30 Giugno 2022 - 10.39

PILLOLE DI ECONOMIA – Iran e Argentina chiedono di aderire ai BRICS (gli effetti delle sanzioni alla Russia e i nuovi scenari)

di Umberto Baldo

Solo qualche giorno fa vi avevo intrattenuto sui BRICS, l’organizzazione internazionale che lega Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
Fra l’altro vi avevo anche riferito che i cinque membri attuali mirano ad un allargamento del “Club”, che qualcuno chiama già “BRICS Plus”, cercando di coinvolgere Paesi come Argentina, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Kazakhstan, Nigeria, Senegal e Thailandia.
Bene, non si sono ancora spenti gli echi del summit in videoconferenza del 23 giugno, da Pechino, che i BRICS sarebbero già diventati BRICSIA.
E ciò perché due nuovi Stati, proprio in questi giorni, hanno chiesto formalmente di aderire al Gruppo.
Si tratta dell’Argentina, il cui Presidente Alberto Fernandez ha dichiarato: ”Aspiriamo ad essere membri a pieno titolo di questo gruppo di nazioni che già rappresenta il 42% della popolazione mondiale ed il 24% del Pil”, e dell’Iran, il cui portavoce del Ministero degli Esteri ha affermato: “L’appartenenza dell’Iran al Gruppo Brics comporterebbe un valore aggiunto per entrambe le parti. Il BRICS è un meccanismo innovativo che copre un’ampia gamma di settori. Si auspica che l’Iran, come futuro membro, possa contribuire ai lavori dei paesi BRICS”.
Dal punto di vista sia strategico che propagandistico si tratterebbe di due adesioni di non poco conto.
Infatti da un lato l’Argentina andrebbe ad affiancarsi al Brasile, creando una sorta di spina dorsale alternativa all’egemonia Usa in America Latina, in quella parte del mondo che gli Stati Uniti considerano da sempre il loro “cortile di casa”.
Dall’altro la Repubblica islamica degli Ayatollah, al netto delle sanzioni cui è soggetta da lunghi anni, porterebbe in dote ai Brics una posizione strategica cruciale per i traffici mondiali, oltre che un ruolo chiave nei processi energetici (riserve di petrolio e gas) e nucleari globali.
Non credo si possa sottacere il fatto che queste due richieste di adesione nel pieno dell’Operazione speciale di Putin in Ucraina mettono in qualche modo in discussione la narrativa imperante in Occidente, secondo cui Mosca avrebbe isolato se stessa dal mondo.
Mi spiego meglio.
La mia adesione ai valori occidentali ed atlantici non sarà mai in discussione, ma essendo da sempre uno spirito libero, non posso portare il cervello all’ammasso, credendo ciecamente ed acriticamente alla propaganda da tempo di guerra, da qualunque fronte arrivi.
E che qualcosa non quadri fra narrazione e realtà mi sembra evidente.
Partendo dalle sanzioni, tutto sta nell’intendersi su quali siano gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Se l’intento è quello creare in qualche modo un danno alla Russia, allora si può dire che funzionano. Ma se invece lo scopo è di assestare un colpo all’economia di Mosca superiore ai pesanti effetti collaterali che devono patire gli Stati che le impongono, qualche dubbio diventa legittimo, davanti al fatto che gli incassi di Putin si sono impennati a seguito dell’aumento di prezzo di gas e petrolio, e noi non escludiamo razionamenti invernali.
Relativamente poi al default russo sul debito estero, è evidente che lo stesso è puramente fittizio, in quanto la Russia i soldi per pagare i 100 milioni di interessi su due obbligazioni estere li ha, ma è impossibilitata a saldare i creditori per i divieti di pagamento imposti con le sanzioni. È il primo caso in cui si dichiara insolvente un Paese che ha le risorse per onorare i debiti, ma cui viene impedito di onorare le scadenze.
Continuando, è di questi giorni l’annuncio (fonte Bloomberg) di un accordo fra la Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea e la Banca Centrale Cinese per un liquidity pool denominato in renminbi (o yuan se preferite). L’accordo coinvolge, oltre alla Cina, la Malesia, l’Indonesia, Hong King, Singapore e Cile, ed ha lo scopo di fornire liquidità alle economie partecipanti nei periodi di volatilità del mercato.
Fino ad ora uno strumento del genere sarebbe stato garantito dalla BRI solo in dollari Usa, e averlo legato alla moneta cinese forse vuol dire che a Basilea si sta guardando ad un futuro diverso dall’attuale.
Vi avevo già accennato, nel pezzo precedente sui Brics, che i rapporti fra i cinque non sono tutte rose e fiori.
Sono decenni che fra i due attori principali, demograficamente ed economicamente, Cina ed India, è in corso un duro confronto strisciante sul confine Himalayano.
Viene da chiedersi anche come potranno andare d’accordo la Repubblica Islamica Iraniana con la Cina ferocemente anti-musulmana, che sta perpetrando un vero e proprio genocidio culturale nello Xinijang ai danni della minoranza degli Uiguri.
Senza dimenticare le rivendicazioni cinesi sulla Siberia, che nel 1969 hanno portato ad uno scontro militare aperto fra cinesi e russi sul fiume Ussuri.
E come farà Putin a mantenere gli attuali buoni rapporti con Israele qualora la Repubblica degli Ayatollah entrasse nei Brics?
Sono tutte domande legittime, a fronte di problemi e tensioni annosi ed irrisolti.
Ma al momento sembra che tutto ciò sia volutamente accantonato, quasi cancellato dalla prospettiva, si potrebbe forse anche dire sogno, di dare vita ad un nuovo ordine mondiale “multipolare”, di ridurre fortemente il ruolo degli Stati Uniti, di dare vita ad una nuova moneta in grado di sostituire il dollaro come valuta di riserva di riferimento, e ad un nuovo sistema di pagamenti alternativo allo Swift.
L’impulso a tutto questo arriva paradossalmente dall’ “operazione speciale” di Putin, che doveva fare della Russia un paria mondiale.
Come accennato, non è detto che la strada per i Brics, ora forse Brics Plus, sia tutta in discesa, ma io credo che comunque vada, per quanto l’Occidente potrà mettere in campo adeguate contro-misure, il seme sia stato gettato. Se sarà destinato a germogliare lo sapremo vivendo. Per il momento non ci resta che prendere atto che gli Stati del Sud del mondo sembrano fare a gara per entrare nel Club dei Brics.
Umberto Baldo

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