Poenta e “renga”, il leggendario cibo dei poveri
Umberto Baldo
La settimana scorsa mio nipote “spagnolo” (ma sì, ve ne ho parlato qualche tempo fa in quanto unico maschio in un bouquet di 15 femmine) è andato a Tallin, in Estonia.
Cosa c’è di tanto strano?
Assolutamente nulla!
Per motivi di lavoro si sposta dall’India agli Usa, per cui Tallin potrebbe essere vista quasi come una “gita fuori porta”.
Abitualmente ci scriviamo, raccontandoci e commentando i fatti del giorno, politici e anche personali, ed in queste conversazioni il cibo inevitabilmente rappresenta un argomento pressoché inevitabile.
Sorvolo sul fatto che io sono un vecchio tradizionalista, forse anche un poco sciovinista, che considera l’Italia il Paese dove in assoluto si mangia meglio al mondo: cosa che mio nipote contesta con decisione, in quanto a suo avviso bisogna essere aperti ad ogni esperienza culinaria, con particolare riguardo ai giapponesi.
In questa disputa continua quasi sempre i ragionamenti, e le diatribe, sono accompagnati dalle foto dei cibi che il “ragazzo” si trova a consumare in giro per il mondo, e capisco di non essere molto “diplomatico”, e forse neanche tanto “educato”, quando, e succede spesso, commento che a mio avviso assomigliano “alle spoentaùre da porsei” (per chi non capisce la lingua di San Marco “cibo per porci”).
Dopo queste divagazioni torniamo a Tallin.
Già il primo giorno mio nipote mi spedisce la foto del piatto che ha davanti, con il commento “oggi aringa”.
Vi confesso che quel nome mi ha aperto un universo; quello dei ricordi.
Perché per un veneto non si tratta dell’aringa, bensì della “renga”, che è sicuramente dal punto di vista storico uno dei piatti della nostra cucina della tradizione.
Per quale motivo, visto che il Veneto ha il suo mare, e l’aringa è un pesce che vive nelle acque fredde dell’Atlantico settentrionale e dell’Oceano Artico, e la cui pesca fu per secoli monopolio delle città della Lega Hanseatica?
E’ una storia lunga che meriterebbe ben più spazio di quello che posso dedicare in questo pezzo.
In estrema sintesi, il boom del commercio delle aringhe si deve soprattutto agli olandesi, che diventando molto bravi nel processo di essicazione ed affumicatura, e ovviamente di salatura, dal XIV secolo cominciarono ad esportare questi pesci ovunque in Europa.
Basti dire che, per qualche studioso, l’aringa è di gran lunga il pesce più importante nella storia dell’umanità, perché, tra tutte le fonti alimentari, per l’Europa è allo stesso livello di importanza delle patate e del grano.
Fatto sta che questo pesce semplice cominciò a scendere in barili verso sud, e Venezia divenne il principale centro commerciale del Mediterraneo per il commercio della “renga”.
Alimento che si adattò subito agli usi e costumi delle tavole contadine venete, soprattutto in tempo di Quaresima: perché era un cibo povero, ma nutriente e facile da conservare, grazie alla salatura.
Sicuramente la mia generazione non è stata una grande consumatrice di “renga”, anzi (io l’ho assaggiata la prima volta da adulto), ma riandando indietro nel tempo a quando ero bambino se si nominava la “renga”agli anziani, soprattutto quelli che avevano vissuto in campagna, riaffioravano alla loro mente le interminabili cene fatte di aringa e fette di polenta, un unico pesce comprato dal “pésaro”, lessato e coperto d’olio, che spesso serviva per più desinari.
Chi non ricorda la scena del film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi dove è ben decritta la cena con la “renga” appesa ad un filo legato ad un chiodo piantato nella trave della cucina, quello al centro della tavola, con tutti i presenti a passarci sopra le fette di polenta, per “insaporirla”.
Un ricordo che oggi ha perso ogni tragicità ed è diventato simbolico e nostalgico (un solo pezzettino di “renga” insaporiva “fette e fette de poenta”), ma che ha rappresentato la tragica realtà alimentare di generazioni di contadini e povera gente.
Non voglio girarci intorno con le parole; la “renga” è stata, con la polenta, l’emblema della povertà veneta.
Ed io credo sia anche per questo che la “renga” in generale non faccia più parte della nostra dieta abituale.
Non perché non sia buona; tutt’altro.
Non perché non sia nutriente; si tratta di pesce azzurro ricco di proteine ed Omega 3.
Ma proprio perché la mia generazione conserva ancora nella memoria che si trattava di cibo da poveri, com’è stato fino ad un certo punto anche per la mortadella, e pure per il baccalà (specifico sempre che per noi veneti quello che chiamiamo baccalà è in realtà lo stoccafisso).
Ed io ricordo ancora i vecchi “casoini” di paese (negozi familiari di generi alimentari) dove ristagnava per 365 giorni l’anno quel certo odore di baccalà, renga e mortadella.
Adesso non ce lo rammentiamo più, ma allora il baccalà costava veramente poco, e non raggiungeva certo i prezzi stratosferici di oggi.
Anche la mortadella costava pochissimo in rapporto agli altri salumi considerati più da benestanti, tipo salami o prosciutti.
E quell’essere bollati come “cibi da poveri” è rimasto a lungo nell’immaginario nel dopoguerra, e la gente non cambiava idea neanche di fronte al fatto che, almeno a mio avviso, una buona mortadella non ha uguali, ed un baccalà alla vicentina fatto bene è un cibo da Re.
Che la “renga” non sia più nella lista della spesa della Siora Maria l’ho verificato andando presso il banco del pesce di un grosso supermercato.
La signora addetta mi ha gentilmente spiegato che il consumo negli ultimi anni è quasi inesistente, ma che comunque se l’avessi voluto mi avrebbe ordinato e procurato i filetti di “renga” fresca.
Onestamente, pur avendole cercate, non ho trovato in vendita neppure “renghe” sotto sale o in salamoia.
Ovviamente l’esperienza di mio nipote a Tallin testimonia che le aringhe sono ancora consumate abbondantemente dai popoli del Nord Europa.
Ma non è che da noi siano sparite del tutto; solo che sono diventate cibo da ricorrenze, nel senso che “feste delle renga” si svolgono ogni anno in qualche Comune del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.
Certo rivitalizzare vecchie abitudini non è facile, ma chissà mai che l’aringa non possa ridiventare in futuro un appuntamento per le nostre tavole.
In fondo tutto gira……. e di questi tempi basterebbe che un “influencer” si facesse vedere con una bella “renga” nel piatto, sottolineandone le virtù nutrizionali, che una massa di “influenzati” correrebbe a comprarsi l’”argento del Nord”.
Umberto Baldo