che la realtà alla fine impone alla politica ed all’opinione pubblica di tornare con i piedi per terra. 

Non meraviglia quindi se i sondaggisti inglesi in questi giorni rilevano che se si andasse ora alle urne i Tories verrebbero quasi cancellati, e soprattutto (sondaggio You Gov)  che solo il 24% degli elettori ritiene che uscire dalla Ue sia stata una scelta “giusta”, mentre il 54% le definisce “sbagliata”.

Ma state tranquilli che gli inglesi non voteranno a breve.

I Tories hanno una solida maggioranza in Parlamento, e come i “tacchini non votano per il Natale”, i deputati conservatori si guarderanno bene dal mettersi in condizioni di andare ad elezioni che sancirebbero il “fine corsa” per molti di loro (anche nel regno di Albione la “carega” conta, come da noi)

E’ questo il motivo per cui dopo il disastro Truss è arrivato il momento di Rishi Sunak, il primo leader di origine asiatica e di religione induista a diventare Primo Ministro di Sua Maestà Britannica.

Sunak non è un uomo nuovo; è stato Cancelliere dello Scacchiere (il nostro Ministro del Tesoro) nel secondo Governo di Boris Johnson.

Quindi non è un europeista, anche se non è mai sembrato uno fra i più accesi pro Brexit. 

La sua storia personale ci dice che viene dal mondo di Goldman Sachs e degli hedge fund, e di conseguenza viene descritto come un realista che darà priorità al riordino delle finanze pubbliche, sulla scia di quella che fu la politica di Margaret Thatcher.

E mi auguro che in virtù di questo suo realismo abbandoni il “muro contro muro” con la Ue, per il semplice motivo che con l’economia britannica in affanno ormai da lunghi anni è più logico tenere aperto il dialogo, aumentare gli scambi commerciali,  e non alzare barriere.

Anche perché continuare nello scontro duro con Bruxelles su problemi come il “protocollo sull’Irlanda del Nord” non porta da nessuna parte, se non ad un totale, e letale, isolamento dell’Inghilterra.

Vedremo cosa succederà, ma a mio avviso la fase del ripensamento in Gran Bretagna è già iniziata.

Sarà un percorso doloroso, che parte dalle illusioni della Brexit, da quegli aquiloni ormai caduti. 

Umberto Baldo

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