4 Luglio 2022 - 10.07

PILLOLE DI ECONOMIA – Quando le criptovalute sono un Triangolo delle Bermuda

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di Umberto Baldo

Sulle criptovalute, soprattutto su bitcoin, la più famosa, negli ultimi anni sono stati versati fiumi di inchiostro.
Ed il loro affermarsi sulla scena finanziaria internazionale ha determinato da subito una netta divisione “ideologica”, fra coloro che vedono in queste pseudo valute la nascita di una nuova era, e coloro che, al contrario, sono convinti che esse rappresentino una sentina di tutti i mali.
Non ho intenzione di tediarvi esponendo dettagliatamente le tesi contrapposte degli estimatori e dei detrattori, anche se, a livello personale, ho sempre pensato che si tratti di uno splendido strumento a disposizione di mafiosi, terroristi, riciclatori, e criminali in generale.
In ogni caso mi sembra di poter dire che le criptovalute non possono costituire un valido sistema di pagamenti per la loro estrema volatilità, e per lo stesso motivo non si prestano ad essere tesaurizzate.
Lo sanno bene coloro che le hanno acquistare sull’onda del successo, e che si sono scottati le mani quando periodicamente sono crollate.
Gli unici elementi positivi che riconosco alle criptovalute sono l’aver dato il via alla tecnologia Blockchain, ed aver convinto le Banche Centrali di accelerare sulle procedure di adozione delle valute digitali (che altro non sono, per fare due esempi, che l’euro ed il dollaro dematerializzati).
Uno degli aspetti che dovrebbero più inquietare i detentori di bitcoin e valute simili è legato al fatto che l’ “investitore”, per chiamarlo così, a dimostrazione del suo credito ha in mano solo un codice, e si calcola che quasi il 20% dei bitcoin emessi siano andati persi, nel senso che sono nascosti in rete, ma i legittimi proprietari hanno perso le credenziali per accedervi.
Non va poi trascurato il fenomeno, più diffuso di quanto si possa credere, di gestori di fondi specializzati in criptovalute che, improvvisamente, spariscono con il malloppo, lasciando i malcapitati investitori a leccarsi le ferite.
Una di questi “fuggitivi” è Ruja Ignatova, 42enne bulgara, sedicente imprenditrice delle criptovalute, ma in realtà protagonista di una truffa mascherata da emissione di una moneta digitale, che è entrata nei giorni scorsi nella hit parade dell’Fbi: l’elenco dei dieci criminali più ricercati
Ruja detiene il primato di essere l’unica donna ad aver avuto l’ “onore di entrare in questa top-ten dei federali Usa, i quali per favorirne la cattura hanno pensato bene di mettere anche una taglia di 100mila dollari sulla sua testa.
A seguito delle inchieste della rete televisiva BBC la Ignatova è anche nota come la «Cryptoqueen», la “Regina delle valute”.
Ma più prosaicamente, al di là della fama mediatica, Ruja è, in realtà, una volgare truffatrice che nel 2014 è riuscita a raccogliere ben 4 miliardi di dollari emettendo OneCoin: una finta criptovaluta, mai registrata sulla blockchain (requisito essenziale per la certificazione di qualunque moneta digitale).
OneCoin si configurava come il più classico «schema Ponzi» o, se preferite, catena di Sant’Antonio, potenziata dal fatto che la Ignatova trasformava i suoi clienti in agenti: vale a dire che a chi comprava le sue monete prive di qualsiasi valore offriva commissioni per venderne altre ad amici e conoscenti.
Inutile dire che, negli “anni ruggenti” del suo successo, Ruja non si fece mancare nulla; feste fastose, tour nelle capitali europee, shopping sfrenato, vistose scorte di bodyguard, fino all’acquisto di un lussuoso appartamento, completo di piscina, nel quartiere londinese di Kensington, del costo di 13,5 milioni di sterline.
Fu proprio con questo acquisto che iniziarono i suoi guai, in quanto la magistratura tedesca la incriminò per riciclaggio di denaro sporco.
Da quel momento Ruja pensò bene che fosse il caso di abbandonare la scena; il 25 ottobre del 2017 si imbarcò su un volo Ryanair Sofia-Atene, e da allora si sono perse le sue tracce.
Si stima che quando è sparita avesse un capitale disponibile di almeno 500 milioni di dollari. Probabilmente ha alterato il suo aspetto, e si è procurata falsi documenti di ottima fattura.
E’ andata meno bene a suo fratello Konstantin Ignatov, che dopo la fuga della sorella occupò il famoso appartamento di Kensington, ma il 16 marzo 2019 finì in manette all’aeroporto di Los Angeles.
Ancora adeso Ruja è uccel di bosco, e sarà interessante vedere se la sua foto con la scritta “Wanted” servirà e renderla meno inafferrabile.
Lo so bene che qualcuno di voi sta pensando: “ma le catene di Sant’Antonio vengono messe in piedi anche fuori dal mondo delle criptovalute”.
Assolutamente vero!
Ma le cripto sono in se stesse uno “schema”, come sottolineato da Fabio Panetta della Bce con queste parole: “attualmente il loro valore deriva principalmente dall’avidità, ci si affida all’avidità degli altri e alla speranza che lo schema continui senza ostacoli… finché questo castello di carte crolla, lasciando le persone sepolte sotto le loro perdite”.
Umberto Baldo

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