PILLOLA DI ECONOMIA – In otto anni sono espatriati 40.000 giovani laureati veneti
Umberto Baldo
Il 1 gennaio 2023 per poco non abbiamo sfondato la soglia psicologica dei 6 milioni di connazionali iscritti all’Aire, l’Anagrafe dei cittadiniitaliani residenti all’estero.
Anche se appena sotto i 6 milioni, parliamo pur sempre di oltre un decimo della popolazione italiana, che ormai non arriva a 60 milioni.
Non è un fenomeno nuovo quello dell’emigrazione italiana all’estero, e non è la prima volta che ne parlo.
Ma riprendo il tema perché, fra sbarchi di clandestini e Ong, si è soliti affermare che l’Italia è un Paese di immigrazione, mentre ciò non è del tutto vero, e la realtà dei dati sfata del tutto questa convinzione.
La nostra penisola è anche terra di emigrazione, tanto è vero che l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (circa 6 milioni).
Come si vede i numeri parlano chiaro; e gli italiani residenti fuori dai confini nazionali superano ormai quelli degli stranieri residenti in Italia.
Certo bisogna dimenticare l’emigrazione storica che ha sempre caratterizzato gli italiani; quando si affollavano le miniere belghe o si tentava la fortuna oltreoceano o nella remota Australia perché qui da noi c’era la fame più nera.
Allora partivano intere famiglie; mamme e papà accettavano una vita di sacrifici estremi, e spesso la condizione di paria della società dove arrivavano, per permettere ai figli di studiare, lavorare e avere un futuro migliore.
No, il problema non è più questo, e va ribadito, perché bisogna contrastare l’idea di un Paese vagamente straccione, o comunque avviato a una nuova forma di povertà diffusa, da cui, appunto, fuggire.
E a confermare ciò sta il fatto che le Regioni da cui si parte di più sono la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna.
Volete qualche dato? Eccolo: Il 53,7% (poco più di 45 mila) di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero per espatrio nel 2021 lo ha fatto partendo dal Settentrione d’Italia, il 46,3% (38.757) dal Centro-Sud.
La Lombardia (incidenza del 19,0% sul totale) ed il Veneto (11,7%) continuano ad essere, come da ormai diversi anni, le Regioni più interessate dal fenomeno.
Parliamo di alcune delle aree più benestanti e sviluppate del Paese e dell’intera Europa come Mantova, Rovigo, Lodi, Cremona, Brescia, Reggio Emilia, Prato.
Sfido chiunque a considerare le province elencate depresse o economicamente sottosviluppate.
Ma molti di voi sanno bene, per esperienza familiare, che il fenomeno è ormai generalizzato, e interessa pesantemente anche ragazze e ragazzi padovani, vicentini, veronesi ecc.
Dati confermati da un recentissimo rapporto della Fondazione Nord-Est, che nel periodo 2011-2019 registra la fuga all’estero di 40 mila laureati veneti.
Certo un’esperienza lavorativa in un altro Paese potrebbe essere considerata come un investimento, ma solo a patto che questi giovani facciano poi ritorno a casa.
Cosa che non avviene praticamente mai.
E tutto questo mentre nella nostra Regione, ma in realtà in tutto il Nord, ed in generale in tutta Italia, viviamo una crisi drammatica di disponibilità di risorse umane un po’ in tutti i settori, dalla sanità, all’industria ai servizi.
Un meccanismo infernale in cui le aziende sono pronte ad assumere, ma mancano candidati, o se ci sono non hanno le professionalità richieste. Così gli ordini sfumano e gli ingranaggi dello sviluppo delle Regioni più dinamiche d’Italia rischiano di bloccarsi.
Perché è vero che chi parte lascia dietro di sé famiglia, amici e luoghi, ma si porta via capacità e intelligenza, formazione e intraprendenza: sottraendo un pezzo di futuro a questo Paese.
Ma un fenomeno ha sempre una causa, e per capire questa fuga forse è utile delineare l’identikit di chi parte.
Per scoprire che per lo più si tratta di giovani ad alta scolarizzazione, formazione, specializzazione; professionisti o neolaureati quasi sempre single chescelgono di sfruttare opportunità all’estero, cercando ciò che il nostro Paese ha scelto di evitare come la peste: un mercato del lavoro che funzioni e che sappia premiare il merito, la preparazione, la fantasia e la capacità di adattamento.
E se chiedete a questi nostri figli e nipoti le motivazioni della loro scelta di andare via dall’Italia, al primo posto c’è “un lavoro soddisfacente”, seguito da “autonomia finanziaria”, “benessere della famiglia”, “difficoltà di fare carriera”, “degrado ambientale”, “salute mentale e fisica”.
Ma ciò che stupisce è che a pensarla così non sono solo loro, perché ben il 61% degli abitanti del NordEst ritiene che i giovani, per fare carriera, debbano andarsene.
Un pensiero cupo, disilluso, che però illumina la difficoltà di immaginare l’Italia, ed anche il nostro Veneto, declinandoli al futuro.
Alla fin fine credo si possa dire che a spingere all’estero i nostri ragazzi siano le opportunità che abbiamo deciso di negare ai migliori per inseguire un finto egualitarismo.
Ma quello della meritocrazia, a partire dalla scuola, è un ormai un problema culturale, quasi genetico, in questa fase della storia italiana, in cui la capacità individuale, l’eccellenza, sembrano più colpe da espiare che valori da premiare.
E quindi come stupirsi se questi nostri ragazzi e ragazze decidono di sfruttare i propri talenti all’estero, cercando quella qualità di vita e lavoro che il nostro Paese sembra non essere più in grado di offrire.
E mentre la nostra classe politica assiste a questa fuga di cervelli senza porsi opportune domande, e di fatto senza fare niente per invertire il trend, si continua come se niente fosse a stabilire anno dopo anno i cosiddetti flussi di lavoratori extracomunitari, di cui la nostra economia non può più fare a meno. Lavoratori che andranno ad occupare sempre più lavori dalle qualifiche medio basse, quelli che noi italiani non vogliamo più fare, innescando così una spietata concorrenza al ribasso fra italiani e stranieri nei lavori “umili”, mentre i più bravi fra i nostri ragazzi si trasferiscono per sempre, assieme alle proprie conoscenze, alle proprie professionalità, alle proprie capacità, alla propria inventiva, alla propria voglia di fare e di crescere, in altri Paesi, che sono ben lieti di accoglierli e che sanno come valorizzarli.
Auguri Italia!
Umberto Baldo