15 Marzo 2023 - 8.35

PILLOLA DI ECONOMIA- Silicon Valley Bank: fatalità o impreparazione? 

Nella vicenda del disastro della Silicon Valley Bank c’è un risvolto che io trovo alquanto “stonato”.

E mi riferisco alla notizia riportata da Bloomberg secondo cui Greg Becker, amministratore delegato della Banca fallita ha venduto 3,6 milioni di dollari di azioni della società meno di due settimane prima che l’azienda rivelasse le ingenti perdite sui suoi investimenti, che hanno costretto la banca a cercare di effettuare un aumento di capitale in extremis. Ricapitalizzazione non riuscita, cui sono seguiti la corsa agli sportelli, e quindi il crac. 

Il piano che ha dato il via alla vendita delle azioni era stato “depositato” lo scorso 26 gennaio.

Credo sia opportuno specificare che i “piani di vendita” sono stati introdotti dalla Sec (l’Autorità di vigilanza sui mercati statunitensi) nel 2000 proprio al fine di contrastare l’insider trading, ossia lo sfruttamento di informazioni riservate a scopo di profitto, fissando tempistiche prestabilite (in sintesi di tratta di rendere pubblica l’intenzione di vendere qualche tempo prima) 

Per carità, tutto potrebbe essere stato assolutamente regolare, e nello specifico la coincidenza della vendita dei titoli con il crac della Banca del tutto casuale.

Ma qualche dubbio inevitabilmente rimane!

Nel pieno della tempesta scatenata dal crollo della Banca californiana, da cui dipendeva quasi la metà  di tutte le Start-up tecnologiche sostenute da Venture capital negli Stati Uniti,  credo sia legittimo fare qualche considerazione da uomo della strada. 

Partendo dalla constatazione che la vicenda è di fatto un dejà vu, una ulteriore riprova che la politica economica e la regolamentazione finanziaria si sono dimostrate ancora una volta del tutto inadeguate.

E che dire del fatto  che la notizia del secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti è arrivata pochi giorni dopo che il Presidente della Federal Reserve Jerome Powell aveva assicurato al Congresso che le condizioni finanziarie delle banche americane erano solide?

Eppure non credo ci volessero dei premi Nobel per ipotizzare che, dati gli ampi e rapidi aumenti dei tassi di interesse attuati da Powell, qualche conseguenza nel settore delle attività finanziarie fosse da mettere in conto.

Sicuramente non lo avevano messo in conto gli imprenditori delle Start-up della Silicon Valley, spesso giovani,  che sicuramente pensavano che il Governo e le Autorità di controllo stessero facendo il loro lavoro,  e quindi si sono concentrati sull’innovazione, non sul controllo quotidiano del bilancio della loro Banca di riferimento.

Sebbene le nuove tecnologie non abbiano cambiato i fondamenti dell’attività bancaria, che alla fin fine nella loro essenza sono sempre quelli dei primi “banchi” fiorentini o veneziani del Medioevo, hanno però aumentato il rischio di corsa agli sportelli. 

E ciò da un lato perché è molto più facile movimentare e soprattutto prelevare fondi rispetto ad una volta (basta un clic sulla tastiera del Pc), e poi perché i social media mettono il turbo a voci in grado di scatenare un’ondata di prelievi simultanei.

Non posso poi non osservare che, sarà anche un caso, ma le più importanti e devastanti crisi economico-finanziarie, da quella storica del 1929 a Lehman Brothers, hanno spesso origine negli Stati Uniti.

Immagino che anche da quelle parti dovrebbero sapere che un sistema bancario sano e sicuro è una condizione sine qua non di un’economia moderna; eppure quello americano non ispira esattamente fiducia.

Dopo un fine settimana frenetico, segnato da una caotica ricerca di un potenziale acquirente per la fallita Silicon Valley Bank, e angosciante per le persone potenzialmente colpite in tutto il paese, il Governo  Biden ha finalmente fatto la cosa giusta: ha garantito che tuttii depositanti di Silicon Valley Bank e di Signature Bank con sede a New York (anch’essa chiusa della Autorità)  saranno  risarciti, prevenendo così una corsa agli sportelli che avrebbe potuto sconvolgere l’economia americana, in un anno pre-elettorale, e con un Trump all’arrembaggio. 

E per evitare il temuto effetto domino la stessa garanzia è stata data ai clienti di altre due Banche scricchiolanti, First Republic e Western Alliance, che stanno vacillando sotto il peso del tracollo di Silicon Valley Bank.
Ma al di là di tutto, questi eventi hanno messo in evidenza che qualcosa nel sistema americano non va per il verso giusto. 

Ho letto che qualcuno sostiene che salvare i depositanti di SVB porterà a un “azzardo morale”, e proietta gli Usa in una “dimensione socialista”. 

Questa è una sciocchezza! 

Perché in qualsiasi Paese del mondo i depositanti ordinari dovrebbero poter fare affidamento su un efficiente Sistema di Regolamentazione e Controllo finalizzato a garantire che, se un’istituzione si autodefinisce Banca, disponga sempre dei mezzi finanziari per rimborsare il denaro che le viene affidato.

Come sarebbe necessario che azionisti e obbligazionisti delle Banche dovrebbero in qualche modo essere messi in grado di controllare l’operato dei Cda, e degli Ad.

E non scoprire a fallimento dichiarato che solo un paio di mesi prima della bufera l’Amministratore Delegato della propria Banca ha messo in vendita il proprio pacchetto azionario, incassando qualche milione di dollari, e lasciando i correntisti nella “merda”  (scusate il francesismo).

Ripeto, sarà stato anche tutto lecito, ma permettetemi di dire che  ciò è per lo meno “inestetico”, sempre in base al vecchio brocardo che “la moglie di Cesare oltre che essere onesta deve anche sembrarlo”.

Per non dire, per soprammercato, che nelle riunioni notturne fra Casa Bianca, Sec, Tesoro e chi altri, al netto delle motivazioni politiche, si saranno anche fatti due conti, e avranno realizzato che, come insegnato dalla vicenda Lehman Brothers, non intervenire o intervenire in ritardo costa sempre infinitamente di più che prendere subito il toro per le corna.  

Concludendo, si fa per dire eh, io credo che la vicenda Silicon Valley Bank rappresenti più del crac di una singola banca, e sia emblematica di profondi fallimenti sia nella conduzione che della regolamentazione della politica monetaria. 

Perché come la crisi dei subprime del 2006 era prevedibile e prevista, così non era difficile immaginare che passare improvvisamente da un decennio di denaro a go go a tassi financo negativi, ed una stretta a suon di aumenti dei tassi a tamburo battente, qualche problema lo avrebbe provocato.

E non è un mistero che l’agenzia di rating Fitch avesse avvertito da tempo che il rapido aumento dei tassi e il Quantitative Tightening (cioè la fine degli acquisti di titoli pubblici) stavano mettendo sotto pressione la liquidità delle banche americane, tanto che provocare una calo sia dei depositi che  delle riserve.

Constato poi che la politica reagisce in maniera uguale a tutte le latitudini; e così la sinistra americana accusa Donald Trump di avere “allentato” alcune regole prudenziali varate nel 2008, cancellandole proprio per quelle Banche medio-piccole come SVB, che oggi sono nell’occhio del ciclone. Per converso la  destra accusa Biden di aver salvato a spese del contribuente tutti i clienti della Silicon Valley Bank, anche quelli molto ricchi, e ciò perché  il mondo Big Tech della West Coast è di sinistra, finanzia il partito democratico, e ne sostiene le politiche.  

Sembra di assistere all’italianizzazione” degli Usa!

Finisco consigliandovi di non guardare in questi giorni il saldo dei vostri depositi titoli. 

Aspettate che la bufera sia passata; è sicuramente meglio per la vostra salute. 

Umberto Baldo

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